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La psicosi del regime cinese per la religione: i cristiani e gli altri

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Permessi per aprire luoghi di culto, permessi per costruirli, permessi per radunarsi, permessi per il personale del culto, permessi per decorazioni, statue e croci, permessi per gli insegnanti religiosi, permessi per viaggi e pellegrinaggi in patria e all’estero, permessi e controlli per pubblicazioni su carta e su internet. Questo è in sintesi ciò che le religioni devono fare in Cina per essere accettate dal governo, secondo i 74 articoli dei nuovi regolamenti (i regolamenti del 2004 ne avevano 48) entrati in vigore il 7 ottobre di quest’anno.

Soprattutto si elenca cosa le religioni “non devono fare”: non creare conflitti con altre religioni o con chi non crede; non provocare divisioni etniche; non favorire l’estremismo religioso; non dividere la nazione; non praticare azioni terroristiche. In pratica non vi è aspetto delle attività religiose – perfino quelle private – che non sia sottomesso al controllo. Anzi: si afferma che ogni attività religiosa senza i permessi (del governo, della provincia, della contea, del villaggio) è un’attività “illegale” da punire con multe che arrivano fino a 200mila yuan (circa 8 anni di stipendio di un impiegato).

Ciò significa che se un gruppo si trova in casa a pregare compie un’azione “criminale”, passibile di multa e di prigione. Molti cinesi hanno commentato sui blog che questi regolamenti sono in palese contraddizione con la costituzione la quale assicura che in Cina “i cittadini godono di libertà religiosa”, che nessuno “può obbligare a credere o a non credere” e che “nessuna organizzazione […] può discriminare contro i cittadini che credono in una religione”.

In effetti, la filosofia sottintesa ai regolamenti è che la religione è qualcosa di malvagio che solo il controllo del governo può rendere positivo. Ciò esprime una secolare tradizione imperiale confuciana di controllo politico sulle attività spirituali, ma anche una tradizione marxista che guarda con disprezzo le religioni come “oppio del popolo”, da eliminare. Il problema è che il mondo confuciano metteva Dio al di sopra dell’imperatore; il Partito comunista si mette al posto di Dio e per questo diventa molto più onnipotente delle antiche dinastie. Tale “onnipotenza” si esprime nel controllo capillare delle chiese e dei templi (vi sono regole che dettano l’altezza delle statue, l’altezza delle croci, il loro colore, la loro posizione) e soprattutto nel neutralizzare o eliminare chi resiste.

Fra le vittime di questa politica totalitaria vi sono mons. Cosma Shi Enxiang, vescovo di Yixian (Hebei), scomparso nelle mani della polizia dal 2001, e mons. Giacomo Su Zhimin, vescovo di Baoding (Hebei), rapito dalla polizia dal 1997. Il loro sequestro è avvenuto senza alcuna accusa o processo; il loro luogo di detenzione è tenuto segreto anche ai famigliari. È probabile che la loro colpa sia solo quella di appartenere alla comunità “sotterranea”, quella non registrata, che si raduna al di fuori dei controlli e dei permessi ufficiali.

E ci sono molte altre vittime della comunità non ufficiale: padre Liu Honggeng di Baoding, arrestato nel maggio 2015; padre Yang Jianwei di Anzhuang, scomparso nelle mani della polizia nell’aprile 2015; padre  Shaoyun Quan e padre Jianyou Cao, dell’Heilongjiang, arrestati nel marzo 2015; altri sacerdoti dell’Hebei e del Zhejiang. Un fatto ancora più grave è la morte in circostanze poco chiare del padre Pedro Wei Heping, 41 anni, trovato morto in un fiume di Taiyuan (Shanxi) il 6 novembre 2015. Secondo la polizia si è suicidato; i parenti, che conoscevano lo zelo e l’entusiasmo del sacerdote, non ci credono e hanno domandato un’autopsia che però non è stata eseguita.

Sono presi di mira anche membri della comunità ufficiale: mons. Taddeo Ma Daqin, vescovo di Shanghai, dal giorno della sua ordinazione episcopale è agli arresti domiciliari. La sua colpa: essersi dimesso dall’Associazione patriottica (Ap), l’organismo di controllo del Partito sulla Chiesa cattolica. E questo anche se negli statuti dell’Ap si stabilisce che ognuno è libero di entrare e uscire a suo piacimento. Il motivo per cui i cattolici non amano l’Ap è che nei suoi statuti vi è affermato l’ideale di una Chiesa “indipendente” (da Roma, dalla Santa Sede): sarebbe cosa inaccettabile per un cattolico, anche se molti, facendo buon viso a cattivo gioco, accettano qualche compromesso.

Si potrebbe ugualmente elencare poi le moltissime violenze contro le comunità protestanti, contro i buddisti tibetani, i musulmani, i taoisti.

La psicosi negativa di Pechino sulle religioni si accresce del sospetto e della paura che esse siano manovrate dall’estero. I nuovi regolamenti ribadiscono che ogni gruppo religioso “deve aderire al principio di indipendenza e di autogoverno” e “non essere controllato da forze straniere”, mettendo il papa, il Dalai Lama, i protestanti americani o coreani allo stesso livello dei talebani afghani. Per tibetani e musulmani uiguri (Xinjiang) forse si può percepire un uso “politico” della religione a sostegno dell’autonomia delle loro regioni. Ma questo non giustifica la rivendicazione del Partito a stabilire le “vere” reincarnazioni dei budda, o la proibizione del digiuno nel periodo di Ramadan.

Tutte queste espressioni di onnipotenza sono sintomo di una miopia: in Cina vi è un risveglio religioso impressionante, tanto che le stesse organizzazioni statali (Accademia delle scienze sociali, università) mostrano statistiche sulle religioni con cifre da 300 a 500 milioni di aderenti, che sono il triplo o più delle cifre ufficiali. Perfino il 10% dei membri del Partito crede in una qualche religione, anche se vi è il divieto di esprimerla in pubblico e perfino dopo la pensione!

L’onnipotenza è anche l’altra faccia di una crisi profonda in cui versa la Cina e il potere centrale. Studiosi come l’accademico Liu Ping hanno mostrato che il Paese non ha più un ideale capace di unificare la nazione: il comunismo è sepolto; la ricchezza e il consumismo spingono all’individualismo e all’anarchia.

Le religioni contro cui il Partito si difende potrebbero invece essere il collante per una società più unita e solidale, e per questo anche più libera dal punto di vista del mercato. Non si può dimenticare infatti che lo stesso controllo che avviene sulle religioni in Cina viene attuato sulla borsa, sul valore dello yuan, sugli investimenti, sull’informazione, sul comportamento della popolazione. Come diceva Giovanni Paolo II, la libertà religiosa è la cartina di tornasole di tutte le libertà.