international analysis and commentary

In USA, i checks&balances del voto popolare

845

In un sistema politico democratico-liberale, il più forte ed efficace dei famosi checks&balances è il voto popolare, e questo vale anche per gli Stati Uniti nell’era di Donald Trump.

Il “fenomeno Mamdani” a New York conferma che, come accadde ad esempio per Barack Obama e ancor prima per Bill Clinton, è necessario passare per le primarie se si vuole consentire agli elettori di far sentire la loro voce, dare un orientamento, contribuire alle priorità di policy, e anche fornire armi narrative ben sperimentate contro gli avversari politici.

 

Altrimenti, come è stato per Hillary Clinton e per Kamala Harris, perfino figure pubbliche con altissima “riconoscibilità” finiscono per navigare al buio, senza certezze su quali siano le vere priorità del proprio potenziale elettorato, e portando comunque con sé il pesante bagaglio di una carriera politica, con gli inevitabili errori e correzioni di rotta: insomma, è la peggiore delle combinazioni possibili, come i Democratici dovrebbero aver oramai capito.

Soprattutto in un sistema elettorale complessivamente molto maggioritario (come quello americano), le scelte sono in ultima analisi ridotte al minimo, spesso soltanto a due; dunque, il ruolo di spinta degli elettori si percepisce soprattutto nella fase delle primarie, che infatti fanno sempre emergere le sorprese, cioè eliminano i candidati più deboli e fanno “scouting” di possibili talenti.

Questa fase elettorale è anche la migliore risposta alle accuse anti-establishment, perché apre e rende più trasparenti i processi di selezione delle leadership. Si rivitalizzano i partiti, tanto denigrati ma tuttora elemento essenziale di una democrazia liberale – certamente negli USA di oggi, dopo anni di scarsissime opzioni alternative tra i Democratici e dopo la “scalata ostile” del GOP da parte di Trump.

 

Leggi anche: Non solo Mamdani: come cambia il Partito Democratico e la scena politica USA

 

L’attuale Presidente rischia in effetti un errore analogo a quello commesso da Joe Biden: se vorrà fare il kingmaker del suo successore tra i Repubblicani – in qualche modo proponendo sempre e solo se stesso come salvatore della patria – sarà più probabilmente punito dagli elettori.

Proprio la fase elettorale delle primarie interne al Partito Democratico, che ha consentito al prossimo sindaco di New York di emergere dal quasi-anonimato politico, indica anche che piattaforme programmatiche nuove possono svilupparsi se si confida nella partecipazione popolare. E’ verissimo che il caso Mamdani è irripetibile a livello nazionale, ma intanto segnala una tendenza degna di nota per il midterm del 2026 e per i futuri aspiranti alla presidenza nel 2028: la forte richiesta di sostegno pubblico per le fasce più vulnerabili della società, che ormai includono parte della (ex) classe media.

Sebbene la contrapposizione ideologica e perfino antropologica con Donald Trump sarà certamente durissima nei toni, siamo in realtà di fronte a due forme di statalismo, come si direbbe in un linguaggio più europeo. Di fatto, quella di Trump è un’amministrazione fortemente centralista nell’uso delle risorse pubbliche, che tende ad influenzare direttamente i mercati e a scegliere vincenti e perdenti in modo “autoritativo”, forgiando alleanze esplicite con gli imprenditori più graditi alla Casa Bianca. Sull’altro versante, che viene spesso descritto come la sinistra estrema del mondo progressista, troviamo il nuovo sindaco della più popolosa città americana a proporre una ricetta di spesa pubblica – sebbene su scala locale – che riecheggia le tattiche preferite del Presidente in carica: c’è una vera emergenza (in questo caso la “affordability”) che richiede interventi eccezionali da parte di un leader fuori dagli schemi tradizionali.

Sarà interessante osservare gli sviluppi di questo scontro politico, ma anche capire se magari da esso possa scaturire una qualche “terza via”, cioè una ricetta fiscalmente più sostenibile e meno indigesta alle residue componenti “moderate” dell’opinione pubblica americana.

Se si recepiranno i messaggi delle prossime primarie e delle prossime elezioni locali, potrebbe magari emergere che molti cittadini sono a favore di un intervento pubblico (federale e ad altri livelli) più efficace, superando una certa ipocrisia culturale per cui solo il “libero mercato” funziona; ma che sono anche a favore di un governo più prudente rispetto al debito pubblico e meno ossessionato dai listini di Wall Street. Intanto, pare già certo che l’elettorato non è contento del più lungo “shutdown” nella storia del Paese.

 

 

Leggi anche:
Gli USA di Trump e il ritorno della religione come frattura politica
Alle radici della vittoria di Trump
The 2020 US primaries & the Democrats’ challenges