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Lo snodo di Mosul per l’Iraq, oltre il destino dell’ISIS

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Mosul è una città irachena strategicamente fondamentale: situata nel nord-ovest del paese, a poca distanza sia dal confine turco sia da quello siriano, è ricchissima di petrolio. Non fa parte formalmente della Regione autonoma curda (solo il suo circondario nord-orientale), ma rientra nell’area controllata di fatto dalle forze curde [qui una mappa dettagliata della zona].

Al termine della I guerra mondiale, occupata dagli inglesi, Mosul fu assegnata al nascente Stato dell’Iraq, pur restando al centro di una disputa con la Turchia kemalista, che aspirava alle ricchezze e all’importanza geopolitica della città. Nel 2014 è stata conquistata dallo Stato Islamico – molto è stato scritto sull’enorme quantità di denaro e di armi che gli islamisti hanno ottenuto una volta presa la città – ed è da qui che Abu Bakr al-Baghdadi ha annunciato formalmente la nascita del Califfato.

Una volta caduta Mosul, la conseguente sconfitta dello Stato Islamico sarà, poi, questione di giorni. Del resto era noto che la campagna autunnale delle forze irachene e curde avrebbe lasciato ben poco spazio alle possibilità di resistenza dell’ISIS – anche per l’importante appoggio aereo fornito dalla “coalizione internazionale” a guida americana. Più che la sua capacità militare, sono state le tensioni di questa strana coalizione – formalmente Peshmerga ed esercito iracheno fanno parte dello stesso Stato – a ritardare l’attacco finale ad una delle città simbolo dello Stato islamico. Non è escluso che possano ritardarlo ancora.

Il primo problema da affrontare, ad offensiva ancora in corso, è quello dei profughi: la battaglia per Mosul ha sino ad oggi aumentato il già considerevole numero di profughi della Regione autonoma curda. Il Governo di Arbil e quello di Baghdad stimano in almeno altri 100.000 profughi che potrebbero dover essere sistemati in campi della Regione curda, ormai al collasso economico visto negli ultimi anni la sua popolazione è aumentata di oltre il 30% solo grazie ai profughi della guerra.

Liberata Mosul, però, si apriranno nuovi scontri, sin qui celati dalla presenza dell’ISIS. Innanzitutto quello interno a parte del mondo sunnita iracheno, lo stesso che ha prodotto lo Stato Islamico in alternativa ad Al-Qaida. La fine di questa organizzazione potrebbe determinare la fuga di migliaia di jihadisti nel resto dell’Iraq con esiti potenzialmente catastrofici per il debole governo di Baghdad. E rimetterà nuovamente in discussione gli assetti sin qui raggiunti in seno al mondo sunnita più fondamentalista: si potrebbe verificare un nuovo scontro di leadership all’interno del fondamentalismo sunnita iracheno, con una frammentazione dei gruppi sin qui legati dal collante, anzitutto mediatico, dell’etichetta di Stato islamico.

Al governo di Baghdad toccherà probabilmente l’operazione di individuare gli elementi meno intransigenti e più laici – in particolare quelli provenienti dalle file dell’ex esercito iracheno – e di tentare di avvicinarli e di integrarli nelle pur deboli istituzioni irachene. L’operazione è, però, tutt’altro che semplice, ammesso che ci sia la volontà politica di perseguire un simile obiettivo.

Si aprirà, poi, il fronte con i Curdi: non è un caso che pochi giorni dopo l’inizio dell’offensiva su Mosul, lo Stato Islamico abbia lanciato azioni verso Kirkuk, la città (collocata nella Regione autonoma curda, KRG nella mappa semplificata sottostante) ricchissima di petrolio e tuttora contesa tra Baghdad e Arbil (capitale della Regione), tentando così di aprire un fronte tra i due recalcitranti alleati. Sino a oggi la cooperazione tra forze irachene e curde ha retto, seppur tra alti e bassi. Il Presidente della Regione autonoma curda, Mas’ud Barzani, ha accettato un ruolo da comprimario in quella guerra che ormai interessa aree abitate prevalentemente da arabi.

 

Tuttavia, l’avanzata dei Peshmerga, oltre a mettere in difficoltà lo Stato islamico, serve anche a definire le posizioni sul campo con le quali poi trattare con Baghdad: di certo il governo di Arbil non è intenzionato a cedere l’area conquistata intorno alla città, che costituisce di fatto il confine occidentale della Regione (e potenzialmente di un futuro Stato curdo). Se varrà il principio che Mosul potrà restare formalmente legata al governo di Baghdad perché città a maggioranza araba (a differenza del suo immediato circondario, dove numerosa e spesso in maggioranza è la comunità curda), Arbil potrà meglio vantare i suoi diritti su Kirkuk, città a maggioranza curda. Ipotesi che però Baghdad al momento non prende nemmeno in considerazione.

Occorre, poi, tener presente che nella guerra contro lo Stato islamico in quest’area concorre anche la Turchia, che ha ammassato truppe al confine e intende intervenire sul modello di quanto fatto in Siria e, cioè, con una ‘messa in sicurezza’ dell’intero confine turco-iracheno-siriano. Al momento il governo di Ankara conferma la presenza di truppe in Iraq su richiesta della Regione autonoma curda, al fine di addestrare e sostenere i Peshmerga per la guerra contro lo Stato Islamico. Tuttavia, il presidente Erdoğan ha recentemente ricordato le pretese turche su Mosul, aggiungendo che la presenza di forze armate sciite nella città, anche al fine della sua liberazione, sarebbe intollerabile per la Turchia. Il riferimento di Erdoğan non è casuale.

Da quest’anno il governo di Baghdad ha ammesso nella lotta contro lo Stato Islamico milizie irregolari sciite (al-Hashd ash-Sha‘bi, Mobilitazione popolare), formatesi a partire dal 2014 a seguito della richiesta delle massime autorità religiose scite irachene. Queste milizie si muovono sul terreno insieme all’esercito regolare ma con un autonomo sistema di comando. Va ricordato che gli sciti, accusati di ‘apostasia’, sono i primi avversari individuati dai fondatori e dai teorici del movimento islamista ed è stato questo un punto di rottura con Al-Qaida, interessata ad azioni rivolte prevalentemente contro gli stranieri (occupanti).

Sino a oggi lo Stato iracheno ha tentato di controllare le milizie, invano. Sono in molti a credere che, una volta terminata la guerra con lo Stato islamico, esse costituiranno un problema serissimo per Baghdad: le unità irregolari scite della Mobilitazione popolare sembrano, infatti, essere più prossime a Teheran, esattamente come nel caso delle milizie libanesi di Hezbollah. L’uso di truppe turche serve intanto a Erdoğan a rafforzare la sua influenza in tutta l’area e ad alzare il livello dello scontro con il governo di Teheran.

Se, infatti, le forze turche non entreranno a Mosul, certamente stanno lavorando a una ‘messa in sicurezza’ del confine. In questo modo Erdoğan dimostra di star lavorando a uno statuto particolare per l’intero nord dell’Iraq, facendone una zona ‘annessa’ allo spazio economico e strategico turco, sul modello di quanto, in parte, accade già nella Regione autonoma curda.

Al momento il governo di Baghdad non sembra essere intenzionato ad accettare la presenza delle truppe turche e negli ultimi giorni i toni si sono fatti ulteriormente incandescenti. Sembra che la presa di Mosul rappresenti davvero l’ennesimo vaso di Pandora che rischia di aprirsi in Medio Oriente.