international analysis and commentary

Convivere con il coronavirus: i casi di Austria e Germania

8,403

I piani di “ripartenza” allo studio in vari paesi europei partono da un presupposto: la pandemia non si esaurirà in 2-3 mesi, potrebbe durare sino al 2021 o 2022 quando si spera arrivi il vaccino, e non è cioè realistico puntare alla “suppression”; bisognerà perciò continuare a lungo l’azione di “mitigation” senza soffocare l’economia e senza tenere agli arresti domiciliari buona parte della popolazione. Ciò significa che quando si registra un netto rallentamento del contagio e gli ospedali hanno margini di capienza, conviene allentare le restrizioni là dove lo si può fare con un basso rischio di contagi, pronti a reintrodurle appena i numeri riprendessero a salire.

Questa filosofia ispira i piani che stanno elaborando le autorità di Germania e Austria, due paesi in cui la diffusione del virus è considerevole (rispettivamente 146.000 e 14.800 i casi accertati al 20 aprile) ma il numero dei decessi è relativamente basso (4600 e 470). Dato il rapporto 9:1 fra i due paesi per dimensione demografica, quei numeri riflettono una situazione simile, anche se con variazioni notevoli da regione a regione.

Entrambi i paesi hanno introdotto intorno a metà marzo – l’Austria prima della Germania – un lockdown in buona parte analogo a quello italiano (compresi scuole, negozi non alimentari, sport, alberghi, ristoranti, uscite non necessarie ecc.) ma con alcune importanti differenze che rendono la vita più sopportabile: passeggiate, corsa, bicicletta sono consentite, senza limiti di distanza. Dopo Pasqua l’Austria ha riaperto i parchi pubblici recintati (gli altri erano rimasti accessibili). Si ritiene infatti che l’attività motoria all’aperto, purché si rispetti il distanziamento, non comporti apprezzabili rischi di contagio e sia importante per la salute fisica e mentale della popolazione, soprattutto dei bambini ma non solo.

La polizia in pattuglia in un parco di Stoccarda durante il lockdown morbido tedesco

 

Sempre il 14 aprile Vienna ha autorizzato, seguita qualche giorno dopo dalla Germania, la riapertura di tutti i negozi salvo i grandi centri commerciali (chiusi fino al 3 maggio), ma con numero chiuso (una persona ogni 20 mq) e mascherina obbligatoria. Qui la motivazione è giuridica ed economica: metter fine alla discriminazione a favore dei supermercati, ed evitare il fallimento di decine di migliaia di piccole aziende commerciali.

A differenza dell’Italia, non sono mai stati vietati gli spostamenti da e verso le seconde case, per la semplice ragione che i viaggi in macchina non sono fattori di contagio. Vietate sono invece, sino a fine aprile, le visite a parenti e amici.

Le differenze fra i due paesi sono marginali. Rispetto al vicino sudorientale, la Germania ha una propensione leggermente maggiore ad affidarsi al senso di responsabilità delle persone piuttosto che a divieti; e le regole variano da regione a regione. Ad esempio, le mascherine nei negozi e mezzi pubblici sono obbligatorie in Austria, Sassonia (ex DDR) e qualche altro Land, solo raccomandate in altri. Sempre in Sassonia dal 20 aprile sono consentite le messe, limitate a gruppi di 15 fedeli.

Quanto all’attività produttiva, la crisi ha obbligato molte industrie a fermarsi temporaneamente, ma non c’è stato un blocco imposto per decreto. Anche così c’è stato un balzo nel numero dei disoccupati (in Austria 200mila, più 600mila in cassa integrazione) e si prevede una forte caduta del PIL di quest’anno: in Austria il 7%. Se ne dovrebbe dedurre che la previsione di un -10% per l’Italia è ottimistica.

Le attenuazioni previste a partire dai primi di maggio (una settimana prima della Francia) riguardano soprattutto lo sport e la scuola. Le attività sportive, ma solo quelle individuali praticate all’aperto (tennis, atletica leggera ecc.), perché  rispettando la distanza di 2 metri non presentano rischi di contagio. La scuola perché privarne i ragazzi per sei mesi è considerato troppo dannoso sia per la loro formazione che per la loro salute psico-fisica, oltre ad accrescere le disuguaglianze sociali. Ma anche perché molte madri che lavorano, anche da remoto, non riescono ad occuparsi dei bambini e aiutarli nell’elearning.

Al riguardo ci sono però molte esitazioni e discussioni. C’è in tutti la consapevolezza che che la parziale normalizzazione comporta rischi e che la scienza non è in grado di quantificarli. Anche chi è favorevole sottolinea che le aperture dipendono dal consolidamento dei progressi fatti nel contenimento dell’epidemia, risultati comunque fragili; e che al primo allarme quelle già attuate verranno revocate. In tal senso si è espressa il 15 aprile la Cancelliera Merkel.

Un sintomo dell’incertezza che regna sull’argomento è la divergenza di vedute su quale debba essere il primo passo. L’Accademia delle Scienze tedesca ha proposto di cominciare dalle scuole elementari, come già si sta facendo in Danimarca (i risultati di quell’esperienza aiuteranno altri paesi a decidere in merito). I due governi temono invece che sia più difficile far osservare dai bambini le regole, e intendono dare la precedenza ai diplomandi. In Austria il 4 maggio inizia la preparazione agli esami di maturità, per le altre classi delle superiori (14-18 anni) si pensa a metà maggio, per le elementari e medie a fine maggio o inizio giugno. I Land tedeschi faranno altrettanto, con tempistiche non identiche. Quanto alle modalità, è pacifico che non sarà un regime normale: classi di 10-15 allievi, con due metri di distanza, turni, poche materie (le altre ancora per via telematica).

Il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz

 

Un altro settore che sta soffrendo e che non si ritiene di poter far aspettare oltre metà o fine maggio è quello e della ristorazione e alberghiero. In Austria si prepara ad aprire il 15 e 21 maggio rispettivamente, e si sta attrezzando per applicare le nuove regole di distanziamento, che inevitabilmente incideranno sulla redditività. In ogni caso si spera di salvare la stagione turistica, almeno per quanto riguarda la clientela domestica, ma possibilmente anche quella tedesca, sempreché i due paesi si accordino sulla riapertura della frontiera. I bagni nei laghi non dovrebbero essere un problema; la possibilità di aprire le piscine, con opportune regole, è allo studio.

Anche per i musei è pensabile una limitata riapertura, con numero chiuso e prenotazione, mentre per teatri, cinema e concerti la prospettiva è ancora lontana.

Quando alcuni Ministri tedeschi parlano di “nuova normalità” intendono non una normalizzazione della situazione bensì il contrario: la necessità di abituarsi a condizioni nuove, che non saranno passeggere, e di staccarsi dal paradigma dell’emergenza che per definizione è di breve durata.

Fra gli scienziati non manca chi considera preferibile tenere duro ancora per qualche settimana. I due governi ritengono che sia venuto il momento per questa sia pur vigile sortita perché il famoso fattore R0 è sceso (di poco) sotto 1.0, ma soprattutto perché gli ospedali non sono più sotto pressione, e anzi hanno centinaia o migliaia di posti liberi nei reparti di terapia intensiva.

L’Italia ha al momento minori margini di sicurezza, e altrettanto dicasi di Spagna, Francia e Gran Bretagna, che hanno un tasso di mortalità ugualmente alto (13 decessi su 100 casi accertati; in Germania e Austria è il 3%). Tuttavia per alcuni aspetti l’esperimento austro-tedesco può avere rilevanza: attività motoria all’aperto con scarsi rischi di contagio, distanziamento due metri piuttosto che uno, modalità di ripristino dell’attività scolastica e della ristorazione, limitata ripresa del turismo interno. Se non per l’Italia nel suo insieme, almeno per le regioni meno colpite o a bassa densità abitativa.