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La politica del cyberspazio negli USA

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Tra la Casa Bianca e le imprese americane è in corso un braccio di ferro senza precedenti. Ad arroventare i rapporti tra le parti sono le nuove misure per la sicurezza cibernetica, messe a punto dall’amministrazione statunitense e non particolarmente gradite ad amministratori delegati e investitori.

Sul tema, il Presidente Barack Obama non teme tanto l’opposizione politica: secondo i segnali che arrivano, una riforma della cybersecurity, in parte già avviata, dovrebbe ottenere un consenso bipartisan (dettaglio non banale per il Presidente democratico, che dopo le elezioni di midterm si ritrova a battagliare con un Congresso controllato interamente dai Repubblicani). A dargli filo da torcere potrebbero essere, invece, proprio le aziende. Il motivo è semplice. In questo campo, le posizioni tra il mondo delle istituzioni e quello economico sono estremamente distanti, perché l’uno parte da esigenze differenti dall’altro.

Tra i principali oggetti del contendere è il requisito che verrebbe imposto sulle aziende di dare al governo notizia degli attacchi subiti dai propri sistemi informatici. Di fatto, questo punto rappresenta l’asse portante di una partnership pubblico-privato in materia di sicurezza cibernetica, ma ha sollevato molti interrogativi, anche piuttosto prevedibili. Le imprese si chiedono: quali saranno le garanzie di riservatezza offerte? Chi maneggerà dati così sensibili? Gli apparati pubblici sono attrezzati a farlo? Quale il rischio che l’aver subito un hack divenga di dominio pubblico, alterando la concorrenza? E in tal caso, chi pagherà per quanto accaduto?

Tutti quesiti rilevanti, ma che passano in secondo piano se confrontati con gli obiettivi che si è posta la Casa Bianca, la quale ha deciso di fare dell’argomento una priorità. L’amministrazione Obama ha gradualmente spostato la gestione della cybersicurezza dalle mani dell’Homeland Security a quelle dei servizi di intelligence. Una mossa rafforzata dall’istituzione di nuova agenzia – il Cyber Threat Intelligence Integration Center -, che avrà l’obiettivo di raccogliere i dati raccolti da FBI, NSA e CIA e di elaborarli per gestire al meglio una eventuale crisi. La ragione di questo cambio d’impostazione è strategica e attiene all’organizzazione dello Stato e alla natura stessa della minaccia cibernetica.

Gli attacchi informatici ai danni degli USA, che si sono moltiplicati negli ultimi anni, hanno infatti coinvolto tanto la sfera economica quanto quella politica, provenendo spesso dai cyber-eserciti di Paesi ostili (o quantomeno concorrenti), come Iran e Cina. Si pensi all’offensiva nei confronti di Sony Pictures, agli hack degli account Twitter e Youtube del Centcom (il comando delle forze armate americane responsabile della regione medio orientale) da parte di pirati vicini allo Stato Islamico, alle intrusioni nei sistemi di JP Morgan, Target, Home Depot, Anthem o nei pc governativi, solo per citarne alcuni.

Alla luce di tutti questi episodi, Washington considera ormai impossibile separare le due sfere, quella politica e quella economica, nella difesa del suo spazio cibernetico, e lo ha evidenziato in molti modi. Nella National Security Strategy (che è stata presentata il 6 febbraio 2015 alla Brookings Institution dal National Security Advisor, Susan Rice), si dichiara per la prima volta in modo chiaro che l’aggressività cinese in campo informatico è fonte di pericolo per gli Stati Uniti. Il Capo di Stato Maggiore, Martin Dempsey, ha definito con preoccupazione il cyberspazio come un terreno in cui gli attori sono tutti pressappoco allo stesso livello e gli Stati Uniti non riescono a tradurre in un vantaggio la loro superiorità tecnologico-militare che è invece evidente in settori classici della difesa. Infine, il neo-Segretario alla Difesa americano, Ashton Carter, rispondendo a una richiesta della Commissione Difesa del Senato USA, ha avvertito come un attacco cibernetico possa procurare danni ingenti anche nel mondo “fisico”. In particolare se ad essere toccati fossero settori strategici come quello finanziario o energetico, in larga parte in mano proprio al settore privato.

È questa l’enorme portata della sfida che si trova a gestire il governo americano, sfida che quindi coinvolge, oltre al mondo della difesa e della sicurezza, anche un altro aspetto importante, quello legato alla relazione tra business e privacy. Ormai l’idillio tra l’Obama “innovatore” del 2009 e i big della rete sembra ormai preistoria. I rapporti, già incrinati dal Datagate, rischiano di essere ulteriormente compromessi da un impianto legislativo su questa questione che non convince affatto la Silicon Valley.

Un segnale di quanto il clima sia teso si è avuto il 13 febbraio scorso, alla  Stanford University a Palo Alto, nel cuore del distretto informatico più famoso al mondo, dove la Casa Bianca aveva organizzato un vertice sulla cybersicurezza e la protezione dei consumatori. L’appuntamento è stato disertato da molti dei volti più noti del mondo delle nuove tecnologie: da Mark Zuckerberg (Facebook) a Marissa Mayer (Yahoo!),  da Larry Page a Erich Schmidt (Google).

La paura principale dei giganti di internet è che le misure proposte dall’amministrazione non siano altro che un tentativo del governo di controllare maggiormente il web e dunque la vita dei cittadini americani. Questo, temono i leader del settore, farebbe perdere loro la fiducia nei servizi offerti dalle aziende, allontanandoli così dal loro business.

Questa prova di forza tra istituzioni e settore privato è un esempio eclatante di come, nei sistemi democratici, una legislazione puntuale in un settore delicato e in rapida evoluzione non sia necessariamente sufficiente per essere efficace e raccogliere il sostegno degli attori più direttamente interessati, a meno che non sia accompagnata anche da uno scatto in avanti a livello culturale. Ma ciò naturalmente richiede tempi più lunghi rispetto all’approvazione di una legge e un graduale mutamento del contesto sociale, ovvero di un diverso rapporto tra sfera pubblica e privata. È questa la vera scommessa che attende la Casa Bianca e la società americana nel suo complesso.