international analysis and commentary

Clima ed energia: la corsa contro il tempo che si può vincere

344

Il rapporto tra clima e fonti energetiche è diventato chiaramente centrale. Ciò è vero qualunque sia la posizione che si assume rispetto ai complessi dibattiti sulla rapidità e l’intensità dei cambiamenti climatici. Il cosiddetto mix energetico (soprattutto la percentuale rispettivamente di fonti fossili e rinnovabili), e le stesse modalità di utilizzo di ciascun tipo di risorsa, determinano in larga misura l’impatto delle attività umane sull’ambiente.

In effetti, la capacità di sfruttare al meglio (stante i limiti fisici della dispersione) le risorse disponibili è un fattore assolutamente decisivo. Non c’è nulla di nuovo nella ricerca di maggiore efficienza energetica: è certamente un ingrediente essenziale per un futuro migliore, ma lo è in realtà da sempre, e i risultati tangibili degli ultimi decenni sono stati impressionanti. Guardando ad esempio agli Stati Uniti, secondo uno studio recente del Bipartisan Policy Center, senza gli aumenti di efficienza il consumo energetico sarebbe triplicato dal 1970 ad oggi, mentre è cresciuto in effetti del 60% (cioè un quinto di quanto sarebbe accaduto altrimenti). Dal 2000, il consumo di elettricità pro capite negli Stati Uniti è in diminuzione, e in un’era di proliferazione di grandi e piccoli apparecchi elettronici anche questo è un dato interessante.

Mentre è indispensabile tenere alta la guardia rispetto agli indicatori di deterioramento ambientale e ai rischi legati all’incertezza (in un’accezione ragionevole del “principio di precauzione” è anche vero che si deve tenere conto di alcuni segnali positivi. Nascondere o sottovalutare i progressi che il settore energetico è stato in grado di realizzare significa assumere un atteggiamento preconcetto e negativo verso l’innovazione, viziando il dibattito sugli interventi possibili e riducendo in effetti le nostre capacità collettive di innovare in modo responsabile.

Inoltre, se si esce dai confini del mondo economicamente più sviluppato, i dati storici indicano che senza abbondanti disponibilità energetiche non si esce dalla povertà. Dunque, in ogni caso un forte aumento di produzione, soprattutto elettrica, deve far parte del futuro globale. L’efficienza è – come appunto è sempre stata – un ingrediente fondamentale di tale processo: si tratta oggi soprattutto della costruzione di smart grid, cioè di sistemi di distribuzione “intelligenti” capaci di spostare rapidamente energia dove c’è domanda, grazie a forme di stoccaggio che probabilmente saranno sempre più distribuite e localizzate (invece che centralizzate). In parallelo con lo sviluppo delle fonti rinnovabili, infatti, questo versante dell’innovazione potrebbe rivelarsi determinante.

Se anche solo una parte di tali opportunità saranno realizzate, potremmo avere di fronte uno scenario di abbondanza energetica globale, che a sua volta apre possibilità quasi impensabili per risolvere altri problemi come la fornitura di acqua potabile o perfino la stessa sfida dei cambiamenti climatici.

Le ipotesi di questo tipo sono considerate altamente probabili da coloro che possiamo definire “tecno-ottimisti” – se veda ad esempio il libro di Peter H. Diamandis e Steven Kotler del 2012 (Abundance. The future is better than you think), o quello di Matt Ridley del 2010 (The rational optimist. How prosperity evolves). Il quadro qui dipinto prevede sostanzialmente un futuro di crescita sostenibile per il pianeta, cioè senza costi aggiuntivi in termini di consumi complessivi.

Sembra un mondo radicalmente diverso da quello descritto, ad esempio, da Naomi Klein – nota voce duramente critica verso la globalizzazione – nel suo ultimo libro (This changes everything: capitalism vs. the climate), secondo cui nell’ambito dell’attuale sistema economico mondiale non si potrà risolvere il problema del cambiamento climatico per la semplice ragione che il problema di fondo è proprio il capitalismo. In particolare, la crescita ad ogni costo starebbe, letteralmente e materialmente, distruggendo le basi stesse della società umana – come ci ricordano i cambiamenti climatici registrati negli ultimi anni.

Klein indica l’opzione alternativa in un processo di “decrescita controllata”, visto che la crescita senza fine è appunto incompatibile con la salvaguardia del pianeta. L’autrice parla anche di “rigenerazione”, per cui si darebbe nuovo impulso alla creatività pur abbandonando la prospettiva del profitto; ma è francamente difficile immaginare come ciò possa funzionare se non come contrazione del benessere materiale complessivo.

Chi ha ragione allora? I tecno-ottimisti del bicchiere mezzo pieno (e forse più), o gli eco-catastrofisti della fine del capitalismo (l’alternativa essendo in pratica la fine del mondo) che vedono il bicchiere mezzo vuoto? I primi confidano nella capacità della tecnologia di trascendere i limiti (compresi quelli energetici), mentre i secondi ritengono che il meccanismo del profitto (indispensabile al progresso tecnologico per come lo conosciamo) sia diventato autodistruttivo. È possibile che siano vere entrambe le affermazioni di fondo, e infatti tra le due non c’è contraddizione logica. Non possiamo però permetterci di aspettare per vedere quale tra le due dinamiche sarà prevalente.

Se si guarda al rapporto tra energia e ambiente, è dunque in atto una corsa contro il tempo: si cerca di sviluppare le tecnologie adeguate per garantire energia sufficiente alla popolazione terrestre prima che l’ecosistema subisca danni irreparabili. Va detto che l’esito auspicato da Naomi Klein e altri è alquanto rischioso: il collasso del capitalismo avrebbe probabilmente varie conseguenze indesiderate, ed è opportuno ricordarsi anche qui di applicare (sempre con moderazione) il principio di precauzione tanto caro agli ambientalisti. Il capitalismo, pur con tutti i suoi difetti, è stato per l’umanità una sorta di gallina dalle uova d’oro: chi ha il coraggio di ucciderla? E per sostituirla con che cosa?

Per ora non si è infatti escogitato un meccanismo migliore del profitto per incentivare individui e soprattutto grandi organizzazioni a investire nella ricerca scientifica; non è il caso di far crollare l’edificio dell’economia globale, e far magari morire così Sansone (il progresso scientifico-tecnologico) con tutti i Filistei (le attività dannose per l’ambiente).

Se siamo intrappolati in questo sistema, dobbiamo piuttosto sperare che le sue stesse dinamiche di avanzamento tecnologico ci portino a soluzioni accettabili sebbene non perfette, come del resto è accaduto sistematicamente in passato. E vincere la nostra corsa contro il tempo.