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Pensare come una foresta per la transizione sostenibile

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Il premio Nobel Giorgio Parisi ci dice che “Tutto ciò che vediamo intorno a noi è un sistema complesso, compresi noi stessi. Nel cervello o nell’organismo i neuroni o gli organi si scambiano di continuo messaggi che influenzano il loro funzionamento. Sistemi complessi sono anche le interazioni tra le persone protagoniste dell’economia e altrettanto un ecosistema con i vari organismi in azione o l’intero insieme della vita sulla Terra.” [1]

Complessità infatti è una parola di moda ed è molto difficile trovare delle definizioni precise che ne catturino tutte le sfumature con cui è usata comunemente. A volte complesso viene considerato un sinonimo di complicato, di incomprensibile; in realtà, i sistemi complessi in natura possono essere studiati e il loro funzionamento può essere utilizzato per sviluppare strumenti di decision-making in grado di favorire la ricerca di equilibrio nel sistema globale che può garantire la sostenibilità.

Probabilmente, per la prima volta nella storia, l’umanità intera si trova oggi a dover affrontare una sfida collettiva che potrebbe mettere a repentaglio la sopravvivenza di tutto il genere umano. Per affrontare le sfide dello sviluppo sostenibile possiamo seguire ed imparare da quei meccanismi di funzionamento della natura che possono essere di ispirazione in un’ottica molto ampia.

 

Siamo infatti di fronte a tutte caratteristiche tipiche di quello che in natura viene chiamato un sistema complesso: l’interconnessione degli elementi che devono essere considerati per poter raggiungere una sostenibilità nel lungo periodo; la diversità degli attori coinvolti; le loro diverse urgenze e priorità; e l’imprevedibilità che nasce dai fenomeni che emergono quando questi elementi interagiscono.

La caratteristica principale della complessità è che tanti elementi diversi e indipendenti ma connessi tra loro, presentano caratteristiche aggregate che non sono evidenti singolarmente, rendendo la comprensione imprevedibile e incontrollabile.

Con la crescita esponenziale delle tecnologie, la velocità con cui si scambiano informazioni e l’interconnessione dei vari angoli della terra, il linguaggio della complessità non è più solamente applicabile alla natura ma è entrato a far parte dei sistemi umani; di conseguenza, è diventato molto difficile fare previsioni affidabili sui sistemi economici, produttivi, sociali ed ecologici.

Per affrontare il cambiamento climatico globale, lo sfruttamento delle risorse, e la necessità di sfamare un numero sempre crescente di persone, risulta difficile applicare le logiche tradizionali del problem solving che sono lineari, monodimensionali e riduzionistiche. Infatti, in un sistema interconnesso approcciarsi alle sfide tentando di risolvere in sequenza una serie di problemi circoscritti non ci permette di tenere conto degli effetti collaterali e dei trade off che si generano.

 

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La risoluzione lineare di un problema significa spostare il problema ad una sua radice più profonda e quindi amplificare le conseguenze. Facendo un esempio: se consideriamo l’utilizzo di veicoli elettrici come una delle soluzioni alla CO2 nell’atmosfera, dobbiamo anche valutare che queste necessitano di enormi quantità di metalli rari la cui estrazione esercita conseguentemente un’enorme pressione sociale sulle popolazioni di alcune economie emergenti.

Per raggiungere l’equilibrio in un sistema complesso bisogna pensare come una foresta (non come i singoli alberi che la compongono): acquisire una visione sistemica, avvantaggiarci dell’intelligenza collettiva e decentralizzata degli elementi del sistema che sono interconnessi e rigenerativi.

Diversità, interdipendenza, non linearità ed emergenza rappresentano le caratteristiche chiave dei sistemi complessi: comprendere il loro funzionamento ci permette di progettare alcuni “antidoti agli effetti della complessità” che possono aiutarci a non subire l’imprevedibilità e ad identificare le linee di tendenza, i pattern e quelle ricorrenze necessarie per prendere decisioni.

A giugno del 2020 la German Environment Agency ha stilato una lista di “nicchie” che hanno una potenzialità trasformativa per la sostenibilità del sistema alimentare. L’idea è di sviluppare e dare autonomia a piccoli distretti che possono essere in grado di sviluppare innovazioni e soluzioni radicali. Questi distretti sono aree protette per alternative radicali pionieristiche, luoghi di innovazione radicale dove piccole reti di attori danno vita a soluzioni sociali, ecologiche o tecnologiche, basate sulla sperimentazione e su visioni condivise. Nelle intenzioni dei suoi promotori, una volta sperimentate soluzioni efficaci nei regimi di nicchia queste passeranno al livello successivo, contaminando tutta la rete produttiva con cui entrano in contatto.

Per poter gestire l’organizzazione nei sistemi complessi la natura ci suggerisce di basarci su sistemi decentrallizati che necessitano di una forma di governance “eterarchica”, cioè una gerarchia non piramidale ma flessibile in grado di redistribuire il potere tra le unità interdipendenti evitando così di rimanere bloccati quando sopraggiunge il cambiamento.

I regimi di nicchia e le strutture organizzative di tipo eterarchico possono aiutare a sviluppare soluzioni innovative e risposte rapide ai sempre più frequenti shock del sistema.

Per far fronte invece all’imprevedibilità che nasce dai fenomeni emergenti nei sistemi complessi, soprattutto rispetto alle esigenze del consenso politico, può venirci in aiuto una nuova narrazione che ci abitui a sviluppare un approccio positivo nei confronti del caso e del cambiamento.

Nassim Nicholas Taleb (l’autore del famoso libro sul “cigno nero”) ha analizzato il concetto di “fragilità” (in un successivo libro del 2013) e si riferisce alla “antifragilità” come al modo in cui un sistema beneficia della variabilità del proprio ambiente sopra una certa soglia prestabilita. Applicare il concetto di antifragilità ci può portare a sperimentare che una graduale e misurata perdita di controllo è in grado di favorire risultati e benefici migliori. Includendo ridondanza e una serie di opzioni aperte nelle scelte che facciamo possiamo avvantaggiarci dell’antifrangilità intrinseca dei sistemi complessi permettendo al nostro sistema di crescere nei momenti di disordine e di diventare più forti quando si è sottoposti a stress.

Come ultimo antidoto agli effetti della complessità, lo sviluppo di scenari futuri è risultato molto efficace per ovviare alla pressante impossibilità di fare previsioni attendibili. Nel 2017, il World Economic Forum’s System Initiative on Food Security and Agriculture ha sviluppato questo strumento per identificare quali percorsi la società potrebbe intraprendere in futuro aiutando cosi la definizione e l’emergenza di pattern da poter percorrere.

 

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Definire lo sviluppo sostenibile della società non è uno sforzo meramente scientifico, ma prima di tutto culturale e poi anche politico. Assieme agli altri antidoti identificati, gli scenari possono essere un potente strumento per esplorare potenziali soluzioni, ampliando le prospettive sulle possibilità di ciò che può accadere in futuro e sulle implicazioni delle scelte che facciamo oggi.

 

 


[1] Giorgio Parisi, Corriere della Sera, 6 ottobre 2021.