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La sicurezza europea secondo Macron e i suoi messaggi alla Germania

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Nel contesto del voto parlamentare europeo di giugno 2024, è tuttora utile rileggere con attenzione alcuni recenti interventi del Presidente francese Emanuel Macron, che pongono sul tavolo i temi di fondo della sicurezza e della difesa su cui l’Europa deve prendere decisioni non facili, e a lungo rimandate. I messaggi di Macron sono indirizzati soprattutto alla Germania, ma coinvolgono tutti i partner europei.

Emmanuel Macron e Olaf Scholz

 

Nel suo ampio discorso alla Sorbona del 25 aprile Macron invoca una “Europe puissance”, (une Europe qui se fait respecter et qui assure sa sécurité. une Europe qui assume d’avoir des frontières et qui les protège) osserva che “il nous faut, en quelque sorte, sortir d’une forme d’état de minorité stratégique”. Secondo Macron “beaucoup de pays européens avaient accepté, dès la fin de la Deuxième Guerre mondiale, on l’avait souvent imposé, de déléguer leur sécurité à d’autres parce que nous ne voulions pas les voir se réarmer trop vite”.

 

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Il riferimento implicito è alla Germania (e forse anche all’Italia). Ma fu l’Assemblea nazionale francese, con la scelta di non ratificare il trattato istitutivo della Comunità nell’agosto del 1954, a far prevalere la paura del riarmo tedesco sulla proposta, che pure fu dei governi francesi della IV Repubblica, di inquadrare questo riarmo in un contesto europeo. Un riarmo, necessario di fronte alle sfide che anche allora venivano dall’est, dalla Russia, che si sarebbe dovuto realizzare costruendo forze armate comuni dei sei stati fondatori; forze armate non semplicemente coalizzate ma integrate, finanziate da un bilancio comune.

Di questa vicenda Macron non ha parlato alla Sorbona. L’ha ricordata però un mese dopo a Dresda. Davanti al Presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, e dopo aver detto che “ce rêve de défense et de sécurité était aux prémices de notre Europe”, Macron ha dovuto riconoscere “avec beaucoup d’humilité, qu’au mi-temps des années 50, c’est la France qui l’arrêta”. Per poi riprendere il suo discorso osservando che “nous Européens, avons en quelque sorte décidé de renvoyer la défense, la sécurité à chaque pays et parfois de la déléguer à d’autres grandes puissances, nos alliés, et en particulier nos alliés américains”.

Alla Sorbona, davanti a un pubblico tutto francese, Macron ha rivendicato invece la scelta di febbraio “d’avoir réintroduit une ambiguïté stratégique (…) face à une puissance qui est désinhibée, qui a attaqué un pays d’Europe, mais qui n’est plus dans une opération spéciale et qui ne veut plus nous dire quelle est sa limite”.

Secondo Macron infatti “le pilier européen au sein de l’OTAN que nous sommes en train de bâtir (…) doit d’abord être un concept stratégique dont nous déduirons ensuite des capacités pertinentes: anti-missiles, tirs dans la profondeur, comme toutes les capacités utiles

In questo quadro “la France y jouera tout son rôle”, avendo “un modèle d’armée complète, dont l’objectif est d’être l’armée la plus efficace du continent, aussi dotés de l’arme nucléaire, et donc, de la capacité de dissuasion qui va avec”. E’ una prospettiva radicalmente diversa da quella della CED: una messa a sistema di capacità militari che restano però distinte e nazionali, valorizzando la specificità della Francia quale solo paese dell’Unione che dispone di un dispositivo di “dissuasion nucléaire”. Questo, precisa Macron, “est en effet au cœur de la stratégie de défense française. Elle est donc par essence un élément incontournable de la défense du continent européen.

 

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La CED ipotizzava lo sviluppo di una capacità nucleare europea; la scelta francese di costruire una propria forza di dissuasione nucleare è immediatamente seguente al fallimento di quel trattato. Lo stesso Macron nella sua lunga intervista all’Economist del 2 maggio ricorda che “la dissuasion nucléaire française, y compris de par ses règles d’engagement, est la quintessence de la souveraineté du peuple français puisque c’est le Président de la République comme chef des armées qui définit l’engagement de cette force nucléaire dans toutes ses composantes”. Questo è un dato fermo anche se, queste scelte sovrane della Francia e del suo Presidente, possono ben essere, secondo Macron, integrate nella riflessione di un concetto strategico efficace e credibile di difesa comune europea.

Se dunque non v’è alcun cenno alla prospettiva di un esercito europeo (presente invece nel programma elettorale del Partito popolare europeo), secondo Macron “il s’agit de créer entre les armées européennes une véritable intimité stratégique”, di continuare sulla via di “coopérations pragmatiques, opérationnelles” (come ad esempio “l’opération européenne, Aspides, en mer Rouge”). In questa prospettiva di semplice coordinamento si pone la proposta di creare “une Académie militaire européenne, pour former les futurs cadres militaires et civils européens aux enjeux de sécurité et de défense”. Come anche il richiamo a “presser dans la mise en œuvre de la Boussole stratégique, et tout particulièrement mettre en place une force de réaction rapide pour pouvoir déployer rapidement jusqu’à 5 000 militaires dans des environnements hostiles d’ici à 2025, en particulier, pour venir en aide à nos ressortissants”.

Questa che viene presentata come una novità, un avanzamento, è ben lontano da quel che pure era considerato un obiettivo realizzabile già nel 1999, prima ancora dell’approvazione del Trattato di Lisbona. Nel Consiglio europeo di Helsinki del 1999 si era infatti convenuto sulla possibilità di costruire una forza di intervento europea di 50/60 mila uomini. Il Trattato istitutivo della CED prevedeva addirittura che solo le “unità di base” delle forze terrestri europee contassero su effettivi pari a 13.000 uomini.

Il Presidente Macron apre forse a una prospettiva di vera integrazione laddove parla, sempre nel discorso alla Sorbona, di come affrontare “les nouveaux espaces de conflictualité“. Qui propone “que nous développions une capacité européenne de cybersécurité et de cyberdéfense. Et alors même que nous sommes tous en train de commencer à bâtir ces capacités pour nos propres armées, c’est une occasion inédite de tout de suite bâtir des coopérations européennes et d’agir en Européens face à ces risques”.

Insomma, la prospettiva nel complesso proposta da Macron è quella di “bâtir un nouveau paradigme, plus d’intimité et des initiatives concrètes ensemble”. Senza curarsi troppo di un quadro istituzionale unitario della difesa europea. La prospettiva è innanzitutto quella di sviluppare rapporti bilaterali; in primo luogo con il Regno Unito, l’altra potenza europea che dispone dell’arma nucleare e di un dispositivo militare completo. Macron, ipotizzando questo e altri simili partenariati, afferma che “la Communauté politique européenne est à coup sûr le bon lieu pour bâtir ce nouveau paradigme de sécurité, cette intimité supplémentaire et construire ce cadre commun de sécurité et de défense”.

Un rafforzamento della dimensione e dell’azione dell’UE vede invece Macron nel campo della industria della difesa. Ma è una soluzione che resta nel solco funzionalista che ha retto lo sviluppo del mercato unico. Qui, anche per “transformer l’urgence du soutien à l’Ukraine en effort de longue durée”, la sfida è liberarsi della dipendenza dall’industria non europea: “on doit produire plus vite, on doit produire davantage et on doit produire européen”.

 

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Macron sottolinea la necessità di “réussir à bâtir une préférence européenne, réussir à bâtir des programmes industriels européens, assumer un soutien accru de la Banque européenne d’investissement et assumer des financements supplémentaires, y compris les plus innovants, comme l’idée d’un emprunt européen”. Emissione di debito comune dunque per una vera politica industriale europea di difesa che aiuti l’emergere di “grands champions” (un interesse oggi in primo luogo della industria francese).

Questo nuovo paradigma in materia di difesa (“du concept stratégique à la plus grande intimité, au nouveau cadre commun, jusqu’aux capacités nouvelles”) richiede certo una politica estera, una diplomazia. Ma qui il discorso torna a sfumarsi: “La diplomatie, chaque Etat membre la porte, elle relève de nous”. Nessun cenno al seggio francese nel Consiglio di Sicurezza ONU, ma solo il generico riferimento alla necessità “d’une une plus grande cohérence européenne” con l’obiettivo (tutto iscritto nella tradizione politica francese della V Repubblica) di “bâtir une Europe en capacité de montrer qu’elle n’est jamais le vassal des États-Unis d’Amérique et qu’elle sait aussi parler à toutes les régions du monde”.

Ed è qui che emerge con nettezza una divergenza profonda tra Francia e Germania. Lo stesso Macron parlando a Dresda usa, con riferimento al ruolo degli Stati Uniti, un linguaggio più sfumato in quel discorso: richiamando la necessità di “bâtir ensemble un nouveau concept de sécurité commune”, invita a smettere “sur cette question d’être parfois ou totalement transatlantiques ou totalement nationalistes; soyons résolument franco-allemands, soyons résolument européens”.

Per la Germania invece è il pilastro europeo della NATO che occorre rafforzare. Gli Stati Uniti sono e rimangono il più importante alleato dell’Europa. Lo ha espressamente ricordato il Cancelliere Scholz davanti al Parlamento Europeo il 9 maggio 2023. Alla conferenza di Monaco quest’anno – non senza marcare un tono polemico verso l’iniziativa francese – ha precisato che “ogni relativizzazione della garanzia di mutua assistenza della NATO avvantaggia solo chi, come Putin, cerca di indebolirci”. In un netto quadro di rafforzamento dell’alleanza atlantica si colloca, secondo Scholz, la scelta tedesca di dotare di 100 miliardi di euro supplementari la Bundeswehr e da ultimo di schierare permanentemente una brigata tedesca in Lituania sul fianco orientale della NATO. Condividendo invece l’obiettivo di rafforzare l’industria europea della difesa, Scholz, come Macron, parla di un più efficace coordinamento tra forze armate che restano nazionali.

 

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Il leader della CDU, il maggior partito di opposizione nel condividere questi obiettivi va anche oltre: Friedrich Mertz rivendica – nel suo discorso che ha inaugurato la campagna elettorale per le europee – la scelta di fondare la Bundeswehr negli anni ’50 contestualmente all’ingresso della Germania nella NATO e ora quella di rafforzarla per renderla capace di essere pienamente operativa. Per quella via avvenne allora il riarmo tedesco, fallito il progetto di un esercito europeo.

Servirebbe forse oggi la forza di cambiare paradigma e di tornare a riflettere, di fronte alla sfida rappresentata oggi dalla guerra ai confini dell’Europa, su una soluzione più ambiziosa ed organica, superando una dimensione che resta funzionalista. E l’iniziativa non può che venire – come fu nel 1950 – dalla Francia.

Per certi versi lo seppe fare François Mitterand che tutto il suo carisma pose nella costruzione dell’euro e quindi nella battaglia referendaria sul trattato di Maastricht, e a suo modo Nicolas Sarkozy assumendo la ratifica parlamentare di un trattato che nella sostanza riproduceva un testo (il trattato costituzionale) che invece Jacques Chirac non riuscì a far passare.

Non è certo questa la partita che un presidente tanto indebolito, come Macron, può giocare oggi. E tuttavia, forse vi è lo spazio per proporre ed avanzare soluzioni che più efficacemente coniughino realismo ed ambizione. Con una prospettiva che non si limiti ad uno scambio tra europeizzazione del ruolo geopolitico della Francia (forte del suo seggio permanente e dell’arsenale nucleare) e la richiesta di un maggiore impegno finanziario della Germania. Proponendo ad esempio ai partner europei (e in primo luogo proprio a Berlino) prima che debito comune, di europeizzare nella misura del possibile la nuova spesa per la difesa che si sta sviluppando a livello nazionale, soprattutto in Germania; magari rilanciando l’obiettivo condiviso a Helsinki nel 1999 di creare una forza di intervento rapida europea consistente, tale da rappresentare una visibile forza di dissuasione, da schierare sotto bandiera europea sul confine orientale dell’Unione, coerentemente inserita nel dispositivo NATO. Superando l’ambiguo concetto di autonomia strategica in favore della realizzazione di iniziative e progetti comuni (come pure affermato da Macron nel suo discorso a Dresda) sulla base di risorse europee che devono finanziare beni pubblici comuni, a partire proprio dalla difesa.

 

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È un percorso tutto da intraprendere come mostra l’assenza di ogni riferimento alla questione della difesa nell’articolo che in occasione della visita in Germania gli stessi Macron e Scholz hanno pubblicato a doppia firma sul Financial Times del 27 maggio. Insieme, affermano che “Europe is experiencing its Zeitenwende. We can’t take for granted the foundations on which we have built our European way of living and our role in the world. Our Europe is mortal, and we must rise to the challenge”. Ma le proposte riguardano in primo luogo il rafforzamento del mercato unico nel segno della doppia transizione verde e digitale e della necessità di “unlock the full potential of our capital markets”. L’articolo termina ricordando che “we should make the EU budget fit for the future and further prioritise investments in transformational expenditure and European public goods while working on introducing new “own resources” as agreed in 2020”. Senza però chiarire che il primo di questi beni pubblici europei è proprio la difesa: segno visibile della distanza oggi su questo tema cruciale tra Parigi e Berlino

Riproporre, seppur in nuovo contesto e su nuove basi, il progetto dei padri fondatori di una difesa europea nel quadro di un nuovo e più ambizioso accordo innanzitutto tra Francia e Germania potrà essere la sfida per il prossimo presidente francese. Di un candidato che, nel confronto elettorale, abbia la capacità di intercettare le aspirazioni delle nuove generazioni e di spiegare al corpo vivente della nazione la sfida posta alla sicurezza dei cittadini francesi ed europei: l’Unione ha dei confini e deve costruire la capacità di difenderli con un esercito europeo (inserito in una alleanza più grande).

Stimolare una simile evoluzione potrebbe essere una consapevole scelta del Governo italiano; del resto, lo stesso ministro degli esteri Antonio Tajani (in un editoriale del 28 gennaio, firmato insieme al presidente del Partito popolare europeo Manfred Weber) ha con chiarezza affermato che “l’obiettivo di lungo termine deve essere quello di sviluppare una vera “Unione europea di difesa” con forze integrate di terra, mare e aria”. Una prospettiva, questa, nel solco dell’insegnamento di Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schumann.