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La Libia sono io

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Con il discorso di Gheddafi sui ratti e sui drogati, sull’America e sull’Italia, è diventato chiaro che il colonnello resisterà fino alla fine. Il prezzo sarà un bagno di sangue interno; ma, sembra dire Gheddafi, la Libia sono io.

Nella follia cruenta di questa affermazione c’è un grano di verità. La Libia, fino ad oggi, è stata tenuta insieme non da istituzioni, non dall’esercito, ma dal potere personale di Gheddafi. A differenza che nei casi di Tunisia ed Egitto, dove è stato possibile liberarsi del dittatore ma salvare lo stato – grazie a un coup militare morbido dell’esercito – nel caso della Libia il crollo di Gheddafi si porterebbe dietro il crollo del paese. E un vuoto di potere.

Gli apparati militari, in Tunisia ed Egitto, erano sufficientemente forti e unitari per reggere al cambio di vertice. In Libia, il regime è centrato sulla famiglia e la tribù di Gheddafi (Gadafa) e l’esercito ha lealtà divise. Esistono due altre tribù principali (Zuwiyya e Warfalla), i cui capi hanno annunciato di non sostenere più il colonnello. La tribù Zuwiyya, concentrata nell’Est del paese, è in posizione di ostruire le esportazioni di petrolio del paese. È uno scenario da prevedere, con le sue conseguenze sui prezzi del petrolio e le forniture energetiche di Europa ed Italia.

Non solo: la rivolta delle due più larghe tribù del paese (assieme a una terza, Meqarha) significa che reparti dell’esercito e delle forze di sicurezza dovranno scegliere da che parte stare, con la propria tribù o la nazione. La possibilità di una guerra civile è quindi molto alta. In questo scenario, la Libia potrebbe anche spaccarsi. Esistono già i segnali della secessione della Cirenaica islamica. Questa opzione – la spaccatura in due tronconi, fra Tripoli e Bengasi – segnerebbe la fine dello Stato unitario. Eviterebbe, d’altra parte, una implosione di tipo somalo, con una frammentazione più estesa fra centri di potere in conflitto.

La drammaticità della situazione è connessa ai suoi costi umani; ma dipende anche dal fatto che non c’è nessuna vera alternativa a un potere personale quarantennale. In Libia, a differenza che in Egitto e in Tunisia, il crollo del leader segnerebbe anche un regime change. Ma verso l’anarchia.

È la prospettiva temuta dagli europei – per le sue conseguenze sui flussi petroliferi e migratori. Ed è un incubo per l’Egitto, alle prese con la transizione al dopo Mubarak, e che ha molto da temere da una Libia priva di controllo centrale.

Resta che, di fronte al sanguinoso scontro interno, la difesa del passato non è più un’opzione. Una soglia è ormai stata varcata.

Nei giorni scorsi, Francia e Gran Bretagna hanno deciso di interrompere la fornitura a Tripoli di materiali di sicurezza che possano servire alla repressione interna. Da parte sua, Angela Merkel ha cominciato a parlare di sanzioni. Ma se la repressione interna dovesse scatenarsi con ancora maggiore violenza, la questione di un intervento internazionale diventerebbe ineludibile.