Le elezioni tunisine del 23 ottobre per l’Assemblea Costituente si sono concluse come molti si aspettavano, cioè con una chiara vittoria del partito islamista “An-Nahda”. La tornata elettorale si è tenuta in un contesto di mobilitazione generale di tutte le unità dell’Esercito nazionale e alla presenza di 116 osservatori europei. Basta tradurre dall’arabo il nome del partito dei vincitori per comprendere l’atmosfera nella Tunisia del dopo-Ben Ali: la Rinascita. Si tratta della rinascita di elezioni libere, ma soprattutto della rinascita di un movimento socio-politico di forte ispirazione islamica, che negli anni di Ben Ali non era tollerato.
È dunque una storica occasione per la corrente islamista ispirata dalla Fratellanza Musulmana, senza precedenti negli ultimi 80 anni.
Oggettivamente, si tratta di un avanzamento dell’Islam politico in Tunisia, come fa notare l’editoriale del quotidiano panarabo Al-Quds al-Arabi, del 26 ottobre scorso: An-Nahda ha ottenuto circa il 50% dei seggi disponibili, mettendo in chiara evidenza la debolezza sullo scenario politico tunisino di partiti di ispirazione laica e di sinistra.
Ma perché An-Nahda e non altri partiti? Come spiega il sociologo tunisino Tariq Bin Hajj Muhammad al quotidiano “As-Sabah”, il partito islamista si è presentato alla campagna elettorale con un tono moderato: non ha attaccato le istituzioni, non ha fatto appello allo scioglimento dei corpi di polizia ma soprattutto ha tranquillizzato la società civile. Inoltre, il rifiuto di qualunque eredità del vecchio regime ha aiutato Al-Nahda a ricevere voti anche da un elettorato non propriamente islamista.
Sono in particolare i liberali e le donne a temere una deriva islamista e anti-liberale del paese, e nella peggiore delle ipotesi una “salafizzazione”. A tal proposito, si sono già verificati atti di violenza da parte di elementi salafiti sia contro le donne che contro semplici espressioni artistiche della società civile.
Per comprendere il successo di An-Nahda, e più in generale la chiara affermazione dell’Islam politico come alternativa ai vecchi regimi della regione, è poi importante segnalare il compatto sostegno che il partito islamista ha ricevuto dalla comunità tunisina residente all’estero, anche in Italia. Tra i diciotto seggi dell’Assemblea Costituente riservati ai tunisini all’estero – su un totale di centoventisette – nove sono andati ad An-Nahda, di cui quattro soltanto in Francia.
Il successo di An-Nahda evidenzia inoltre un fattore di importanza strategica per l’intera regione: il largo sostegno popolare soprattutto nelle aree rurali. Un dato che durante gli anni di Ben Ali era spesso sfuggito ai paesi occidentali è che il temperamento islamico è radicato in gran parte della popolazione, mentre l’immagine occidentale e laica della Tunisia è in certa misura il frutto di un lavoro di propaganda del vecchio regime Ben Ali. Certo, paragonata ad altre nazioni musulmane, la Tunisia ha sempre dimostrato maggiore apertura, ma ciò non ha mai significato un’assenza di Islam. Come è emerso anche in altri paesi della regione, in questo contesto lo stesso radicamento delle varianti più estreme di islamismo è direttamente proporzionale alla repressione esercitata dal regime al potere, e infatti la presenza del salafismo jihadista in Tunisia (con contatti transnazionali che coinvolgevano cellule qaediste, anche in Italia) era nota già dal 2006.
A questo punto è necessario che sia l’Occidente sia il mondo arabo si pongano un quesito cruciale: come si può efficacemente dialogare con le nuove correnti nel campo islamista, incoraggiandole ad evolvere ulteriormente verso politiche di apertura? Non è infatti chiaro che la scelta compiuta soprattutto da Washington in merito al dialogo con le varie anime della Fratellanza Musulmana sia la strada giusta. Gli Stati Uniti sembrano non aver fatto tesoro degli errori del passato, e credono che, sostenendo la galassia della Fratellanza Musulmana nel nuovo mondo arabo, l’Islam politico possa essere quella forma di democrazia che la Casa Bianca ha sempre auspicato: trascurano così che la democrazia come concepita nel mondo occidentale potrebbe non essere compatibile con il modello islamico. Quantomeno, sembra opportuno diversificare i contatti invece di scommettere su una sola controparte.