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Ucraina, Bielorussia, NordStream 2: un piano regionale di Putin

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Linee rosse. Le chiama così Vladimir Putin, riferendosi a dei punti limite sullo scacchiere diplomatico, militare e geopolitico che, se superati, non possono che provocare una reazione di Mosca. Il presidente della Federazione Russa ha menzionato le “red lines” per due volte nel corso delle ultime settimane. La prima, a metà novembre, in un lungo discorso sulla televisione di Stato Rossija 1, durante il quale ha accusato Europa e Stati Uniti di mostrare “un’attitudine superficiale di fronte ai nostri avvertimenti, alle nostre linee rosse”. La seconda appena una decina di giorni dopo, quando a un forum economico tenutosi a Mosca ha dichiarato che “la creazione di nuove minacce in Ucraina marcherà una nuova linea rossa per noi”. Lo ha fatto in questo caso in relazione all’ipotesi che il governo di Kiev possa ospitare sul suo territorio il sistema di difesa antimissilistico, fornito dalla NATO, Aegis Ashore con lancio verticale a celle tipo Mk-41, già presente in Polonia e Romania e che, secondo l’intelligence russa, sarebbe in grado di essere modificato per il lancio di missili a lungo raggio Tomahawk, tecnicamente in grado di raggiungere Mosca in una ventina di minuti dal fronte orientale ucraino.

“Dovremo creare una minaccia dello stesso genere per difenderci da chi ci sta minacciando” ha aggiunto Putin, forte dello sviluppo degli Tsirkon, i primi missili ipersonici al mondo, capaci di colpire obiettivi a 1000 chilometri di distanza con la velocità di 2,65 chilometri al secondo, utilizzabili da unità navali di superficie e sottomarini e di difficile neutralizzazione: Putin ha dichiarato all’inizio di novembre che la marina russa avrà una base navale dotata degli Tsirkon entro metà 2022.

Il primo test del missile ipersonico Tsirkon, capace di bucare lo scudo anti-missile della marina americana, è stato effettuato il 20 ottobre 2020, 68esimo compleanno di Putin

 

Altre “linee rosse” superate nel corso degli ultimi mesi, secondo la versione di Putin, sono state il passaggio imprevisto nel Mar Nero, il 20 ottobre, di due navi da guerra statunitensi e l’utilizzo da parte dell’esercito ucraino dei droni turchi Bayaraktar e dei missili anticarro americani Javelin contro i ribelli filorussi del Donbass.

Si tratta di elementi parte di un quadro evidentemente più ampio, che vede la Russia decisa a ribadire la sua netta opposizione all’entrata dell’Ucraina nella NATO e, più genericamente, alla presenza di forze NATO intorno ai suoi confini. L’obiettivo di Mosca è confermare il proprio ruolo di forza politica e militare egemone nei paesi post-sovietici non ancora formalmente allineati con Stati Uniti e Unione Europea.

Il dispiegamento di 90.000 militari russi alla frontiera con il Donbass, con la possibile preparazione di un attacco verso le zone interne dell’Ucraina, fino a Kiev, che, secondo le fonti di intelligence di Washington, potrebbe prevedere l’impiego di 175.000 uomini e di 100 battaglioni tattici dell’esercito di Mosca, pare così parte di una manovra di avvertimento atta a replicare quanto già accaduto nell’aprile 2021. In quel caso la minaccia di un’escalation militare portò al summit di Ginevra del successivo giugno; la sensazione complessiva è che, anche in questo caso, uno degli obiettivi di Putin, raggiunto, sia stato quello di attirare l’attenzione della Casa Bianca, per poter aprire avere un nuovo canale di comunicazione diretto con Washington attraverso cui insistere nella ricerca di garanzie vincolanti contro l’espansione della NATO ad Est: dopo l’incontro del 6 dicembre entrambi i governi hanno confermato l’intenzione di organizzare un nuovo incontro, di persona, nei prossimi mesi.

Ma non c’è solo l’Ucraina tra i terreni su cui la Russia sta manovrando ai suoi confini occidentali: c’è, evidentemente, anche la crisi dei migranti esplosa fra Bielorussia, Polonia e Lituania. E a mostrare un rinnovato interesse di Mosca anche nell’area baltica, sempre in ottica anti-NATO, un ruolo di rilievo lo giocherà anche l’implementazione del gasdotto Nord Stream 2.

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Se dunque lo spazio geopolitico tra la Russia e l’Unione Europea appare fortemente instabile è grazie all’azione strategica della Russia: in questo contesto Putin, forte anche di una rinnovata alleanza diplomatica con la Cina, sembra acquisire sempre maggiore fiducia. Il presidente russo sta spingendo sull’acceleratore in un momento nel quale la Germania e la Francia, i due principali paesi di contatto fra Mosca e Unione Europea, vivono un momento politico di passaggio e trasformazione, con la fine dell’epoca Merkel a Berlino e le elezioni presidenziali della prossima primavera a Parigi: Putin ritiene che in questa fase di stallo politico UE il cuore della strategia difensiva dell’Europa passi attraverso le decisioni statunitensi, sempre all’interno del Patto Atlantico, e che l’imposizione della presenza russa in Ucraina a lungo termine passi attraverso un confronto-scontro costante con Washington.

Alla luce di queste considerazioni le possibilità che le minacce russe di invasione in Ucraina si concretizzino sembrano comunque per adesso limitate. Se è vero che esiste l’ipotesi di vedere replicate le dinamiche che caratterizzarono la guerra russo-georgiana dell’Ossezia del Sud del 2008, con l’attacco russo marcato da Mosca come una sorta di atto dovuto dopo l’offensiva dei militari di Tbilisi nell’area, quello fra Mosca e Kiev è destinato a rimanere un confronto aperto, di lunga e difficile risoluzione. Putin, in un saggio di 5000 parole scritto di suo pugno, pubblicato nel luglio 2021 e intitolato “Sull’unità storica di russi e ucraini”, ha insistito nel sottolineare i legami storici, religiosi, etnici e linguistici fra i due paesi e quanto ritenga l’Ucraina una regione di cui Mosca è stata ingiustamente privata.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la gran parte dell’opinione pubblica ucraina, di rimando, hanno un’idea decisamente diversa rispetto alla collocazione geopolitica che vorrebbero dare al Paese. A partire da posizioni totalmente inconciliabili, comunque, un’escalation militare su larga scala non sembra al momento altamente probabile. Si tratta di un conflitto la cui espansione, dopo i 14.000 morti provocati dal 2014 ad oggi sul fronte orientale, aggiungerebbe costi altissimi per tutti ed esporrebbe la Russia a un duro confronto sul campo, con migliaia di ulteriori perdite umane e conseguenze economiche pesantissime.

Parata a Kiev nel giorno delle forze armate

 

Proprio di questo sembra convinto anche Joe Biden quando parla di “iniziative che rendano molto, molto difficile per Putin l’idea di proseguire” sulla strada del conflitto armato, come confermato anche durante il colloquio virtuale di lunedì 6 dicembre, durante il quale il presidente statunitense ha assicurato per Mosca “misure economiche e di altro tipo molto dure” in caso di invasione ucraina. Sanzioni contro le più grandi banche russe, il blocco della conversione dei rubli in dollari e in altre valute, il taglio finanziario agli investitori sul debito russo sul mercato secondario e un piano di contenimento del Russian Direct Investment Fund, il fondo sovrano russo, sarebbero fra le azioni considerate dalla Casa Bianca in caso di invasione.

Da Biden non è invece arrivato, ed è difficile possa arrivare in futuro, un impegno formale che escluda l’Ucraina dalla possibilità di entrare a far parte della NATO. Nonostante non sia al momento in agenda un’accelerazione dell’entrata di Kiev nel Patto Atlantico, resta chiaro, come sottolineato anche dal Segretario Generale Jens Stoltenberg, che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno oggi la necessità di ribadire la sovranità nazionale ucraina. “Non è accettabile parlare di sfera di influenza russa [….] la NATO è un’alleanza difensiva, non è una minaccia per nessuno e rispetta le decisioni di paesi come Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, che hanno voluto farne parte. Allo stesso modo rispettiamo le decisioni dell’Ucraina, che aspira a diventare membro NATO. Abbiamo deciso che lo diventerà, ed è nostro compito, dei trenta paesi alleati, decidere quando l’Ucraina sarà pronta. […]. La Russia non ha alcun potere di veto, alcun potere di parola, alcun diritto di stabilire una sfera di influenza per controllare i paesi confinanti”.

Fra le alternative sul tavolo in caso di conflitto c’è anche la cosiddetta “opzione nucleare: un blocco del sistema di pagamenti finanziari SWIFT che di fatto isolerebbe la Russia dal sistema bancario mondiale. Il Parlamento Europeo ha già approvato quest’anno una risoluzione che impegna l’Unione Europea a discutere della misura in caso di invasione russa dell’Ucraina, mentre dagli Stati Uniti, sinora più cauti rispetto a questa eventualità, cominciano a emergere conferme. La stessa misura, quando venne applicata all’Iran come sanzione per il programma nucleare, fece perdere nel giro di pochi mesi la metà dei ricavi per l’export di petrolio e un terzo del commercio estero a Teheran.

L’impatto su Mosca, la cui economia dipende per oltre il 30% dall’export di gas e petrolio, sarebbe ugualmente devastante, anche se, a differenza dell’Iran, il contraccolpo diretto sarebbe subito anche dai paesi occidentali, che intrattengono forti relazioni commerciali con Mosca e ne sono direttamente dipendenti sul fronte energetico. In questo senso il capitolo legato al gasdotto Nord Stream 2 è destinato a giocare un ruolo centrale.

La nuova infrastruttura è ormai pronta e il blocco della certificazione deciso in novembre dalla Bundesnetzagentur, l’autorità tedesca per l’energia, si inserisce con un timing quasi troppo perfetto nella battaglia in corso fra Russia e Occidente: secondo l’agenzia di stampa Reuters, Washington avrebbe un’intesa di massima con la Germania sulla chiusura dell’infrastruttura qualora la Russia dovesse invadere l’Ucraina.

I gasdotti Nord Stream e Nord Stream 2 collegano direttamente la Russia e la Germania sotto le acque del Mar Baltico, bypassando la Scandinavia e l’Europa centro-orientale

 

Il gasdotto, che vede da sempre la strenua opposizione statunitense, taglierà fuori l’Ucraina dal mercato, privandola di rendite fondamentali per l’economia nazionale, grazie a un collegamento diretto dalla Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico. Allo stesso tempo renderebbe l’Europa, che riceve già oltre il 40% del suo fabbisogno energetico dalla Russia, ancora più dipendente da Mosca.

 

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L’ennesimo campanello d’allarme rispetto all’entrata in funzione di Nord Stream 2 è suonato in ottobre, quando Gazprom ha minacciato di interrompere le forniture di gas per la Moldavia a causa di un ritardo dei pagamenti, situazione poi risolta da un intervento diretto del parlamento di Chisinau, che ha autorizzato un’estensione di 79 milioni di dollari alla legge finanziaria, così da permettere alla Moldovagaz di pagare Gazprom.

Nonostante la Russia abbia ripetutamente assicurato che non utilizzerà mai il fronte energetico come leva politica, si tratta comunque di un elemento da tenere in forte considerazione sullo sfondo di uno scenario regionale intricatissimo, nel quale l’Ucraina rischia di rimanere a giocare il ruolo, per nulla ambito, di eterno stato cuscinetto.