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La guida della difesa europea in uno scenario di crisi

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Il Libro Bianco sulla Difesa presentato lo scorso marzo dalla Commissione europea identifica con chiarezza quali sono le aree critiche delle forze armate degli stati dell’UE su cui investire al più presto: difesa aerea e missilistica, munizionamento e scorte, droni, cyber defence, sistemi di artiglieria e missili a lungo raggio, intelligenza artificiale, logistica. Oltre a far ciò, il testo offre anche agli Stati membri nuovi strumenti di natura finanziaria per far fronte a queste esigenze. La priorità è proteggere la vita di tutti i cittadini europei e assicurare la sicurezza delle democrazie dell’UE con una deterrenza militare credibile, che scoraggi altri Stati dall’intraprendere azioni ostili come abbiamo visto purtroppo con l’invasione russa in corso in Ucraina dal 2022.

 

Tuttavia, nel documento sembra mancare il giusto spazio su un tema chiave: ovvero la questione del coordinamento e del comando delle forze armate dei diversi membri dell’Unione Europea[1].

Sperando di non dover mai fronteggiare un vero scenario di crisi dentro i confini dell’UE, non si può non chiedersi già oggi in quale modo ben 27 Stati, con 27 strumenti militari diversi, dovrebbero coordinarsi.

Chi dovrebbe decidere a livello operativo dove dispiegare sistemi di difesa e quali? Chi dovrebbe gestire la logistica di forze militari così eterogenee?

Non si tratta del livello decisionale di natura politica, ma di quello operativo appunto. Oggi le uniche strutture in grado di assicurare un coordinamento efficace di questi aspetti sono quelle della NATO.

Nelle scorse settimane, non a caso, il tema è stato anche richiamato in diversi interventi pubblici autorevoli, da quello dell’Amministratore Delegato di Leonardo Cingolani, che ha parlato di “creare una catena di comando unificata”, alle parole dell’ex Presidente Draghi, che nelle Commissioni congiunte di Senato e Camera ha dichiarato che “occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei, che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale”.[2]

Pensare a un comando militare operativo europeo unico è quindi una priorità. Probabilmente la scelta più razionale, alla luce delle sfide geopolitiche in corso, è quella di un comando ridotto, di soli 3 o 4 Stati europei, quelli più rilevanti a livello economico e militare, che guidino l’azione collettiva di tutti.

A livello militare non è pensabile, infatti, far prendere delle decisioni a ben 27 Capi di Stato Maggiore riuniti nello stesso luogo, considerando anche i tempi di reazione che uno scenario di crisi richiederebbe. Questa nuova struttura potrebbe anche supportare il coordinamento dei piani di spesa nazionali, fornendo alle autorità politiche indicazioni e strategie anche sul tema del procurement, al fine di disporre nel tempo di strumenti militari più omogenei in termini di equipaggiamenti; è utile ricordare, infatti, che attività di pianificazione militare e comando di strumenti di difesa con numerose tipologie di mezzi diversi sono sicuramente ben più complesse rispetto ad attività di coordinamento di forze omogenee in termini di equipaggiamento, tecnologie e dottrine di impiego. Lo stesso Libro Bianco della Commissione, infatti, fra le linee di azione ritenute fondamentali include anche quella relativa alla necessità di “sostenere l’industria europea della difesa attraverso la domanda aggregata e un aumento degli appalti collaborativi”, ovvero finalizzati all’acquisizione di sistemi d’arma ed equipaggiamenti comuni; infine la nuova struttura di comando potrebbe naturalmente svolgere un ruolo importante per le esercitazioni militari comuni, sempre più necessarie per gli Stati dell’UE.

 

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In sostanza, quindi, sarebbe utile pensare sin da subito a un comando operativo europeo interforze, che possa dare disposizioni chiare agli strumenti di difesa nazionali in caso di crisi, sempre sulla base delle più alte decisioni politiche e sperando che un ricorso agli strumenti di difesa europei non sia mai necessario.

Un comando a cui assegnare anche la capacità di dare ordini ad alcune unità nazionali, si pensi ad esempio ai reparti di caccia per la difesa aerea, così da iniziare a costruire davvero una prima e concreta “difesa comune”. A questo nuovo ente potrebbero essere assegnati direttamente anche gli EU Battlegroups, le unità militari multinazionali costituite anni fa (ma mai finora utilizzate) e solitamente composte da 1.500 effettivi ciascuna, che formano la capacità militare di reazione rapida dell’UE per rispondere alle crisi. Peraltro, queste unità andrebbero riviste nei numeri, ad oggi troppo contenuti, e andrebbero forse anche riunite fisicamente in basi comuni; il rischio altrimenti è quello di assegnare solo sulla carta interi reparti nazionali a strutture militari comuni “virtuali”.

È utile osservare che dal 2001 esiste già “Il Comitato militare dell’Unione europea”, ma come si può notare dalla denominazione si tratta di un “comitato” e non di un vero e proprio comando operativo. Si tratta di un organo dove sono riuniti tutti i Capi di Stato Maggiore della Difesa degli Stati membri: un numero elevato che rende la struttura non adatta, come sopra richiamato, a gestire decisioni da prendere in tempi rapidi e in scenari di crisi. Si tratta di un comitato che fornisce consulenze e raccomandazioni e che in linea teorica dirige tutte le attività militari nel quadro dell’UE, in particolare la pianificazione e l’esecuzione delle missioni e operazioni militari nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune. Non può però dare indicazioni dirette ai reparti operativi il cui comando resta naturalmente sotto la supervisione dei singoli stati o della NATO.

Al fine di creare una nuova struttura europea di comando con reparti nazionali assegnati si dovrebbero cambiare i trattati dell’UE? Probabilmente sì, ma tutto si può cambiare se c’è la volontà politica. I temi di governance della difesa europea vanno infatti chiariti e affrontati sin da subito se si intende disporre davvero di strumenti militari, che seppur nazionali come è oggi, possano comunque iniziare a muoversi maggiormente come un’unica entità, in vista di una vera difesa comune.

 

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Le ragioni della mancata attenzione del Libro Bianco della Commissione sul tema del comando comune delle forze militari dell’UE sono intuibili: probabilmente, per il momento, non esiste un consenso sufficientemente solido sulla messa in comune di risorse militari che sono considerate – dalle leadership politiche – come scarse e preziose, e che sono percepite – dalle rispettive opinioni pubbliche – come una priorità di secondo livello che non è urgente finanziare. Tuttavia, sul tema del comando delle forze militari già a disposizione degli Stati UE è il momento di discutere apertamente e assumere nuove iniziative politiche anche fra un gruppo di stati dell’Unione, che vogliano svolgere un ruolo guida, alla luce di un quadro di sicurezza che purtroppo è drammaticamente mutato.

 

 


Le opinioni espresse sono personali e non sono riferibili alle Istituzioni o società di appartenenza dell’autore.

 

 


Note:

[1] Il documento presentato dalla Commissione si limita solo a ricordare sul tema che la responsabilità delle forze nazionali resta in capo agli Stati Membri dell’UE.

[2] L’intervento del Presidente Mario Draghi può essere letto qui. In particolare, il tema della difesa comune europea viene affrontato da pagina 6.