Il dialogo bilaterale con Washington è ciò che interessa realmente a Vladimir Putin, che ha rese pubbliche nel dicembre scorso le sue proposte per un doppio trattato, con gli Stati Uniti e con la NATO. L’UE non esiste, nella percezione di una Russia che punta semmai a dividere l’Europa.
Il leader del Cremlino si è mosso per primo con un mix classico di strumenti. Da una parte la pressione militare, con più di centomila truppe a poche decine di chilometri dal confine ucraino e solo in parte smobilitate. Poi l’offerta di un pacchetto negoziale. Se Putin ha così ottenuto da Joe Biden lo status di interlocutore primario, il cuore del problema non cambia: le proposte di Mosca non sono accettabili, né per gli Stati Uniti, né per la NATO, né per gli europei nel loro insieme, per quante nuance possano esistere sulla gestione del problema Russia.
Putin, che come noto ha definito il crollo dell’URSS “la catastrofe geopolitica del XX secolo”, sembra volere riannodare il filo della storia. Punta al riconoscimento di una sfera di influenza della Russia, con una sorta di Yalta 2, che in qualche modo ripari la sconfitta nella guerra fredda, tolga dal tavolo ulteriori allargamenti della NATO (Ucraina e Georgia) e precluda lo spiegamento militare della NATO a Est: uno spiegamento che è diventato significativo, a differenza di quanto sostiene il Cremlino, solo dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca.
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Fyodor Lukyanov, brillante analista russo, ha scritto che Putin è in realtà pienamente consapevole che rovesciare l’esito della Guerra Fredda non sarà possibile. Ma vuole ottenere nuove garanzie di sicurezza ai propri confini. Per ragioni, aggiungiamo noi, non solo esterne ma interne – l’ossessione di un contagio democratico a partire dalle aree ex-sovietiche. Per questo, e non solo per motivi storici (Kiev come madre della patria russa) l’Ucraina è diventata una posta in gioco così rilevante. Una escalation militare in Ucraina non rientra d’altra parte negli interessi prioritari di Mosca, che pagherebbe il prezzo durissimo già minacciato da Washington e che si trova di fronte a una crisi in Kazakistan che distoglie energie e risorse militari in un momento delicato. Un fronte forse troppo vasto – Ucraina, Bielorussia, Kazakistan – anche per il nuovo zar della Russia. Americani ed europei non devono quindi compiere l’errore di sopravvalutare il rivale, quali che siano le “risposte militari e tecniche” unilaterali già annunciate da Putin in caso di mancato accordo.
La percezione di Mosca, d’altra parte, è che il momento sia favorevole per una trattativa con Washington: un’America concentrata sulla priorità della competizione strategica con la Cina ha interesse a una relazione più stabile con la Russia, che Biden potrebbe forse gestire più razionalmente di Donald Trump. Un accordo con Putin sulla sicurezza europea permetterebbe agli Stati Uniti di concentrarsi sulla regione indo-pacifica e di “staccare” Mosca da un abbraccio troppo stretto con Pechino. La Russia nutre insomma qualche speranza che l’Amministrazione americana, guidata da un presidente che avrà un solo mandato e sommersa da guai interni, sia disposta a compromessi. L’Europa, consultata da Biden, è data per scontata.
In realtà, trovare punti di accordo non sarà affatto facile. A che condizioni? Per gli Stati Uniti e l’Europa si tratta di stabilire un equilibrio fra principi da difendere, inclusa la libertà dei paesi democratici di scegliere le proprie alleanze, e l’interesse a evitare nuove guerre alla periferia del Vecchio Continente. E si tratta di combinare alla deterrenza militare della Russia, che la NATO considera comunque il principale avversario da contenere, un dialogo possibile e necessario su un assetto della sicurezza europea che è nel frattempo crollato, inclusi i vecchi trattati sul controllo degli armamenti (nucleari e convenzionali) e le misure di fiducia. Si può cercare su questo, e sulle nuove minacce ibride, uno spazio per negoziare: uno spazio in una logica alla Helsinki (la conferenza del 1975 sulla sicurezza europea) come scrive l’ex ambasciatore americano alla NATO, Ivo Daalder, su Foreign Affairs. Al contrario, gli Stati Uniti e l’Europa non possono certo mettere in discussione la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, anche se per un tempo imprecisato è probabile che prevalga nei fatti una situazione di tipo finlandese (porta aperta ma senza ingresso).
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La prospettiva non è la Yalta 2 cui sembra aspirare Putin. Potrebbe essere forse, ma forse è la parola da sottolineare, l’avvio di un confronto sulle linee rosse rispettive in materia di sicurezza europea, con qualche spazio per accordi futuri sul controllo degli armamenti e per misure di fiducia. Come insegna la storia, con l’avversario, tenuto sotto controllo con la deterrenza militare, si può e si deve anche parlare. Ma avendo chiari i principi da difendere e distinguendo, nel comportamento di Mosca, preoccupazioni di sicurezza legittime e pretese inaccettabili di riportare indietro le lancette della storia. Su una linea del genere, i Paesi europei potranno anche trovare un approccio condiviso alla Russia: la condizione per avere peso e non restare marginali.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Repubblica del 10/01/2022