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Il torio e la svolta energetica possibile per la Cina

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Come si dice game-changer in cinese? E’ di pochi giorni fa l’annuncio del successo del reattore sperimentale costruito dall’Istituto di Shanghai per la Fisica Applicata nel processo di trasformazione del torio in uranio, per alimentare una centrale nucleare. Il progetto, sotto la direzione dell’Accademia Cinese delle Scienze, un ente pubblico, o meglio un colosso da 70mila impiegati e 80mila studenti ricercatori che coordina lo sviluppo tecnologico e scientifico nazionale, proseguiva da oltre dieci anni.

Il reattore a sali fusi al torio genera calore attraverso la fissione nucleare utilizzando un elemento molto più abbondante e disponibile dell’uranio. E’ già stato calcolato che una sola miniera di torio, presente nella regione cinese della Mongolia Interna, potrebbe rifornire l’intera Cina di energia per migliaia di anni.

Le novità non sono finite: da una parte, questo tipo di processo riduce in maniera significativa la quantità di scorie radioattive prodotte dalla centrale. Dall’altra, può essere condotto anche in assenza delle grandi quantità d’acqua generalmente necessarie a un impianto nucleare per funzionare, dato che la refrigerazione avviene attraverso i sali fusi al torio. Può essere dunque costruito in zone remote, a impatto ambientale minimo.

Il reattore sperimentale cinese è stato infatti sviluppato in una zona desolata del Deserto del Gobi, e il progetto prevede ora l’immediata costruzione di un reattore dimostrativo da 100MW, per il 2035, per provare lo sfruttamento commerciale dell’energia, con standard di efficienza, pulizia e sicurezza superiori a quelli attuali. L’industria cinese ha anche fornito il 100% dei componenti per la costruzione del reattore.

La regione del Gobi, la Mongolia Interna e Pechino

 

Un’innovazione cruciale in particolare per un Paese come la Cina, ben lontano dall’autosufficienza energetica – al contrario, ad esempio, di Stati Uniti o Russia. E dipendente da forniture condizionate da lunghe e non affidabili percorrenze, come gli idrocarburi dalla Siberia o dal Medio Oriente. O da un’industria inquinante centrata sul carbone – benché gli investimenti sulle rinnovabili siano di proporzioni enormi.

L’alimentazione a torio per le centrali nucleari fu studiata fin dagli anni ’50 dal celebre Oak Ridge National Laboratory, negli Stati Uniti, che già aveva prodotto il plutonio per il Manhattan Project. Il laboratorio del Tennessee aveva ben chiaro che il torio sarebbe stato molto più conveniente dell’uranio.

 

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Gli scienziati cinesi, paradossalmente, si sono così “seduti sulle spalle” di quelli che oggi sono i loro rivali nella competizione geoeconomica per le risorse globali. Nel frattempo, gli Stati Uniti (a livello pubblico) hanno abbandonato quasi completamente la ricerca avanzata in ambito nucleare. Eppure, nel 1964 Oak Ridge aveva già completato il procedimento oggi replicato nel Deserto del Gobi, e aveva elaborato i piani per la costruzione di un reattore commerciale.

Ma pochi anni dopo quei piani furono abbandonati, messi in un cassetto, e dimenticati: in favore della vittoria dell’uranio giocarono fattori politici ed economici, e soprattutto la constatazione che questo poteva essere utilizzato anche per la produzione di armi, mentre il torio no. Il direttore di Oak Ridge, Alvin Weinberg, fu licenziato nel 1973 proprio perché insisteva sull’uso del torio.

C’era un’ampia letteratura scientifica, e i progetti erano stati desecretati perché ormai ritenuti inutili e superati: per leggerli, bastava solo aprire il cassetto, dove nell’oscurità brillavano i riflessi argentei del torio. Qualcuno lo fece, in Cina. Nel 2010 bussò alle porte di Oak Ridge Jiang Mianheng, un cinquantenne dall’aria anonima, direttore di vari progetti di ricerca scientifica che fuori dalla Cina non interessavano a nessuno: i piani di sviluppo delle centrali al torio furono così passati all’Accademia Cinese delle Scienze.

In molte parti del mondo, inclusa l’Italia, progetti di ricerca legati all’utilizzo del torio erano stati discussi o avviati. A fare la differenza in favore della Cina, la massa critica e scientifica rappresentata dall’Accademia delle Scienze. Se gli esperimenti procederanno senza intoppi, il governo cinese prevede di costruire decine di impianti nelle sue aree desertiche, e altri ancora coinvolgendo fino a 30 tra i suoi Paesi-partner.