Europa e Mediterraneo: il senso profondo dell’intesa franco-spagnola
Il 2023 si è aperto con una novità per la politica europea: il Trattato di amicizia siglato a Barcellona tra Francia e Spagna il 19 gennaio. Si tratta di un accordo di rango elevato, che la Francia in precedenza aveva siglato soltanto con la Germania e più recentemente con l’Italia. Al famoso Trattato dell’Eliseo che ha appena compiuto sessant’anni, compendio diplomatico dell’intesa franco-tedesca per la gestione dell’integrazione europea, ha fatto seguito con l’Italia il “Trattato del Quirinale”, firmato nel novembre 2021. La Spagna ne aveva uno simile soltanto con il Portogallo. L’intesa firmata dal presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron e dal capo del governo spagnolo Pedro Sánchez interessa l’intero quadro europeo, oltre che lo scenario mediterraneo, date le caratteristiche economiche e le posizioni politiche dei due Paesi protagonisti, traslate nei termini dell’accordo.
I rapporti tra Spagna e Francia, in effetti, negli ultimi decenni non avevano mai brillato per intensità. Dal punto di vista economico, Parigi si era sempre mostrata sospettosa della galoppante crescita economica spagnola, molto sostenuta fino alla crisi del 2008: per evitare qualsiasi tipo di espansione commerciale, in particolare verso le proprie regioni meridionali, comparativamente più povere, aveva avuto cura di mantenere i flussi di merci e di persone tra i due paesi sotto un certo livello. Così, mentre la rete delle infrastrutture spagnole sia autostradali che ferroviarie ad alta velocità si espandeva a macchia d’olio nella penisola iberica, i grandi valichi di collegamento attraverso i Pirenei con la Francia rimanevano essenzialmente due “strettoie”: quella di Hendaye, nel Paese Basco, e quella di La Jonquera in Catalogna – con la Francia che mandava i suoi treni fino alle città spagnole, ma non consentiva ai treni spagnoli l’accesso alla rete francese. Lo stesso succedeva per la rete elettrica: la Francia impediva alla Spagna di utilizzare la propria rete per commerciare la sua elettricità, rete che doveva servire in esclusiva alla circolazione e all’export dell’energia prodotta dal nucleare francese. Parigi, al contrario, riusciva a mantenere la sua presenza economica in Spagna (favorita sia dalla grande offerta di lavoro per una disoccupazione strutturale piuttosto alta, sia dalla crescita dei consumi locali, sia dal livello inferiore dei salari) nel settore industriale automobilistico (Peugeot e Renault), nell’agroalimentare (Lactalis), nelle telecomunicazioni (Orange) e nella grande distribuzione – con Carrefour, Auchan, Leroy Merlin.
Non favorivano le relazioni tra i due Paesi neanche le condizioni politiche. La forza egemone nella sinistra spagnola, il Partito Socialista, già alla fine del Franchismo si legò alla socialdemocrazia tedesca più che al socialismo francese: la vicinanza tra il primo premier socialista spagnolo Felipe González e la SPD consentì negli anni ‘80 a livello europeo la messa in opera di un meccanismo di trasferimento di fondi di cui le regioni spagnole si sarebbero notevolmente avvantaggiate: la Spagna ottenne nel tempo dalla UE una cifra pari a tre Piani Marshall, con cui avviò con successo la sua modernizzazione, e che cementò una solida intesa politica ispano-tedesca. Lo si vide chiaramente quando González, di fronte ai dubbi e ai timori di Londra, Parigi e Roma, fu il primo capo di governo europeo a offrire sostegno incondizionato all’unificazione tedesca, dopo la caduta del Muro. Dopo averlo perso nel 1996, i socialisti tornarono al potere a Madrid nel 2004 con José Luis Rodríguez Zapatero: ma i suoi governi ebbero una forte carica ideologica, dovuta alla furiosa opposizione della destra spagnola, e data la coincidenza con i mandati in Francia – di colore opposto – di Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy, non permisero nemmeno allora la costruzione di intese significative con Parigi.
I due mandati di José Maria Aznar (1996-2004) furono anch’essi caratterizzati da una certa freddezza tra Madrid e Parigi. Il Partito Popolare di Aznar manteneva, anche per ragioni storiche, connotazioni conservatrici piuttosto radicali, distanti dalla destra francese di stampo laico e repubblicano. Semmai, il polo ideologico di attrazione per Aznar era costituito dal Partito Repubblicano americano: una vicinanza che si concretizzò nell’appoggio diretto della Spagna all’invasione dell’Iraq promossa da George W. Bush, mentre Parigi e Berlino, già dubbiose sull’Afghanistan, rifiutavano di seguire Washington nel Golfo Persico.
Gli interessi di Spagna e Francia sullo scacchiere europeo cominciarono a convergere per due ragioni fondamentali e legate tra loro, soprattutto dopo il 2008. Per primo, il declino economico della Francia in relazione alla continua crescita della Germania, che portò a un punto di squilibrio irrimediabile l’asse franco-tedesco, con Parigi nella condizione di dover cercare alleanze per bilanciare un rapporto bilaterale non più alla pari. E poi, la crisi del debito che mise a rischio la tenuta dell’Eurozona e che creò le condizioni per modificare la politica monetaria europea in un senso meno restrittivo. La Francia dovette scoprire allora le sue carte, per posizionarsi stabilmente nel fronte dei Paesi che, dalla crisi del debito a quella originata dalla pandemia, spingono per una politica espansiva da parte della Banca Centrale Europea e per un allentamento degli obblighi di controllo della spesa pubblica.
Con l’arrivo all’Eliseo di Emmanuel Macron nel 2017, inoltre, la Francia ha affinato il suo programma per portare l’Unione Europea sulla strada di una definita “sovranità”. Con questa definizione Parigi intende un organo politico capace di provvedere a se stesso dal punto di vista della politica, dell’economia, della sicurezza. E’ una visione che presuppone un graduale abbandono dell’idea di un’Unione aperta, dove merci e persone fluiscono liberamente all’interno e all’esterno dei confini, ossia un hub della globalizzazione e del commercio internazionale secondo i principi del liberalismo degli anni ‘90 e dei primi 2000. Approfittando dell’assenza inglese dovuta alla Brexit, Parigi al contrario ha riportato alla ribalta il concetto classico di “potenza nazionale”, applicata alla UE.
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Questa visione, di cui la Francia è tradizionalmente portatrice, ma che era stata propugnata con intensità molto minore negli scorsi ultimi decenni, è problematica all’interno dell’Unione Europea. Alcuni membri dell’UE non hanno alcuna intenzione di cedere ulteriori poteri tanto da trasformare l’Unione in un super-stato, men che meno sul modello centralista della Francia. Altri non vogliono saperne del modello economico protezionista che ciò presupporrebbe, perché la loro potenza esportatrice, la loro superiorità tecnologica, la loro capacità di innestarsi sui flussi finanziari globali li rendono già abbastanza competitivi e non credono che lo stato debba dirigere le imprese. Infine, alcuni possono accettare che si parli di “autonomia strategica” europea, ma non che si abbandoni o si indebolisca l’ombrello protettivo della NATO in favore di un sistema di sicurezza europeo tutto da costruire – e di cui si teme, anche in questo caso, un’egemonia della Francia, l’unico Paese UE a possedere armamenti nucleari. Non è un caso che in questo momento la relazione tra la Francia e la Germania – Stato che può incarnare tutte queste opposizioni, in diversa misura – sia in una fase di stallo prolungato.
Su una questione la collaborazione tra Francia e Spagna è rimasta costante negli ultimi tre decenni: la lotta al terrorismo dell’ETA, il gruppo armato in favore dell’indipendenza del Paese Basco. L’ETA è ormai sciolta, con la sua resa annunciata nel 2018. Ma il luogo del vertice franco-spagnolo del novembre scorso, Barcellona, non è stato scelto per caso. La città è stata il palcoscenico, fino a prima della pandemia, della febbre indipendentista che ha contagiato settori sempre più grandi e centrali della società catalana e dei suoi partiti, finiti per convincersi che il distacco dalla Spagna sarebbe stato davvero possibile.
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Gli indipendentisti hanno a lungo tentato di corteggiare l’élite parigina, con l’obbiettivo di riceverne un importante appoggio alla loro causa – un ricorso storico, perché la nazione catalana, che mantiene una certa vicinanza culturale con la Francia meridionale, ha tentato più volte nella storia di utilizzare Parigi per allontanarsi da Madrid. Invano. Oggi, scesa d’intensità la corrente secessionista, la scelta di Barcellona è servita anche a sottolineare l’intesa franco-spagnola contro l’indipendentismo catalano, che infatti l’ha accolta come una “provocazione”, e ha convocato una manifestazione di protesta, finita però in un flop. La Catalogna sembra “normalizzata”, Madrid e Parigi ne sono soddisfatte.
Su cosa si accordano dunque Francia e Spagna a Barcellona? La Francia ottiene il sostegno spagnolo su due punti centrali della propria visione europea: uno, il protezionismo, in particolare il consenso all’intervento pubblico “per regolare un mercato interno sconvolto dalla crisi energetica e dall’inflazione” – è qui il caso di ricordare la risoluta opposizione di Paesi come Olanda, Danimarca e Germania a ogni tentativo di mettere un tetto al prezzo del gas negli ultimi mesi. Due, l’autonomia strategica europea, “per consentire all’Unione maggior capacità di manovra in materia di politica estera”. Non solo però nel settore della sicurezza, ma anche in quello della tecnologia – con l’idea di considerare una parte del sistema industriale europeo come altamente strategico e dunque meritevole di sostegno, ma anche di controllo, da parte delle istituzioni politiche.
La Spagna, come risultato politico, ottiene intanto di sedere alla pari dell’Italia come partner privilegiato della Francia nel Mediterraneo. Il Trattato franco-italiano del Quirinale non poteva che essere visto come uno smacco a Madrid. Ma ci sono anche risultati concreti significativi: la Francia aprirà la sua rete ferroviaria ai treni spagnoli, con il doppio collegamento Madrid-Marsiglia e Barcellona-Lione da aprire entro l’estate. Consentirà che aumenti la capacità della Spagna (oggi ai minimi termini) di esportare elettricità verso il resto d’Europa attraverso il suo territorio, con nuovi collegamenti terrestri dal Paese Basco e dalla Navarra e uno marittimo sotto il Golfo di Biscaglia. E dopo essersi opposta al progetto di un gasdotto franco-spagnolo attraverso la Catalogna, accetterà quello di una condotta sottomarina Barcellona-Marsiglia per il trasporto di idrogeno verde, abilitata anche per il gas – progetto, per inciso, che sotterra quello precedente del gasdotto Barcellona-Livorno.
La Francia sta decidendo di investire somme ingenti sulla modernizzazione del porto di Marsiglia, per trasformarlo in piattaforma logistica in connessione con il grande polo industriale-tecnologico di Lione – in concorrenza con l’asse Milano-Genova e con quello Barcellona-Valencia. Il Nord Africa, a poche ore di navigazione, presenta sì rischi di instabilità, ma anche formidabili opportunità di sviluppo finora trascurate dagli Stati dell’UE, prova ne sia il minor sviluppo economico delle regioni europee che affacciano sul Mare Nostrum.
L’intesa tra Francia e Spagna evidenzia la volontà di Parigi – da non dimenticare, appunto, il trattato siglato anche con l’Italia – di restituire centralità al Mediterraneo negli scenari europei, non certo da oggi concentrati maggiormente sul quadrante orientale. Non se n’è accorto solo il politologo Robert Kaplan nel suo ultimo libro, “Adriatico”: nel Mediterraneo orientale si trovano giacimenti di gas capaci di liberare l’Europa da gran parte delle sue dipendenze. Dal Mediterraneo passeranno flussi migratori sempre più rilevanti, che dal centro dell’Africa punteranno verso l’Europa. E la stabilità dei turbolenti Stati arabi sulla sponda meridionale del Mediterraneo sarà decisiva per il mantenimento della sicurezza dell’Unione Europea. I giochi sono aperti.