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Nord Stream 2 tra geopolitica e transizione energetica tedesca

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La finalizzazione del progetto Nord Stream 2 (NS2), il gasdotto targato Gazprom che dovrebbe trasportare il gas russo in Germania e altri paesi dell’Europa occidentale andando a raddoppiare la portata del collegamento già in funzione, sembra essere diventato uno spartiacque nelle dinamiche delle politiche energetiche. Da un lato ci sarebbe il campo dei “buoni”, gli Stati Uniti e gli alleati europei che ne ostacolano il completamento; dall’altro quello dei “cattivi”, Russia e Vladimir Putin in primis, ma anche la Germania di Angela Merkel, accusata di collusione col nemico del giorno. Tuttavia, la questione è ben più articolata delle pur comprensibili dichiarazioni di intenti di entrambe le parti, e meriterebbe di essere svuotata dei toni retorici per essere affrontata con il giusto peso.

I gasdotti Nord Stream e Nord Stream due collegano direttamente la Russia e la Germania sotto le acque del Mar Baltico, bypassando la Scandinavia e l’Europa centro-orientale

 

Il perimetro della contesa è chiaro. L’amministrazione Biden, in netta continuità con la presidenza Trump come su altri dossier di politica estera, chiede a gran voce alla Germania di abbandonare il NS2, minacciando conseguenze e sanzioni per le aziende tedesche che collaborano al progetto. Il Ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, durante il vertice dei ministri degli Esteri del G7 il 5 maggio a Londra ha detto che “a parte questa questione, in questo momento non vedo neanche l’accenno ad un problema che potrei definire serio” nelle relazioni con gli USA. Una posizione nota quella di Berlino, espressa già a marzo e ribadita a metà aprile durante i movimenti di truppe russe al confine con l’Ucraina, che avevano destato preoccupazione in diverse cancellerie occidentali.

Nessun passo indietro quindi, anche se l’avvicinarsi delle elezioni politiche in autunno e la fine dell’era di Angela Merkel stanno aprendo una breccia tra i partiti tedeschi, riassunta nella posizione della leader dei Verdi, Annalena Baerbock, che gode di influenza crescente nella politica tedesca. Se i Verdi fossero stati al governo il progetto sarebbe stato fermato già da tempo, ha dichiarato Baerbock, posizionandosi così in perfetta sintonia con le posizioni dell’amministrazione Biden. Tanto sul progetto NS2 che sulla politica europea verso Russia e Cina. Ma il progetto non è riconducibile solo a una dicotomia fra giusto e sbagliato dal punto di vista diplomatico, soprattutto in un periodo in cui la transizione energetica, il “Green Deal” europeo, e la diplomazia del clima di Washington dettano l’agenda non solo del presente, ma anche del futuro.

 

Il precario approvvigionamento energetico della UE

La dipendenza dell’Unione Europea dalle importazioni di energia, in particolare di petrolio e di gas naturale, pone al centro delle preoccupazioni la sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Secondo i dati più recenti pubblicati da Eurostat, tutti gli Stati membri sono importatori netti di energia, anche in seguito a un calo costante della produzione di energia nel periodo 2008-2018.  I maggiori importatori in numeri assoluti sono la Germania, l’Italia, la Francia e la Spagna. Nel 2008 l’unico esportatore netto di energia tra gli Stati membri dell’UE era la Danimarca, ma nel 2013 le importazioni danesi di energia hanno superato le esportazioni e tale tendenza si è confermata fino al 2018, anno in cui la più importante produzione di energia primaria nell’UE in termini quantitativi derivava da fonti di energia rinnovabili, più di un terzo (34,2 %) della produzione totale.

La mappa dei principali paesi di provenienza delle importazioni di energia – Russia, Norvegia, Arabia Saudita, Algeria, Qatar, Iraq – è leggermente cambiata negli ultimi anni, sebbene la Russia abbia mantenuto nel decennio fino al 2018 la posizione di maggiore fornitore delle principali materie prime energetiche: carbon fossile, petrolio greggio e gas naturale. Due terzi del consumo di gas proviene dall’estero, e Gazprom fornisce circa il 40% di tutte le importazioni europee di gas attraverso tre grandi gasdotti: Nord Stream (NS), un secondo gasdotto che attraversa l’Ucraina e un terzo che passa dalla Bielorussia. Il principale cliente europeo di Gazprom è la Germania, a cui NS fornisce un terzo del gas naturale consumato nel paese. NS2 raddoppierebbe il flusso esistente di gas naturale dalla Russia settentrionale a Greifswald, nel nord-est del paese.

I gasdotti di Gazprom verso l’Europa

 

La Germania sta attraversando una fase di transizione energetica e ha puntato sul gas russo per ridurre la dipendenza da carbone ed energia nucleare, quantomeno nel medio termine. Una scelta necessaria, ma irreversibile, che anzi deve subire un’accelerazione anche alla luce della recente decisione della Corte costituzionale tedesca, che obbliga il governo a introdurre entro la fine del prossimo anno dettagli sugli obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra per il periodo successivo al 2030.

 

Le difficoltà di Nord Stream 2 e la strategia russa

Nei fatti NS2 è un sistema di gasdotti offshore, costituito da due gasdotti paralleli che collegano Russia e Germania e che corrono in gran parte parallelamente al NS, costruito nel 2012 e presieduto dall’ex Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. Già a ottobre 2012, infatti, gli azionisti di Nord Stream AG, il consorzio che gestisce il progetto, hanno esaminato i risultati preliminari dello studio di fattibilità per la terza e quarta linea del gasdotto, che sarebbero poi state rinominate Nord Stream 2.

Il progetto rientra nella strategia russa di diversificazione del transito di energia, con il duplice obiettivo di avere una maggiore capacità di esportare gas in Europa senza fare eccessivo affidamento sui paesi di transito: NS2 passa infatti sotto le acque del Mar Baltico, senza toccare i territori di Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia.

NS2 si inserisce in questa cornice ben più articolata, con una coda al presente e radici che precedono questa fase storica, peraltro quando il G7 era ancora G8 per la presenza della Russia, espulsa poi nel 2014 in seguito alla guerra di Crimea. I sostenitori lo annunciano come un passo verso la stabilità energetica europea, mentre i critici lo considerano uno schema che favorisce solo Gazprom e i conglomerati energetici. Per gli Stati Uniti, NS2 è un “progetto geopolitico russo destinato a dividere l’Europa e indebolire la sicurezza energetica europea“, come ribadito dal Segretario di Stato americano, Antony Blinken, da ultimo al G7 dei ministri degli Esteri a Londra.

Sebbene NS2 fosse programmato per iniziare a far fluire il gas alla fine del 2019, diversi ostacoli hanno portato a un ritardo. Secondo le ultime valutazioni restano da costruire più o meno 140 km di condotte, oltre 100 km nella Zona economica esclusiva (Zee) danese e circa 30 km in quella tedesca, pari a circa il 6% della lunghezza totale. Avviato nel 2018, una delle sfide più serie alla sua realizzazione è arrivata dalla Danimarca, che ha concesso il suo permesso di costruzione due anni e mezzo dopo la prima domanda. Nel mezzo, Copenaghen ha approvato una legge che consente di respingere i permessi relativi ai gasdotti che attraversano il mare territoriale danese non solo per ragioni ambientali, come in precedenza, ma anche sulla base di motivi di politica estera e di sicurezza. Quando è stato concesso il permesso danese, la costruzione delle sezioni finlandese, svedese, russa e (la maggior parte) tedesca era stata completata. Poche settimane dopo che la costruzione della sezione danese, due linee di 147 km ciascuna, è iniziata a dicembre 2019 per essere completata entro metà gennaio 2020, la società svizzera Allseas di servizi per la costruzione ha sospeso le operazioni sotto la minaccia delle sanzioni statunitensi.

 

La crescente contrarietà americana

Si può ricondurre a quella data il primo passo concreto nel campo delle sanzioni imposte da Washington per fermare il progetto, anche se già nell’estate 2017 era stato adottato il Countering American Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA) ad hoc per ostacolare “la costruzione di condotte per l’esportazione di energia dalla Russia”.

Il sostegno del governo tedesco al progetto era subordinato alla conclusione dell’accordo di transito Russia-Ucraina post 2019, che garantiva un reddito di transito continuo per l’Ucraina almeno fino alla fine del 2024, anche se alcuni flussi di gas dovevano essere reindirizzati verso NS2 e lontano dall’Ucraina.

Le proteste di Germania e UE, tramite l’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, si sono rivelate inutili, anche se fondate sulla condivisibile posizione che “le sanzioni extraterritoriali sono contrarie al diritto internazionale”, anzi danneggiano “società europee che svolgono attività legittime”.

Ma la Casa Bianca sta affrontando crescenti pressioni da parte del Congresso per dare seguito a una piena spinta diplomatica, e l’adozione della legge sulla Protezione della sicurezza energetica europea ad aprile scorso ha chiuso il cerchio, anche se rimane la necessità di non alienare l’alleato europeo. Infatti, la posizione nei confronti delle aziende europee è stata leggermente ammorbidita, pur mantenendo fermo il punto verso quelle russe. In un recente incontro con il suo omologo russo Sergei Lavrov a margine del vertice ministeriale del Consiglio artico a Reykjavik, in Islanda, il segretario di Stato, Antony Blinken, ha annunciato che le sanzioni relative a Nord Stream 2 e al suo amministratore delegato sarebbero state revocate, mentre nuove sanzioni verranno applicate a otto compagnie e navi russe, fra le quali quelle che ad aprile hanno iniziato la posa dei tubi per terminare il progetto nelle acque danesi.

Come osservato su un brillante articolo comparso di recente sulla rivista Foreign Policy, la politica degli oleodotti della Germania ha senso solo sullo sfondo della trasformazione energetica del paese o “Energiewende“. Dal 2000, la Germania ha lavorato per collocare il proprio settore elettrico su una base solare, eolica e biogas, un processo che è stato accelerato dal disastro nucleare di Fukushima nel 2011. I grandi progressi nelle energie rinnovabili sono stati finanziati con pesanti sovrattasse, tasse e tariffe di rete, dando ai tedeschi alcuni dei prezzi dell’elettricità più alti al mondo. Chiedendo la fine del NS2, gli USA non solo creano difficoltà alla politica climatica tedesca, ma danneggiano le relazioni transatlantiche e minano la credibilità della diplomazia cooperativa di cui l’Europa e gli Stati Uniti hanno bisogno per combattere il cambiamento climatico.

La strategia della Germania è modellata dall”idea che coinvolgere la Russia, piuttosto che interrompere i legami, è necessario oltre che utile. Ma comunque per Berlino non avere legami energetici non è un’opzione in questo momento, purché le imprese che partecipano al progetto rispettino la legge. Se la posizione di Annalena Baerbock è chiara, ci sono anche voci favorevoli al progetto, nella consapevolezza che la sua realizzazione è comunque migliore dell’alternativa. E utile per portare a compimento la “Energiewende”.