international analysis and commentary

I rischi per Hezbollah nella vicenda siriana

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Con l’esacerbarsi del conflitto siriano tra i lealisti del regime di Bashar al-Assad e gli insorti, la presenza di Hezbollah in Siria a sostegno del raìs di Damasco è cresciuta progressivamente sul terreno. Questo ha reso il partito sciita libanese un attore a pieno titolo nella guerra siriana, e dunque anche un target specifico per i suoi oppositori. Gli attentati sempre più frequenti sul suolo libanese – e più propriamente nei luoghi nevralgici del potere di Hezbollah, come la Dahiye, la periferia sciita di Beirut, o Ba’albek e Hermel nella valle della Beqa’ – sono evidenti risposte al coinvolgimento del Partito di Dio nel conflitto siriano. Schiacciato tra il committment regionale con i suoi storici alleati e protettori (l’Iran e il regime di Assad) e il consenso domestico, Hezbollah fa i conti con una serie di dilemmi strategici e politici che mettono in crisi la tenuta della sua legittimità nel medio e lungo periodo.

Il tornante che ha marcato l’importanza della partecipazione militare di Hezbollah a fianco delle truppe lealiste di Assad, è stata la battaglia di Qusayr tra il 19 maggio e il 5 giugno 2013. Qui il sostegno degli Hezbollah alle milizie filo-Assad è stato determinante nel riuscire a radere al suolo la cittadina e a debellare la controparte, formata da militanti dell’Esercito Siriano Libero (ESL) e dell’opposizione islamista.

Ma la battaglia di Qusayr ha parallelamente sancito la trasformazione del ruolo regionale del Partito di Dio, con la piena partecipazione al conflitto in Siria. Nella retorica del segretario generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, il sostegno al regime damasceno si era espressa fino a quel momento in termini meramente politici, mantenendo basso il profilo delle sue implicazioni militari. L’operazione di Qusayr è stata, invece, sbandierata come un contributo cruciale alla difesa dei confini libanesi (Qusayr congiunge la zona nord-est del Libano alla regione siriana di Homs) dalla potenziale penetrazione dei militanti jihadisti.

Non è un caso che a partire dall’estate 2013 il numero di attentati esplicitamente rivolti contro Hezbollah si sia vertiginosamente intensificato, colpendo al cuore diverse località a maggioranza sciita. L’ascesa di gruppi di affiliazione salafita, sponsorizzati esternamente dall’Arabia Saudita, che hanno dichiarato guerra aperta al Partito di Dio, è un fenomeno in crescita, soprattutto nelle aree di Tripoli, Arsal (valle della Beqa’) e Sidone. In particolare Arsal è divenuta crogiuolo della sinergia tra militanti libanesi e opposizione siriana per compiere attentati tanto contro Hezbollah quanto contro le forze armate libanesi (accusate di agire in modo coordinato con il Partito di Dio).

Nel marzo 2014, inoltre, l’impegno bellico di Hezbollah nella battaglia di Yabroud, alle porte di Damasco, che ha acceso presso le comunità sciite libanesi un nuovo campanello d’allarme rispetto al rischio di rappresaglie da parte dei ribelli. Persino il maronita Michel Aoun, alleato di Hezbollah, ha a questo punto auspicato un ritiro delle milizie libanesi dal conflitto.

Ma il coinvolgimento internazionale di Hezbollah, sempre più ostentato, mostra quanto il partito, nonostante la lunga e studiata evoluzione interna, sia ancora fortemente imbrigliato nella sua identità “regionale”; ciò soprattutto per la forte dipendenza dall’Iran e in parte dal regime siriano. Proprio l’impegno bellico diretto richiesto dai suoi alleati-patroni regionali, infatti, ha imposto al movimento libanese di assumere una retorica sempre più allineata con quella del regime damasceno e dunque basata sull’affiliazione sciita, sulla protezione delle minoranze confessionali del Levante arabo e sulla difesa di queste ultime dai gruppi che predicano il jihad in Siria e l’imposizione di un califfato sunnita. Si tratta di progetti politici invisi anche alla maggior parte di siriani e dunque, mentre la presenza dei gruppi islamisti radicali (sostenuti dai Paesi del Golfo) cresce sul terreno, tanto il regime di Assad quanto Hezbollah traggono beneficio dal puntare tutto su una retorica anti-jihadista.

Si è trattato certamente di un adattamento difficile e rischioso per un partito che, dalla guerra con Israele nel 2006, aveva saputo massimizzare il suo consenso in Libano e nel resto della regione, attraverso l’elaborazione di un discorso politico “laico” e incentrato sulla muqāwama (resistenza) contro lo Stato ebraico. Sebbene Nasrallah rispolveri di continuo una retorica anti-israeliana, rivendicando azioni militari anti-sioniste, è evidente che l’afflato nazionalistico che questo poteva generare qualche anno fa è ora secondario rispetto alla centralità del conflitto siriano che contrappone le comunità sunnite e sciite.

Intanto, le perdite umane tra i giovani militanti di Hezbollah sono molto consistenti (si stima circa 15.000 uomini fino ad ora), e hanno colpito profondamente le comunità sciite del Libano, riserva per il potere militare del Partito e per il loro consenso politico: rappresentano dunque un dilemma per i vertici di Hezbollah. Molti tra le comunità sciite libanesi cominciano infatti a provare insofferenza per l’azione del partito oltreconfine, oltre a sentirsi oggetto diretto di attentati da parte dei filo-ribelli e non sentirsi più sufficientemente protetti. L’intensificarsi del conflitto, poi, indebolisce oggettivamente il potenziale bellico del partito, oltre a dare ad Israele il pretesto per compiere raid aerei in Siria volti a distruggere carichi di armi destinati probabilmente appunto a Hezbollah.

La guerra in Siria è stata per Hezbollah un obbligo pressoché impossibile da declinare ma certamente fin da subito è stato chiaro quanto la sua partecipazione sarebbe stata un’operazione “a perdere”, in termini di consenso domestico e in termini strategici. Il circolo si fa, d’altra parte, sempre più vizioso, a mano a mano che la durezza degli scontri sul terreno perpetua la stagnazione dell’equilibrio militare, il numero dei rifugiati in Libano cresce (oltre un milione di rifugiati ufficiali), e la pressione degli avversari politici incalza. In questo scenario complessivo, assai più che tre anni fa, è ancor  più “esistenziale” per Hezbollah che Assad resti al potere; ma ciò mostra, contemporaneamente, tutta la vulnerabilità del Partito di Dio.