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Suez, crocevia della globalizzazione euro-asiatica

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Tutte le strade portano a Suez, o almeno ci passano. In particolare le strade delle merci che Europa e Asia –  Cina in testa – si scambiano, che in buona parte transitano proprio per l’infrastruttura egiziana, rimasta bloccata per alcuni giorni nel mese di marzo a causa di un incidente occorso a una gigantesca nave portacontainer. Un disastro anche per gli scambi internazionali che ha subito suscitato allarme lungo tutta la filiera logistica, già stressata dagli esiti avversi provocati dalla pandemia. Da Suez passa infatti il 12% del commercio globale e circa il 7% del traffico petrolifero. In sostanza, è come se si fosse chiusa improvvisamente l’arteria fondamentale in un organismo vivente.

Attorno al Canale si sono addensate per giorni centinaia di navi che attendevano di passare e alcune di queste hanno deciso di deviare verso l’altra rotta che conduce all’Europa, ossia quella che circumnaviga il Capo di Buona Speranza e arriva al porto di Rotterdam passando da Gibilterra. Una soluzione-tampone più costosa in termini di giorni di navigazione, e quindi di denaro, con le strutture portuali già intasate e la disponibilità di container ridotta al lumicino.

Questo spiega perché il mondo abbia tirato un sospiro di sollievo alla notizia che la crisi era in corso di risoluzione, anche se molti osservatori temono che gli effetti del blocco di Suez si protrarranno per settimane, se non mesi, lungo tutta la filiera logistica internazionale. Un traffico di merci non si riavvia come un computer.

Soprattutto, l’incidente ha ricordato quanto sia fragile la globalizzazione, che è scritta letteralmente sull’acqua. Sugli oceani, infatti, viaggia oltre il 90% del trasporto globale di merci e le imbarcazioni che attraversano gli oceani sono ostaggio di alcuni colli di bottiglia – i cosiddetti chokepoints – dove si concentrano, da sempre, tensioni internazionali fino ad oggi contenute sostanzialmente in ragione dell’egemonia espressa dalla marina statunitense sulle grandi rotte marittime internazionali.

Si tratta di pochi punti di navigazione altamente strategici attraverso i quali si compone il mosaico del commercio globale e che pur essendo formalmente aperti a tutti conferiscono un notevole potere di interdizione ai paesi che vi si affacciano, sfociando occasionalmente in episodi di crisi. Celebre nel corso degli anni ’80 quella attorno allo Stretto di Hormuz, tra l’Iran e gli Emirati Arabi Uniti, del quale anche di recente fu paventata la chiusura durante l’ultimo battibecco fra la Repubblica islamica e gli USA.

I colli di bottiglia del commercio marittimo mondiale. Fonte: ISPI

 

Come si può osservare dal grafico sopra, Suez è uno di questi passaggi di primaria importanza. E lo è innanzitutto per l’Europa, che riceve e spedisce molto del proprio traffico di merci attraverso il Canale – l’Italia circa il 40% – ma anche per le sue controparti che sono le regioni dell’India, dell’Asia sud-orientale e orientale, e del Golfo Persico.

Nella classifica degli snodi per il trasporto di petrolio, poi, Suez si colloca in terza posizione dopo Hormuz e Malacca.

Volumi di idrocarburi trasportati attraverso i colli di bottiglia del mondo, 2011-16

 

In generale il Canale gioca un ruolo da protagonista nel processo di integrazione euro-asiatico e ha una notevole importanza nella strategia di internazionalizzazione delle varie potenze, Russia e Cina in testa, ma anche Turchia e Iran, che perseguono la costruzione di una globalizzazione emergente in qualche modo concorrente a quella egemonizzata dagli Stati Uniti.

Il Canale, infatti, è d’importanza evidente per Pechino, che trova nel vicino porto greco del Pireo (oggi in maggioranza di proprietà dalla China COSCO Shipping) uno dei punti di leva della sua rete logistica e quindi in Suez uno dei passaggi obbligati delle sue rotte. Da qui, infatti, passa più della metà delle esportazioni cinesi verso l’Europa, mercato di fondamentale importanza per la Repubblica popolare. La portacontainer che si è messa di traverso nel Canale proveniva dalla Cina ed era diretta a Rotterdam: la classica rotta del commercio internazionale marittimo fra Cina ed Europa.

Il grafico sotto individua le aree di destinazione (dati 2019) dei traffici da Sud al Nord del Canale, che pesano complessivamente il 45,5% del totale.

 

Quanto alle regioni di origine, oltre il 50% di queste merci proviene dal Sud Est asiatico e dall’Asia meridionale, mentre dal Golfo Arabico e dal Mar Rosso un altro 40%.

Se guardiamo al verso opposto, quindi i traffici da Nord a Sud del Canale, emerge che gran parte è originato dall’Europa con destinazione in Asia.

 

Mentre è molto importante per l’Europa, Suez riveste un’importanza minore per i commerci statunitensi. I dati mostrano che gli USA originano poco più del 14% dei trasporti Nord-Sud. In senso inverso, si calcola che circa il 10% delle esportazioni petrolifere del Golfo che passano da Suez siano dirette negli Stati Uniti.

Questo non vuol dire che il Canale sia privo di importanza strategica per Washington. Per il suo ruolo di collegamento fra il Mediterraneo e il Mar Rosso, Suez è uno strumento fondamentale della proiezione militare americana in tutta la regione Mediorientale.

Un interesse geopolitico, pure se non strettamente geoeconomico, che fa il paio con un’altra potenza della globalizzazione emergente: la Russia. Mosca attraverso Suez riesce a far sentire la sua influenza nell’area fra l’Egitto e l’Iran. Senza considerare che oltre il 18% dei traffici di merci da Nord arriva dalla regione del Mar Nero.

Questo spiega perché i russi si siano affrettati a sviluppare un’area industriale all’interno della Suez Canale Economic Zone (Scz) a est di Port Said che l’Egitto ha creato contestualmente all’allargamento del Canale divenuto operativo dall’agosto del 2015.

Insieme a Mosca anche i cinesi a conferma del loro interesse strategico per l’area, hanno insediato un’area industriale all’estremo opposto dei russi, vicino al porto di Ayn Sokhna, nei pressi di Suez, con ciò esemplificando anche qui una simmetria di interessi fra le due potenze.

L’Egitto è diventato il terzo produttore al mondo di vetroresina grazie alle fabbriche impiantate dalla Cina

 

Di recente anche la Turchia si è aggiunta alla partita, proponendo un accordo all’Egitto sul Mediterraneo Orientale che, se siglato, aggiungerebbe un notevole spazio alla zona economica esclusiva egiziana. E si segnalano anche investimenti giapponesi e, soprattutto emiratini, con la Dubai World in corsa per investimenti nell’area portuale.

Questi movimenti, alcuni dei quali allo stato iniziale, altri in fase avanzata, non impediscono tuttavia che gli USA mantengano un certo controllo informale sul Canale, innanzitutto fornendo assistenza finanziaria all’Egitto. L’anno scorso il contributo USA alle finanze egiziane è stato superiore a 1,3 miliardi di dollari, più di un quinto degli incassi garantiti allo stato dalla gestione del Canale.

Suez perciò non è solo una via di collegamento a dir poco vitale per il commercio euro-asiatico e mondiale. E’ anche uno dei tanti esempi di come si declinino gli interessi internazionali in una fase in cui la globalizzazione è sottoposta a forze centripete che mirano a disegnare nuove rotte e quindi nuove opportunità per i paesi che le promuovono.

Per l’Egitto, infine, il Canale rimane la migliore garanzia di cui dispone per garantirsi un ruolo di primo piano nel Grande Gioco della globalizzazione, quanto meno come cliens delle potenze che lo ordiscono.

Un asset strategico per il Paese, che già dai tempi dei faraoni e successivamente dei romani aveva imparato a sfruttare le canalizzazioni per proporsi come hub dei commerci che attraversavano prima la regione mesopotamica e poi affluivano lungo il Mar Rosso fino in India.

Suez ha rivitalizzato i traffici nel Mediterraneo – che oggi pesa oltre il 20% dei trasporti marittimi globali – anche quando ormai l’asse economico del mondo si era chiaramente spostato verso l’Atlantico, e che anche oggi, mentre il pendolo oscilla verso il Pacifico, rimane un punto nodale della globalizzazione euroasiatica.

Non sarà certo un incidente di percorso a metterlo fuori gioco. Neanche la lunga interruzione seguita alla guerra dei sei giorni, nel 1967 – il Canale rimase chiuso fino al 1975 – è servito a sminuire la sua portata strategica. Finché il mondo trasporterà da Nord a Sud e da Est a Ovest e viceversa, Suez rimarrà in partita.

Il gioco cambierebbe, e anche molto, se invece si potesse trasportare da Nord a Nord lungo la direttrice Est-Ovest, passando perciò dal Circolo Polare Artico. Questo è il senso della Northern Sea Route (NSR) sulla quale la Russia conta per cambiare sostanzialmente la globalizzazione marittima.

 

La rotta marittima attraverso il Mar Glaciale Artico. Fonte: The Economist

 

Come si vede dalla mappa sopra, i punti di destinazione sono sempre gli stessi – l’Asia orientale e il Mare del Nord – ma il percorso è molto più breve e per la Russia molto più vantaggioso, visto che la strada corre lungo il proprio territorio.

I cinesi sono già grandi investitori in questa infrastruttura, che ancora ha molti interrogativi a cui dare risposta e nodi da sciogliere, insieme al ghiaccio che ancora per buona parte dell’anno ricopre il percorso. Però le spedizioni marittime di gas liquefatto dalla penisola russa di Yamal alla Cina ormai sono un fatto compiuto. E se l’Artico continuerà a sciogliersi come pare succederà, la Russia potrebbe trovarsi finalmente a contatto con i mari caldi. Non quelli che ha sempre sognato, che generarono l’ossessione zarista per gli stretti turchi, ma quelli del Nord. Poco male: in ogni caso il gioco cambierà, stavolta per sempre.