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I Fratelli musulmani in Egitto: boicottaggio ma non ancora radicalizzazione

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Nel giugno 2012 i Fratelli musulmani hanno ottenuto, per la prima volta nel corso della loro storia, il controllo della più alta carica dello Stato egiziano: la presidenza della Repubblica. Due anni più tardi, all’alba di nuove elezioni presidenziali, i Fratelli musulmani sono oggi considerati alla stregua di un’organizzazione terroristica. La rapidissima nemesi è stata determinata dall’inarrestabile ritorno in auge del potere militare che ha prima destituito Mohamed Morsi dalla sua carica, e poi gestito il processo di transizione in vista delle prossime elezioni presidenziali attraverso l’ormai ex Feldmaresciallo Abdel Fattah al-Sisi.

Alle soglie di una contesa elettorale il cui risultato sembra scritto da tempo, i Fratelli musulmani risultano dunque (quasi) totalmente esclusi dalla vita politica del Paese. Al fine di attenuare tale sensazione di isolamento, dopo il colpo di Stato dell’estate 2013, la Fratellanza ha dato vita all’Alleanza nazionale per il Sostegno della Legittimità. Composta da molte altre formazioni minori, l’Alleanza è uno degli strumenti politici attraverso il quale i Fratelli musulmani stanno operando in questi ultimi mesi: organizzano manifestazioni, producono comunicati, come un’opposizione al di fuori delle mura parlamentari. Quando sono state indette le elezioni presidenziali, è stato proprio attraverso un comunicato dell’Alleanza che i Fratelli musulmani hanno annunciato il loro boicottaggio.

Con quest’ultimo gesto la principale componente islamista del Paese ha inteso formalizzare la propria estromissione dalla politica ufficiale, identificandosi inevitabilmente come realtà che opera in antitesi ad regime considerato privo di qualsiasi legittimità. Del resto, il rifiuto nel riconoscere la parte avversa come interlocutore legittimo è un processo reciproco e bilaterale: Al-Sisi ha dichiarato che, qualora dovesse vincere, i Fratelli musulmani semplicemente non esisteranno più. In tal senso, Al-Sisi richiama per molti l’esperienza del presidente Gamal Abd al-Nasser a metà degli anni Cinquanta: questi, dopo aver collaborato con la Fratellanza sfruttandone l’influenza nella società egiziana in una prima fase, colpì duramente i suoi quadri dirigenti – condannando a morte, fra gli altri, uno dei suoi più influenti leader: Sayyed Qutb. Tuttavia, Al-Sisi sembra essere totalmente privo di quel carisma personale e di quel contenuto ideologico che caratterizzò la leadership di Nasser e che permise di far passare in secondo piano, almeno agli occhi delle masse, la sua attività repressiva.

Allo stato attuale è infatti solo ed esclusivamente la brutalità della repressione ad accomunare le due esperienze. C’è un rischio che la Fratellanza subisca, oggi come ieri, un processo di esasperazione ed irrigidimento del proprio pensiero, con un nuovo esito di radicalizzazione? I Fratelli musulmani stanno almeno per ora interpretando il ruolo delle vittime, oppresse a loro dire da un sistema dispotico che “fa scorrere copioso il sangue dei martiri”. Navigando sul sito del partito Hurriya wa al-‘Adala (braccio politico della Fratellanza), è facilmente individuabile una sezione intitolata “i giorni della rivoluzione” dove viene riportata la cronaca quotidiana degli avvenimenti che “stanno cercando di ribaltare il colpo di Stato” e “ribellarsi alle illegali elezioni presidenziali”. La narrazione proposta ha un carattere accusatorio ed elenca tutte le violente misure punitive ed oppressive messe in atto contro la Fratellanza ed i suoi affiliati. Il 28 aprile 2014 veniva ad esempio divulgato un comunicato dal titolo “Abbasso la sentenza militare” in opposizione alle sentenze di condanna a morte pronunciate dal tribunale di Minya nei confronti di 683 presunti affiliati alla Fratellanza. Nel testo si ricordano i “dieci mesi di sacrificio e pazienza” del “popolo libero” che si oppone ad “un colpo di Stato fascista”.

Il messaggio che la Fratellanza intende proporre è duplice: mostrare che una parte del Paese non subisce passivamente lo scorrere degli eventi, e allo stesso tempo rivelare il lato oscuro del processo di transizione fatto di processi sommari, manifestazioni represse nel sangue, arresti arbitrari. Una descrizione che si riproduce con modalità ancora più esplicite sui social network dove cruente immagini di corpi straziati da proiettili o percosse si rincorrono senza sosta.

Considerati gli attuali equilibri interni all’Egitto, la Fratellanza sta privilegiando l’opzione dell’opposizione non violenta, rispolverando la retorica di un mondo diviso fra “oppressori” ed oppressi”. Un concetto chiaramente espresso in un comunicato del 30 gennaio 2014 all’interno del quale, parafrasandone alcuni estratti, tale pensiero può essere così riassunto: le azioni subite per mano degli ingiusti saranno ricompensate dalla gloria divina che farà ascendere gli oppressi, primi fra tutti ad accedere al paradiso poiché nella storia del mondo arabo islamico moltissimi sono gli esempi in cui la sofferenza è stata ripagata, in cui il sangue dei martiri ha trovato vendetta ed il pianto delle vedove consolazione.

Alcuni tuttavia si domandano se, presto o tardi, si finirà per rispondere alla violenza con altrettanta violenza. Allo stato attuale il campo jihadista armato è occupato da formazioni quali ad esempio Ansar Beit al-Maqdis, particolarmente attiva nella penisola del Sinai e responsabile di attacchi dinamitardi alle sedi di polizia del Cairo e Daqahliya. Non solo: secondo indiscrezioni giornalistiche recenti, anche una costola di Daish (Stato islamico di Iraq e del Levante) si sarebbe spostata nel Nord del Sinai. Rispetto a tali esperienze, la linea della Fratellanza è chiara: manifestazioni non violente e boicottaggio, senza che questo ovviamente elimini la possibilità che frange indipendenti si stacchino ed operino seguendo una agenda personale, magari anche violenta, che tuttavia non risponde alle indicazioni ufficiali.