La lunga crisi della politica portoghese
Ci sono due modi per leggere i risultati delle elezioni che si sono tenute a metà maggio in Portogallo. Il primo è che la classe politica del Paese ha chiamato tutta la popolazione alle urne “affinché nulla cambiasse”, riconfermando al governo il primo ministro uscente, Luís Montenegro, di Aliança Democrática (AD, coalizione di centrodestra). Il secondo è che siamo di fronte a una fase inedita, segnata dalla sconfitta del bipartitismo che reggeva dalla Rivoluzione dei Garofani del 1974. Entrambi sono veri e raccontano un pezzo della crisi politica che dal 2022 a oggi ha portato il Portogallo al voto per tre volte e, dettaglio non da poco, per due di fila in anticipo rispetto al termine della legislatura a causa del coinvolgimento del primo ministro in uno scandalo giudiziario.

La fine dell’alternanza e la scommessa di Costa
L’alternanza al potere tra centrodestra (Partido Social Democrata, o PSD, che alle ultime elezioni si è presentato in coalizione con altri due micropartiti, il Partido Popular e il Partido Popular Monárquico) e centrosinistra (Partido Socialista, PS) aveva iniziato a scricchiolare già nel 2015. All’epoca, invece di rassegnarsi di fronte alla sua prima sconfitta alle legislative come segretario dei socialisti, António Costa scelse di unire per la prima volta i tre principali partiti della sinistra portoghese (il PS, il Partito Comunista e il Bloco de Esquerda) in un’unica coalizione. Il superamento della rivalità storica che dalla Rivoluzione dei Garofani separava comunisti e socialisti era basata sulla contestazione delle misure di austerity introdotte dal centrodestra, che nel 2011, in seguito alla crisi del debito, aveva accettato un programma di salvataggio internazionale (la famosa “Troika”, UE, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) da 78 miliardi di euro.
Leggi anche: La via portoghese contro il populismo
L’intuizione di Costa fu talmente innovativa per la politica portoghese che si meritò un nome tutto suo: geringonça, letteralmente un “accrocchio”, qualcosa di fragile, precario, destinato a fallire da un momento all’altro. Questa soluzione invece durò per più di sei anni e due legislature, e fu replicata con successo nella vicina Spagna, durante il secondo governo Sánchez (tra il 2020 e il 2023). Finché nel 2022, dopo essere stato sfiduciato dai suoi alleati al governo, Costa scommise sull’ennesima rielezione facendo leva sulla potenziale ascesa del neonato partito di estrema destra Chega. Ci riuscì e con la maggioranza assoluta dei voti rimase al governo scaricando la sinistra radicale.
“Tuttavia, questa maggioranza è stata mal gestita, soprattutto su due fronti che hanno inciso pesantemente nella campagna elettorale del 2024 e continuano a farlo nel 2025: immigrazione e corruzione”, ha spiegato Riccardo Marchi, professore di Relazioni internazionali all’Università Lusófona di Lisbona ed esperto in movimenti di estrema destra nella penisola iberica.
Da un lato, infatti, durante i suoi anni al governo Costa ha promosso una politica migratoria molto aperta, accogliendo grandi flussi da India, Pakistan, Bangladesh e Africa meridionale, in particolare dalle ex colonie portoghesi (Angola, Mozambico, Guinea-Bissau). Questo ha avuto un impatto significativo in aree urbane come Lisbona e in regioni agricole come l’Alentejo, generando tensioni legate a integrazione, sfruttamento lavorativo e condizioni abitative precarie.
Dall’altro, a fine 2023 l’ex primo ministro socialista venne coinvolto in un presunto caso di corruzione legato alla produzione di idrogeno verde e all’estrazione di litio. Costa si dimise, portando il Paese a elezioni anticipate. In linea con il soprannome che gli diede nel 2021 il giornale portoghese Público (che lo battezzò “il politico Duracell”, per i suoi più di quarant’anni di carriera politica), Costa lasciò il governo portoghese ma fu nominato, dopo le elezioni europee del 2024, a una delle principali posizioni della UE: anche se le indagini non sono ancora concluse, oggi è il presidente del Consiglio europeo, in quota socialista.

La rivincita della destra e l’avvento di Chega
Quelle elezioni (marzo 2024) hanno riportato al governo il centrodestra, dopo otto anni all’opposizione, segnando la prima sconfitta del nuovo leader dei socialisti Pedro Nuno Santos, dirigente di lunga data ed ex ministro delle Infrastrutture e della Casa tra il 2019 e il 2023. Ma la rivincita di AD è stata nulla in confronto ai risultati del partito di estrema destra Chega, che si è imposto come terza forza con oltre un milione di voti e 48 deputati (nel 2022 erano 12), strappando l’intera regione dell’Algarve ai socialisti e alcuni distretti storicamente di sinistra come Setúbal, Portalegre e Beja ai comunisti.
Un risultato ancora più sorprendente se pensiamo che fino al 2019 il Portogallo era uno dei pochi Paesi europei a non avere un partito di estrema destra. Numerosi studiosi si sono impegnati a fornire ipotesi su questa “eccezione portoghese” (o anche, “eccezione iberica”, dato che fino al 2019 anche la formazione di ultradestra Vox era rimasta fuori dal parlamento spagnolo). Alcuni pensavano che il trauma della dittatura fascista di Salazar, rovesciata nel 1974, fosse ancora troppo recente. Altri, che la fiducia nelle istituzioni europee fosse ancora ben solida, a trent’anni dall’entrata del Portogallo nell’Unione, e che dunque non lasciasse spazio a formule di populismo nazionalista.
“In realtà, è dall’inizio degli anni Duemila che registriamo una domanda da parte dell’elettorato di un partito populista in Portogallo, soprattutto a causa della stagnazione economica. Per molto tempo, all’estrema destra non sono mancati gli elettori, è mancato un capo”, ha precisato Marchi. Il volto di cui parte della popolazione portoghese era alla ricerca è André Ventura, ex avvocato e commentatore sportivo, cresciuto all’interno del Partido Social Democrata. È nel 2019, infatti, che, dopo aver perso le comunali a Loures, un centro dell’area metropolitana di Lisbona, e messo in discussione dalla dirigenza del PSD, Ventura decide di uscire dal partito per fondare Chega, che in portoghese vuol dire “basta”.

Da quel momento l’ascesa di Ventura è stata costante, ma non senza intoppi. Durante la scorsa legislatura infatti un membro del partito, Miguel Arruda, è stato al centro del cosiddetto “Malagate” (un gioco di parole: “mala”, in portoghese, vuol dire valigia e “gate” riprende il famoso scandalo del Watergate): il deputato si dedicava infatti a rubare valigie all’aeroporto di Lisbona e in quello di Ponta Delgada, nelle Azzorre. Poche settimane dopo, un altro deputato, Nuno Pardal, è stato accusato di aver mantenuto relazioni sessuali a pagamento con un minorenne conosciuto sull’app di incontri Grindr nel 2023.
Per questi motivi, durante l’ultima campagna elettorale, per molte settimane Chega è rimasta ai margini del dibattito. L’attenzione della popolazione e dei media era concentrata infatti sul primo ministro uscente, Luís Montenegro, accusato di un presunto conflitto di interessi tra la sua attività politica e l’azienda che ha fondato nel 2021, Spinumviva.
Lo scandalo ha provocato la sfiducia a Montenegro, con le conseguenti elezioni anticipate il 18 maggio. Il voto ha riconfermato il centrodestra come il partito più votato del Paese, lasciandolo però lontano dalla maggioranza in parlamento (91 seggi su 230). Le sorprese più grandi, però, sono arrivate dalle altre due principali formazioni della politica portoghese: i socialisti e Chega.
Le elezioni del 2025 e le tensioni crescenti
Infatti grazie ai voti della popolazione residente all’estero l’estrema destra, che alle urne aveva ottenuto 58 deputati, è riuscita ad aggiungerne altri due: si è consumato così, almeno in parlamento, il sorpasso sul Partito socialista, che ha raccolto circa 4mila voti in più di Chega, ma che è rimasto fermo a 58 seggi. Questo risultato rappresenta una rivoluzione politica strutturale: con queste elezioni, infatti, la democrazia portoghese ha smesso di essere un sistema a due colonne, che si sostiene sull’alternanza al governo di centrodestra e centrosinistra, ma a tre, dato che Chega è diventato un partito con una reale chance tra qualche anno, di governare il Paese.

Non solo: è dal 1976, anno in cui si sono tenute le prime elezioni democratiche in Portogallo, che la destra in parlamento non è così forte: può contare sul 70% circa delle preferenze di voto, se sommiamo quelle raccolte da centrodestra, estrema destra e liberali.
Nel frattempo, André Ventura ha scelto di mantenere un profilo basso e dare vita a “un’opposizione dura, ma responsabile”. Cioè aspettare che il nuovo governo di Montenegro, come detto, senza maggioranza, si logori, per così puntare a diventare il primo partito del Paese e rivendicare per sé la presidenza del Consiglio.
Una strategia simile a quella dei socialisti, che in giugno, insieme a Chega e al partito liberale IL, hanno votato a favore del nuovo programma di governo di Montenegro. Con una grande differenza: il Partito Socialista affronta oggi una delle sue più grandi crisi dalla sua fondazione nel 1973 da quello che viene considerato il padre della democrazia portoghese, Mário Soares. Alle urne, l’ex leader Nuno Santos, che si è dimesso la sera stessa delle ultime elezioni, ha pagato il prezzo di un’eredità ingombrante, quella di Costa, e dei suoi due personali “peccati capitali”: essere un politico di professione, cresciuto nella gioventù socialista, e provenire da una famiglia benestante (e non averlo mai nascosto troppo, soprattutto da giovane, quando girava per Lisbona in Maserati). A fine giugno i socialisti hanno eletto il loro nuovo segretario, José Luís Carneiro, ex ministro dell’Interno del governo Costa, un politico moderato e centrista.
Il nuovo esecutivo di Luís Montenegro è partito senza sorprese, confermando in larga parte la squadra di governo uscente, compresi ministri criticati e coinvolti in inchieste giudiziarie (come d’altronde lo stesso primo ministro, nonostante il caso Spinumviva sembri già lontanissimo). Il programma dell’esecutivo punta su tre misure chiave: semplificazione burocratica, taglio delle tasse e irrigidimento delle politiche migratorie, con riforme che includono nuove restrizioni alla legge sulla cittadinanza e la creazione di un’unità speciale per il controllo delle frontiere e delle persone migranti. Ma mentre il governo promette efficienza e controllo, il clima sociale è sempre più teso.

A metà giugno, le forze di sicurezza hanno smantellato il Movimento Armilar Lusitano, un gruppo neonazista attivo dal 2018, strutturato come una vera e propria milizia paramilitare, con addestramenti armati e ramificazioni nelle forze di polizia e nelle imprese private di sicurezza. Le autorità hanno individuato circa 900 affiliati attivi in diversi territori. Non si tratta di un episodio isolato: pochi giorni prima, a Lisbona, l’attore Adérito Lopes è stato aggredito da membri del gruppo neonazista internazionale Blood & Honour, mentre a Porto due volontarie di un’organizzazione umanitaria sono state picchiate e insultate da giovani militanti che inneggiavano al nazismo.
Anche il clima delle manifestazioni è cambiato: persino durante i festeggiamenti dell’anniversario della Rivoluzione dei Garofani di quest’anno non sono mancati scontri con gruppi di estrema destra. La Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza ha lanciato un avvertimento ufficiale, denunciando l’aumento dei discorsi d’odio (in particolare contro le persone migranti, le comunità rom e sinti e le persone LGBTI+ e afrodiscendenti) e sollecitando il governo a rafforzare gli strumenti legali contro questi reati. Montenegro si trova quindi ad avviare il suo mandato in un Portogallo spaccato, dove la stabilità politica formale coesiste con un’irrequietezza sociale sempre più visibile.