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Boris Nemtsov, il memoriale e le uccisioni politiche nella Russia di Putin

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La notte del 27 febbraio 2015 Boris Nemtsov, all’epoca uno degli oppositori più in vista del presidente russo Vladimir Putin, non prese la solita strada per tornare a casa. Dopo aver cenato con la fidanzata Anna al Café Bosco, nella Piazza Rossa di Mosca, decise di mandare via l’autista e nonostante il freddo pungente, invece di imboccare il viale verso Manezh, dove avrebbe potuto prendere la metropolitana, Nemtsov allungò il tragitto, attraversando il ponte di Bolshoy Moskvoretsky, nel cuore della capitale, a duecento metri dal Cremlino. Fu proprio su quel ponte che  un uomo gli sparò, alle spalle, uccidendolo e dileguandosi con un complice a bordo di un automobile, appostata a pochi metri. La mattina dopo, spontaneamente, decine di persone cominciarono a deporre fiori, bandiere, ritratti di Nemtsov, sul luogo del delitto, dando vita a un memoriale spontaneo. Durò appena poche settimane: l’amministrazione cittadina, già a metà aprile, lo aveva rimosso quattro volte. Ed altre quattro volte era stato ricostruito.

“Non c’è una regola definita, sappiamo soltanto che, al massimo ogni due settimane, arriva qui la Polizia e porta via tutto” – spiega Viktor di Solidarity, un gruppo di volontari che vigila sul memoriale, giorno e notte, ricomponendolo ogni volta che viene sgomberato. “All’inizio eravamo in pochi, l’idea era quella di sorvegliare il ponte soltanto nel fine settimana, ma adesso siamo diventati un centinaio, e allora abbiamo deciso di fare turni costanti. Alla maggior parte della gente sembra una cosa da poco, e invece la nostra è un’azione di protesta continua e non violenta. Stiamo qui per dare un messaggio chiaro a tutti, perché ricostruire il memoriale ogni volta che viene distrutto non significa soltanto mantenere viva la memoria di Nemtsov, ma anche far capire che non si risolve ogni cosa brutalmente in Russia, che ci sono persone in questo Paese che tengono così tanto alla loro dignità di cittadini da passare intere notti al freddo, dopo aver finito di lavorare, per assicurarsi che un simbolo di resistenza come quello del memoriale Nemtsov resti costantemente vivo.”

L’iniziativa di Solidarity, alla cui testa c’è la caparbia Nadezhda Mityushkina, che attraverso il suo profilo Facebook pubblica aggiornamenti costanti sullo stato del memoriale, non si scontra soltanto con gli attacchi governativi, ma anche con la violenza di vandali che con regolarità attaccano il sito e gli attivisti che lo proteggono. Lo scorso agosto un volontario è morto in seguito alle ferite riportate dopo essere stato pestato da un gruppo di teppisti.

Il memoriale di Boris Nemtsov

 

Fisico talentuoso, Nemtsov aveva intrapreso la carriera politica prima del crollo dell’Unione Sovietica, candidandosi con successo al parlamento russo come delegato nella regione di Gorkij. Come tanti altri scienziati dell’epoca, Nemtsov, allora poco più che trentenne, vedeva il nuovo governo di Boris Eltsin come un’opportunità per portare avanti una serie di grandi cambiamenti in Russia. Carismatico, di bell’aspetto, colto, Nemtsov ha a lungo rappresentato la vera e propria nemesi di Vladimir Putin. Dopo aver fallito l’elezione alla Duma alle legislative del 2003, Nemtsov decise di dedicarsi con tutte le sue forze alla denuncia degli abusi perpetrati dal Cremlino, concentrandosi soprattutto su corruzione e diritti umani, sino agli attacchi continui alla presidenza russa dopo l’annessione della Crimea (marzo 2014) e il conflitto con l’Ucraina per il Donbass.

“Diciamo le cose come stanno. Boris Nemtsov è stato ucciso su uno dei ponti più grandi e importanti di Mosca, a pochi metri dal Cremlino, in un’area sorvegliata da decine di telecamere di sicurezza e che è sotto il controllo totale e continuo delle forze dell’ordine” – ha spiegato durante un’intervista radio la giornalista investigativa Yevgenia Albats.  “Se qualcuno prova a fare una foto da quel ponte, arriva immediatamente un poliziotto a chiedere spiegazioni. Eppure, tutto questo non ha fermato i killer di Nemtsov, che hanno pensato di poterlo uccidere senza problemi proprio in quel punto e di poterla fare franca”.

La morte di Nemtsov è solo l’ultima, in linea temporale, fra le uccisioni di matrice politica registrate in Russia negli ultimi quindici anni. Non solo la giornalista Anna Politkovskaya, ma anche una serie di morti che hanno avuto luogo a Londra: dall’ex KGB Aleksandr Litvinenko, avvelenato, passando per il magnate Boris Berezovsky, senza dimenticare il recentissimo caso di avvelenamento dell’ex spia Sergei Skripal e della figlia Yulia ancora a Londra (entrambi sopravvissuti, ma in condizioni critiche). La presidenza Putin è costellata di morti ammazzati, di indagini sommarie, di investigazioni piene di errori e circostanze a dir poco nebulose.

L’analisi della persecuzione delle voci di opposizione in Russia è importante per comprendere il le radici del potere di Vladimir Putin. Se da un lato l’ex direttore del servizio segreto russo è ormai padrone del Cremlino dal 1999, quando ricevette il testimone da Boris Yeltsin, dall’altro esiste, nel Paese, una profonda base di insoddisfazione, alimentata da uomini come Nemtsov ieri, come Aleksei Navalny oggi: questi, secondo una linea piuttosto coerente, sono sempre finiti schiacciati, sino alle estreme conseguenze.

“Alcuni dicono che Putin non c’entra nulla con le uccisioni politiche in Russia, ma che ha solo creato “un ambiente” violento, nel quale i criminali possono muoversi senza troppa pressione. Di certo, è bene dirlo, non ci sono prove concrete che possano permettere di accusarlo a livello personale. Eppure – spiega un professore di scienze politiche dell’Università Statale di San Pietroburgo, che preferisce rimanere anonimo – se facciamo attenzione, tutte queste morti hanno una matrice di riferimento chiara e comune, degli elementi  che collegano le uccisioni tra loro e che si sono ripetuti, sempre gli stessi, – a partire da quando Putin ha assunto la presidenza.

Spesso – continua il professore – si sostiene che il Presidente non sarebbe così incauto da ordinare degli omicidi, peraltro tanto feroci e impudenti. Eppure la sensazione è che, in una certa misura, sotterraneamente, Putin invece voglia che la gente sospetti il coinvolgimento diretto del Cremlino in questi omicidi, con l’intenzione di mandare un messaggio preciso: un messaggio intimidatorio rivolto a chi crede di poter ostacolare il suo potere. Se guardiamo agli anni passati da Putin al vertice della Russia a partire da questo concetto, ci accorgiamo che tutto assume una coerenza, un’omogeneità, perfetta.”