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La Libia tra istituzioni deboli e milizie, nell’ombra salafita

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Sono passati oltre due anni dall’inizio della rivolta armata in Libia, ma il Paese appare, giorno dopo giorno, in sempre maggiore difficoltà sotto diversi aspetti. Il governo centrale è debole, l’apparato militare dello Stato è sopraffatto dalle milizie armate, sono riemerse profonde spaccature a livello sociale ed etnico, e si sta consolidando la corrente salafita che nei Paesi vicini – Tunisia ed Egitto in primis – ha già iniziato a giocare un ruolo anche politico. Questo clima di instabilità ha favorito e sta favorendo l’emergere di fenomeni jihadisti operativi. L’area maggiormente interessata è quella della Cirenaica, in particolare a Derna e Benghazi. È alla luce di questi sviluppi che si devono analizzare i possibili scenari libici. Assisteremo a uno slancio della fase di transizione democratica, un avanzamento della Fratellanza musulmana o un nuovo conflitto interno? Una vera e propria deriva politica islamista non sta ancora emergendo con chiarezza in Libia, ma alcuni segnali fanno pensare a un prossimo salto di qualità.

Nelle ultime settimane sono state attaccate le sedi diplomatiche di Francia, Ucraina e Tunisia. Se si considera che l’attentato del 23 aprile ha colpito un Paese impegnato in prima linea nella campagna militare nel nord del Mali, qual è la Francia, e che AQIM (Al-Qaeda nel Maghreb Islamico) ha più volte minacciato Parigi, si comprende la gravità di questo attacco, che confermerebbe la presenza di cellule e/o gruppi jihadisti operanti sotto la galassia qaedista. Dietro l’attacco, ha dichiarato al quotidiano panarabo Al-Quds al-Arabi l’esperto algerino Ali Zawi, vi sarebbe in particolare l’ala qaedista attiva nel Sahara, guidata da Abu al-Hamam. Il territorio libico rientrerebbe dunque nella più ampia strategia espansionistica di Al-Qaeda nella regione nordafricana e del Sahel.

La fragilità della situazione di sicurezza influenza la crisi politica in atto, che a sua volta contribuisce ad accrescere il senso di insicurezza nel Paese con un vero effetto a spirale. Domenica 5 maggio, il parlamento libico, dopo diversi giorni di occupazioni e manifestazioni armate da parte delle milizie a Tripoli, ha approvato una legge molto discussa  che dovrebbe allontanare dalle cariche istituzionali tutti coloro che hanno in qualche modo collaborato con il regime di Al-Qaddhafi. Secondo diversi osservatori, questa azione del parlamento libico dimostra tutta la sua debolezza di fronte al potere militare delle milizie: in effetti, dopo mesi di discussioni e proposte, questa legge è stata votata soltanto dopo che diverse milizie hanno dispiegato nella capitale libica le loro armi pesanti, assediando alcuni ministeri sensibili come quello degli Esteri, dell’Interno e della Giustizia. Il primo round di questo braccio di ferro con le istituzioni sembra sia stato vinto, dunque, dalle milizie, che ora alzano il tiro e chiedono lo scioglimento del governo e l’inserimento della legge appena votata nella nuova Costituzione.

Tale scenario fa presagire una profonda crisi politica che nei prossimi giorni potrebbe far sprofondare il Paese nel caos e nel vuoto di potere. Un vuoto che potrebbe essere colmato dalla Fratellanza musulmana, in coordinamento con l’ala più oltranzista, quella salafita, dotata a sua volta di proprie milizie. È uno scenario per certi versi simile a quello già verificatosi in Egitto e Tunisia, a fronte del quale il ministro della Difesa libico, Salah al-Murghuni, ha già presentato le sue dimissioni, prontamente respinte per ora dal parlamento.

In questo clima, cominciano anche a riemergere vecchi fantasmi del passato, dimostrando che in realtà la guerra civile libica non è terminata. Nelle prossime settimane ci saranno passaggi molto delicati: con un comunicato diffuso il 7 maggio, gli abitanti di Tawergha, una cittadina a pochi chilometri da Misurata, a est di Tripoli, hanno chiesto il sostegno della comunità internazionale per fare ritorno nelle loro abitazioni, il prossimo 25 giugno. I tawerghini sono stati espulsi durante la rivoluzione libica perché accusati di sostenere il vecchio regime, e un loro ritorno potrebbe far riemergere vecchi rancori, in particolare da parte degli abitanti di Misurata, che continuano ad accusarli di crimini di guerra. A ciò si aggiunge l’annuncio della nascita di una nuova brigata leale a Seif al-Islam al-Qaddhafi, figlio del defunto Colonnello e sotto processo a Zintan, che ne chiede la liberazione e la nomina a capo dello Stato, come “soluzione alla crisi in atto”.

Lo scenario finora descritto pone un quesito cruciale: la comunità internazionale sarà nuovamente chiamata a intervenire in Libia – vista anche la sua importanza strategica regionale, in presenza di confini a dir poco porosi? L’opinione pubblica libica e i media nazionali hanno già avviato un dibattito a riguardo, coscienti del fatto che soltanto il rafforzamento delle autorità centrali e il disarmo delle milizie potranno evitare una nuova crisi violenta e un nuovo intervento straniero.