Sei mesi dall’inizio dell’invasione russa d’Ucraina
Himars. È questa la parola chiave delle ultime settimane per raccontare gli sviluppi dell’invasione russa d’Ucraina. L’High Mobility Artillery Rocket System è un sistema multiplo di lanciarazzi, molto leggero, che viene montato su mezzi militari e che si contraddistingue per la capacità di colpire, danneggiandoli in maniera profonda, obiettivi fino a 120 chilometri di distanza.
In attesa del cambio di scenario
Gli esperti statunitensi considerano questi sistemi, forniti dalla Casa Bianca a Kiev a partire dallo scorso luglio, dei veri e propri “game changer“, armi che potrebbero essere in grado di produrre un cambiamento importante negli equilibri del conflitto e che hanno già lasciato una traccia decisa sul terreno, con più di trenta attacchi dell’esercito ucraino andati a segno contro centri di smistamento, depositi di munizioni e strutture logistiche del comando militare russo, almeno secondo quanto reso noto dal Centro per la Comunicazione Strategica e la Sicurezza Informatica del governo ucraino. “Le forze armate ucraine stanno utilizzando i sistemi missilistici a lunga gittata con grandi risultati – ha dichiarato qualche settimana fa il segretario USA della Difesa Lloyd J. Austin – e penso che la differenza che queste armi stanno producendo sul campo sia visibile a tutti”.
Dopo una fase del conflitto, dunque, che sembrava favorevole alla Russia, in grado di conquistare, fra la fine della primavera e l’inizio dell’estate, tutta la provincia del Lugansk e il cuore industriale dell’Ucraina orientale nel Donbass, la sensazione è che ora i militari ucraini siano in grado di realizzare azioni di contro-offensiva per riguadagnare posizioni soprattutto sulla costa meridionale del paese, nell’area del Mar Nero. I 16 sistemi Himars inviati dagli Stati Uniti a Kiev, con annesso addestramento del personale militare ucraino, sono stati sinora utilizzati, ad esempio, per alimentare attacchi verso la città di Kherson, presso la foce del Dneper, importante per raggiungere sia la Crimea che la zona di Mariupol, e al momento sotto il controllo di Mosca.
Queste azioni, unite ad operazioni di sabotaggio in Crimea e alla crescente guerriglia partigiana delle regioni limitrofe, soprattutto nell’oblast sud-orientale di Zaporizhzhia, hanno obbligato la Russia a trasferire diverse migliaia di uomini dal Donbass verso il Sud, riaprendo un fronte che i russi credevano di avere del tutto sotto controllo. Le azioni di disturbo e contrattacco lanciate dall’Ucraina in luglio e agosto non sono, peraltro, importanti soltanto dal punto di vista strategico, ma anche sul fronte interno, in quanto rinvigoriscono le energie mentali sia delle truppe sul campo che della popolazione civile.
I rapporti di forza militari
Un altro elemento cui prestare attenzione, guardando ai prossimi mesi di guerra e ai sei mesi di conflitto ormai alle spalle, riguarda una sorta di seconda fase che gli Stati Uniti hanno deciso di intraprendere per quanto concerne il supporto militare a Kiev. Il livello tecnico delle armi spedite da Washington sta infatti crescendo esponenzialmente, come dimostra l’invio, oltre agli Himars, degli ScanEagle, droni utilizzati per localizzare e abbattere i mezzi aerei russi e che possono rimanere in quota per più di 18 ore.
Ovviamente, non è abbastanza per poter pensare a un totale ribaltamento dei rapporti di forza, sul piano militare, fra Ucraina e Russia, che continua ad avere una superiorità strategica decisiva su più fronti. In campo aperto, ad esempio, le limitate risorse d’artiglieria dell’esercito ucraino non permettono di lanciare offensive dirette, ma costringono gli ucraini a spostarsi rapidamente, dopo le incursioni, per evitare il fuoco di controbatteria russo. La Russia, infatti, può contare su una missilistica a lungo raggio che non è invece nella disponibilità ucraina e la cui mancanza blocca sul nascere ogni tentativo di attacco frontale. Proprio su questo aspetto, nelle ultime settimane, è cresciuta la pressione del ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov sugli Stati Uniti affinché vengano finalmente forniti a Kiev i sistemi missilistici a lungo raggio come ATACMS (Army Tactical Missile System), con una portata fino a 300 chilometri . “Speriamo che venga presa rapidamente una decisione politica per fornirci gli ATACMS”, ha dichiarato all’inizio di agosto Reznikov durante un’intervista alla radiotelevisione di stato USA, Voice of America. “Questo ci consentirebbe non solo di proteggere i nostri soldati, ma soprattutto di attaccare gli avversari in maniera molto più efficace”.
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La situazione di ingaggio attuale costituisce comunque un segnale importante rispetto a quello che è possibile aspettarsi da questa fase del conflitto: un impegno sempre più deciso di Washington e della NATO al fianco dell’Ucraina. Potrebbe andare in questa direzione l’invio a Kiev di aerei da combattimento, bloccato fino ad ora dal tentativo diplomatico di non creare un’ulteriore frizione politica fra Mosca e l’alleanza euro-atlantica, ma di cui si comincia adesso a discutere in maniera sempre più concreta.
Nei primi sei mesi di guerra la disparità di risorse fra Ucraina e Russia ha consegnato i cieli, inesorabilmente, in mano a Mosca. Con oltre 1.500 jet militari, contro gli appena 100 degli ucraini, l’esercito russo ha potuto fornire un supporto aereo sostanziale alle sue truppe di terra, spingendosi fino a duecento azioni aeree al giorno, mentre Kiev ha dovuto condurre una battaglia selettiva, difendendosi in aria solo dove necessario, per evitare di perdere la sua già ridottissima flotta, composta principalmente da caccia MIG-29 e SU-27 e da bombardieri tattici Su-24 ed SU-25.
Per questo motivo, dal 24 febbraio l’Ucraina si è affidata, per quanto riguarda la difesa dagli attacchi aerei, a sistemi missilistici terra-aria a lungo raggio, peraltro con risultati notevoli, ma comunque senza poter controbattere alla supremazia di Mosca. Importanti sono stati anche i droni, soprattutto il bombardiere a guida laser Bayraktar TB2, di fabbricazione turca, e gli statunitensi Phoenix Ghost e Switchblade. A prescindere dal buon lavoro difensivo portato avanti dall’Ucraina, è evidente come la rimozione del blocco delle forniture di mezzi aerei da parte della NATO cambierebbe radicalmente il conflitto. Un esercito ucraino in grado di poter contare su caccia da combattimento come F-15 ed F-16 sarebbe ancora più rinforzato nel suo tentativo di riaprire, stavolta in maniera definitiva, il fronte meridionale del conflitto.
Zelensky, gli ucraini e l’Occidente
A partire da queste dinamiche emerge in maniera lampante come il messaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al mondo occidentale, a sei mesi dall’inizio della guerra, continui a essere sempre lo stesso: “abbiamo bisogno soltanto di armi e, se possibile, di costringere Putin a sedersi al tavolo delle negoziazioni con noi”. Si tratta di una posizione, d’altronde, condivisa da gran parte della popolazione ucraina, che in questo semestre di conflitto ha dimostrato di essere determinata a resistere contro l’invasione e in totale consonanza con il governo.
Una rappresentazione plastica del morale degli ucraini rispetto al conflitto è in effetti quella delle migliaia di persone che, recentemente, sono accorse nel centro di Kiev per assistere all’esposizione, organizzata dal ministero della difesa ucraino, dei mezzi russi abbattuti in guerra, una lunghissima sequenza di carri armati, pezzi di artiglieria, camion militari, elicotteri e aerei, esposti sul centralissimo Khreshchatyk, il viale principale di Kiev, che ha attirato folle di cittadini, desiderosi di scattare un selfie ricordo accanto a un armamento russo distrutto.
Di certo gli appelli di Zelensky sinora non sono rimasti inascoltati, se è vero che gli Stati Uniti, da febbraio ad agosto 2022, hanno inviato più di 10 miliardi di dollari soltanto in aiuti militari, che si aggiungono ai 2,5 miliardi di euro stanziati dall’Unione Europea ai 2,3 miliardi di sterline del Regno Unito. Per comprendere a fondo l’importanza di queste cifre, basta pensare che l’intero budget per gli aiuti militari esteri degli USA, nel 2020, è stato di 11,6 miliardi di dollari, una cifra che includeva 3,3 miliardi per Israele, 2,8 miliardi per l’Afghanistan e 1,3 miliardi per l’Egitto. Da questo punto di vista, peraltro, il conflitto ucraino ha fatto emergere la centralità statunitense negli equilibri geopolitici del continente europeo, un elemento ancora decisivo e che mantiene gli USA ben saldi nel loro ruolo di leader indiscussi dell’Occidente.
Ma nonostante un apparente recupero dell’esercito ucraino nella zona meridionale del paese, le cifre sempre più importanti ricevute in aiuto militari e l’utilizzo di armi e mezzi via via più sofisticate, sarebbe comunque un errore pensare a immediati stravolgimenti di fronte nel conflitto. L’idea che l’Ucraina stia recuperando potrebbe rendere infatti meno incisiva la richiesta di aiuti militari, un fattore che va analizzato anche in relazione alle turbolenze politiche e sociali che si appresta a dover affrontare l’Europa, a pochi mesi da un inverno che si preannuncia durissimo sul fronte energetico.
Le carte in mano a Putin
Proprio su questo punta molto Vladimir Putin, che si aspetta una flessione del supporto UE verso Kiev dopo una stagione invernale che spingerà i prezzi di gas e petrolio ai massimi storici. Il presidente russo, è evidente, sta combattendo oggi una guerra diversa da quella che aveva ipotizzato, ma rimane, nonostante una crisi economica epocale per la Russia e rapporti via via sempre più freddi con i vertici di forze armate e intelligence dell’FSB, in controllo della situazione, soprattutto se lo scenario resterà quello al momento più probabile, vale a dire una guerra d’attrito in cui sarà l’esercito più abituato a sostenere il logorio della battaglia ad avere la meglio, una caratteristica, questa, che pone la Russia in uno stato di apparente vantaggio.
Inoltre, Putin può ancora contare su un ampio numero di riservisti, dato che, nonostante se ne sia parlato per mesi, le truppe regolari russe non sono mai state rinforzate da aiuti esterni, e punta a tenere sotto pressione l’opinione pubblica russa organizzando, in settembre, un processo spettacolo contro i prigionieri del battaglione Azov catturati nella battaglia di Mariupol, accusati di “nazismo”.
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Un altro fattore da tenere in considerazione riguarda la possibilità che la Russia decida di dichiarare, tramite dei referendum pilotati, sull’esempio di quanto accaduto in Crimea nel 2014, l’annessione ufficiale dei territori di Lugansk, Donetsk e Kherson, un’eventualità più volte ribadita nelle ultime settimane dal portavoce statunitense per la Sicurezza Nazionale, John Kirby. Si tratterebbe, evidentemente, di una mossa che non avrebbe alcun valore sul fronte del riconoscimento internazionale (come già accaduto, appunto, per la Crimea) ma che servirebbe semplicemente come strumento di propaganda interna per Mosca.
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In ogni caso, questa guerra, sino ad ora, ha insegnato che è difficile fare previsioni. Lo scenario più plausibile prevede sempre, nel lungo termine, una Russia in grado di controllare tutta la porzione est del paese, con il Donbass al completo, ma incapace di procedere oltre. Una situazione, dunque, di stallo, con il territorio ucraino tagliato in due e in una sostanziale condizione di tensione perenne.
A fare da sfondo, drammatico, a questi primi sei mesi di guerra, ci sono infine i numeri relativi a morti, feriti e sfollati. Secondo le Nazioni Unite, i civili ucraini rimasti uccisi da febbraio ad oggi sarebbero fra i 6.000 e gli 8.000 (ma è un calcolo al ribasso, per gli ufficiali ucraini i civili uccisi sarebbero quasi 50.000), con più di 10.000 feriti, cui vanno aggiunti i circa 10.000 morti e i 30.000 feriti dell’esercito ucraino. Più difficili le stime relative al fronte russo, che possono comunque essere calcolate, approssimando le stime rilasciate da governo ucraino, governo di Mosca, NATO e Pentagono, in almeno 20.000 militari caduti e 40.000 feriti. In totale, dunque, sino ad oggi, nell’invasione russa d’Ucraina sarebbero morte, almeno, quasi 40.000 persone.
Un’ecatombe mostruosa, cui si aggiungono i dodici milioni di ucraini (il 30% degli abitanti del Paese, la cui popolazione totale era di 42 milioni) costretti ad andarsene a causa della guerra: sei milioni sono oggi in altri paesi europei, mentre la restante metà ha trovato rifugio dentro i confini ucraini. Secondo l’Alto Commissariato per le Nazioni Unite in totale dieci milioni di cittadini ucraini hanno oltrepassato il confine dall’inizio del conflitto ad oggi, ma molti, quasi quattro milioni, hanno deciso, da maggio in avanti, di ritornare indietro, di ritornare a casa, nella speranza convinta che la guerra finirà presto.