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Perché la Polonia rimane europea

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È la prima volta dal 1989. Non era mai successo nella storia della giovane democrazia polacca che la coalizione di governo uscente ottenesse una conferma elettorale. Nelle elezioni politiche svoltesi il 9 ottobre, invece, il partito liberale del presidente del consiglio Donald Tusk, Piattaforma Civica (PO), ha avuto il 39,1% dei consensi (pari a 206 seggi), che, sommato all’8,3% (28 seggi) ottenuto dagli alleati del Partito dei Contadini (PSL), permette al governo uscente di avere la maggioranza (seppur esigua) dei seggi nella Sejm, la camera bassa di Varsavia (460 seggi totali).

Grande sconfitto della tornata elettorale è Jaroslaw Kaczynski, leader del partito conservatore Diritto e Giustizia (PIS) che ha ricevuto il 29,8% dei voti, mentre la sorpresa assoluta è rappresentata dall’affermazione del Movimento Palikot (RP) con il 10,1% dei consensi.

Il Movimento Palikot è un partito di recente formazione (1 giugno 2011), guidato dal magnate Janusz Palikot, fuoriuscito dal PO ed eletto per la prima volta nel 2005; da allora si è reso protagonista di azioni provocatorie di stampo populista. Il Movimento Palikot si è affermato come terza forza politica del paese con una campagna politica impregnata di anticlericalismo, incentrata sulla rivendicazione di diritti civili per gli omosessuali (facendo inoltre eleggere il primo transessuale della storia del parlamento polacco), della liberalizzazione delle droghe leggere e di meno restrizioni per l’aborto. Una novità quasi assoluta in un paese cattolico come la Polonia.

Janosz Palikot, con questo populismo anti-conservatore, ha strappato consensi al partito socialdemocratico, attestatosi all’8,2% (-4,9% rispetto al 2007), e alla stessa Piattaforma Civica (i cui consensi sono lievemente calati del 2,4%). È un risultato in controtendenza con quanto avvenuto nelle vicine Ungheria e Slovacchia, dove le “sorprese elettorali” sono stati partiti fortemente conservatori e nazionalisti come Jobbik e il Partito Nazionale Slovacco.  

Il dato più rilevante di queste elezioni è la sconfitta del partito nazionale populista, sostenuto apertamente dalla Chiesa, e guidato da Jaroslaw Kaczynski, che era già stato sconfitto nell’estate del 2010 nella corsa alla presidenza della Repubblica (vinta dal liberale esponente di PO Bronislaw Kornorowski). Kaczynski, già a capo del governo tra il 2006 e il 2007 (quando promosse una crociata contro i presunti collaborazionisti del regime comunista, arrivando ad accusare un protagonista della transizione democratica come Bronislaw Geremek), assume posizioni anti-tedesche, euroscettiche, russofobiche. Inoltre non ha mancato, a pochi giorni dalle elezioni, di rispolverare antiche paure nazionali attaccando la Germania (principale alleato economico del paese) accusandola di avere mire imperialistiche a scapito della Polonia.

Kaczynski, con i suoi abbondanti riferimenti alla storia del paese (condizionata dalle spartizioni operate dagli imperi tedesco e russo), e con il suo profondo antieuropeismo, può essere considerato un esponente del vento nazionalista. Richiamandosi ai “miti” del passato, è un vento che soffia in Europa centro-orientale e che ha oggi il suo paladino nel premier ungherese Viktor Orban, fautore di politiche che secondo molti hanno portato il paese sulla via del regresso democratico. Il presidente di Diritto e Giustizia considera quello ungherese un esempio, tanto da augurarsi, nel commentare il risultato elettorale, di riuscire a portare un giorno “Budapest a Varsavia”.

I principali quotidiani polacchi (Gazeta Wyborcza e Rzeczpospolita) individuano, tra le ragioni della riconferma di Donald Tusk, l’imprevedibilità del PIS e le stranezze del suo presidente, cui gli elettori hanno preferito la stabilità del principale partito di governo – a cui si riconosce di aver mantenuto relativamente invariato lo stile di vita della popolazione, a fronte di quanto sta avvenendo in molti paesi vicini.

La sconfitta di Kaczynski è stata favorita da una sostanziale tenuta dell’economia polacca alla crisi economica (il tasso di crescita, nel 2010, era al 3,9%, due punti percentuali superiore alla media UE-27, e quello di disoccupazione al 9,6%, appena al di sotto della media europea), a sua volta resa possibile dall’asse con la vicina Germania. La situazione polacca può dunque considerarsi in controtendenza rispetto alle tendenze euroscettiche e nazionaliste che, fornendo ricette populiste e semplicistiche alla crisi in atto, stanno facendo proseliti in tutto il continente.