international analysis and commentary

Il candidato Ron DeSantis: una diversa visione conservatrice

1,134

Ormai ci siamo. Dopo il recente annuncio del senatore Tim Scott, Ron DeSantis ufficializza la propria candidatura alla nomination presidenziale repubblicana il 25 maggio. A riferirlo è stata l’agenzia di stampa Reuters. Il Governatore della Florida si avvia così ad essere, almeno sulla carta, il principale contendente di Donald Trump. D’altronde, che DeSantis nutrisse delle ambizioni presidenziali era noto da tempo. E proprio per questo Trump lo ha più volte bersagliato nel recente passato. Da molti considerato l’astro nascente del Partito Repubblicano, il Governatore ha sicuramente delle frecce al suo arco. Ma la strada davanti a lui non può neppure dirsi totalmente in discesa. Cerchiamo di analizzare la situazione più nel dettaglio.

Ron DeSantis e Donald Trump

 

Con i suoi 44 anni, DeSantis può innanzitutto contare su un’età ben più giovane rispetto al settantaseienne Trump. Per di più, contrariamente all’ex Presidente americano, il Governatore non è zavorrato da tegole di natura giudiziaria. DeSantis può inoltre rivendicare di aver contribuito a trasformare in una roccaforte repubblicana uno Stato storicamente in bilico come la Florida. Senza contare che, a novembre scorso, è stato riconfermato a valanga nel suo ruolo di Governatore. Un ruolo che, tra l’altro, gli consente di presentare il suo Stato come un laboratorio politico: quasi un “assaggio” del programma che potrebbe avere intenzione di realizzare, nel caso dovesse arrivare un giorno alla Casa Bianca. Infine, ma non meno importante, un Super PAC che lo sostiene ha raccolto ben 30 milioni di dollari tra marzo e aprile.

 

Leggi anche: Finanziare la politica negli USA: da Trump a Biden

 

Dall’altra parte, non mancano le incognite. Trump continua ad essere il favorito nei sondaggi relativi alle prossime primarie repubblicane: un trend consolidatosi dopo che, a marzo, ha subito un’incriminazione, promossa dalla procura distrettuale di Manhattan. L’ex Presidente sta infatti cavalcando la tesi della persecuzione giudiziaria ed è finora riuscito in questo modo a ridurre i margini di manovra dei suoi avversari interni. A peggiorare le cose per il Governatore sono state le elezioni locali in Kentucky e nella sua Florida dello scorso 16 maggio, quando due candidati che avevano ricevuto il suo endorsement sono stati sconfitti: una circostanza che ha permesso a Trump di sparare nuovamente a zero su di lui.

 

Leggi anche: L’incriminazione di Donald Trump: il possibile senso politico di un atto giudiziario

 

Più in generale, ci si interroga sulla capacità del Governatore di attrarre il voto degli elettori indipendenti: quegli elettori che risultano storicamente fondamentali per riuscire a conquistare la Casa Bianca. In questi anni, DeSantis ha portato avanti numerose battaglie contro l’ideologia progressista, contrastando il preteso indottrinamento liberal nelle scuole e la censura ad opera dei big del web. Senza poi trascurare una recente legge antiabortista particolarmente severa. Si tratta di battaglie che gli hanno consentito man mano di diventare un campione della causa conservatrice e che potrebbero nel lungo termine avvantaggiarlo a livello di primarie. Il punto è che questa enorme attenzione dedicata alle cosiddette “culture wars”, quelle guerre culturali che infuriano nel dibattito degli Stati Uniti, non è detto che interessi poi granché agli elettori meno ideologicamente motivati. Senza poi trascurare che il suo braccio di ferro contro Disney sta irritando anche alcuni importanti esponenti del Partito Repubblicano (come il senatore della Florida, Marco Rubio).

Infine, DeSantis inizia ad avere qualche problema anche con l’impero mediatico di Rupert Murdoch, punto di riferimento dell’elettorato conservatore. Alla fine dell’anno scorso, era abbastanza chiaro che l’anziano magnate avesse intenzione di puntare sul Governatore. Poi qualcosa si è incrinato nel loro rapporto. Dopo l’incriminazione di Trump, Fox News si è mostrata piuttosto benevola nei confronti dell’ex Presidente, mentre la redazione del Wall Street Journal ha criticato a marzo il Governatore per aver definito l’invasione russa dell’Ucraina una “disputa territoriale” (posizione rispetto a cui DeSantis ha successivamente fatto marcia indietro).

Tra l’altro, non è neanche semplicissimo cogliere le differenze politiche tra il Governatore e l’ex Presidente. Ricordiamo infatti che DeSantis ha costruito gran parte della sua carriera politica nell’alveo del trumpismo: da deputato fu un ferreo alleato di Trump e, nel 2018, ne ottenne l’endorsement per la sua prima campagna governatoriale. Lo scontro tra i due sorge d’altronde più per ragioni generazionali che ideologiche.

Tuttavia, col passare del tempo, si stanno man mano delineando delle differenze politiche più nitide. Trump sta proponendo un trumpismo, per così dire, “di sinistra”: sta cioè cercando di presentarsi come il baluardo della previdenza sociale e del programma sanitario a tutela degli anziani, Medicare, accusando DeSantis di voler tagliare le spese sociali. Il Governatore, dal canto suo, è più un trumpista “di destra” e ha tacciato l’ex Presidente di usare contro di lui delle critiche tipiche del Partito Democratico. Il punto è che sui temi sociali il Governatore si mantiene al momento piuttosto vago, perché teme probabilmente di alienarsi i settori più ortodossi del Partito Repubblicano, notoriamente favorevoli alla riduzione della spesa pubblica. Trump, dal canto suo, batte molto a favore di Medicare e della previdenza sociale verosimilmente per accattivarsi le simpatie degli Stati operai, come Michigan, Pennsylvania e Wisconsin: Stati che storicamente risultano cruciali per riuscire ad espugnare la Casa Bianca.

E’ ancora presto per dirlo, ma rischia di profilarsi uno scenario problematico all’orizzonte. E se il duello tra Trump e DeSantis piombasse prima o poi in una situazione di stallo? Uno stallo, s’intende, che impedirebbe a entrambi di conquistare la nomination repubblicana? L’ipotesi non è poi così inverosimile. E, forse, qualcuno ci sta già strategicamente pensando. Il riferimento è al Governatore della Virginia, Glenn Youngkin. Indiscrezioni su sue ambizioni presidenziali si rincorrono da tempo e ultimamente – nonostante una mezza smentita – sono addirittura riaffiorate. Tutto questo, mentre, anziché attaccarli quali possibili rivali, Youngkin ha di recente addirittura elogiato tanto Trump quanto DeSantis.

Non solo. Quando vinse le elezioni governatoriali della Virginia nel novembre del 2021, Youngkin mostrò buone doti di federatore, riuscendo inoltre a guadagnarsi la fiducia di un elettorato composito: un elettorato costituito sia da trumpisti sia da votanti piuttosto distanti dall’ex Presidente. Ecco: proprio questa potrebbe essere la carta che ha eventualmente intenzione di giocarsi. Se dovesse realmente verificarsi uno stallo tra Trump e DeSantis, il Governatore della Virginia potrebbe presentarsi come il pacificatore: l’uomo in grado, cioè, di portare armonia e cooperazione in un Partito Repubblicano dilaniato dai contrasti. Della serie: mentre il trumpista di “destra” litiga con quello di “sinistra”, il trumpista “democristiano” gode. Chissà.