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Spagna: nuovo governo, diverso equilibrio

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Proprio nel giorno in cui in Italia si conclude la crisi innescata dal voto del 4 marzo (con la nascita di un governo “giallo-verde” ma caratterizzato da significativa impronta moderata), la vicina Spagna spariglia di nuovo le carte sul tavolo della politica europea con un clamoroso cambio di esecutivo.

Il governo conservatore di Mariano Rajoy (di minoranza, perché dopo il voto non c’era stato accordo tra i partiti) è stato rovesciato da una mozione di sfiducia presentata dai socialisti del PSOE, con il contributo determinante della sinistra radicale di Podemos e l’appoggio di un nutrito gruppo di partiti nazionalisti. Tra loro, benché i socialisti abbiano condiviso la sospensione dell’autonomia della Catalogna arrivata dopo il referendum e promossa dal PP di Rajoy, ci sono gli indipendentisti catalani – sia i repubblicani di sinistra che i liberali di Puigdemont. Effettivamente, gli uomini di Puigdemont a Barcellona ostentavano disinteresse per l’idea della mozione: socialisti o popolari, per la Catalogna, pari sono – sostenevano. Ma il loro gruppo parlamentare a Madrid ha deciso per un voto pragmatico che gli restituisse voce e protagonismo alle Cortes, dopo l’azione repressiva dello stato spagnolo di questi ultimi mesi, più che per l’obbedienza alle esigenze stringenti della quotidianità politica catalana.

Il nuovo e il vecchio Presidente del governo spagnolo, Pedro Sánchez e Mariano Rajoy

 

Tra i sostenitori della mozione si contano poi la sinistra valenciana, e soprattutto i nazionalisti baschi: non solo i radicali di Bildu (Paesi Baschi Uniti), ma anche i moderati del Partito Nazionalista Basco (PNV), decisivi nella conta finale terminata 169 a 180 contro Rajoy. Per inciso, la mozione è arrivata proprio dopo il voto sulla legge di bilancio, che il PNV ha costruito e votato insieme al PP di Mariano Rajoy. L’occasione di godere dei benefici di quella legge, e ora di approfittare di un quadro politico mutato, in cui grandi e piccoli partiti dovranno trovare un accordo sulla questione nazionale – questione di primario interesse per i nazionalisti baschi – segna una doppia vittoria per il PNV.

Pedro Sánchez, leader del PSOE e promotore ufficiale della mozione, grazie al meccanismo della “sfiducia costruttiva”, è subentrato automaticamente al posto di Rajoy alla guida del governo spagnolo.

Benché il Partito Socialista e Podemos abbiano quasi lo stesso numero di seggi (84 e 67), Sánchez ha annunciato una squadra di soli ministri socialisti. Resta deluso Pablo Iglesias, capo dei podemitas, il primo a parlare di mozione di sfiducia (su Twitter), e mediatore decisivo con i nazionalisti: non si replicherà in Spagna lo schema portoghese, quello della coalizione di sinistra.

E’ la prima volta che nella Spagna democratica una mozione di sfiducia fa cadere il capo di un governo. La crisi che incubava da lunghi anni a tutti i livelli della politica spagnola è esplosa stavolta in parlamento per le conseguenze di svariate inchieste sulla corruzione che da anni sfiancano il Partido Popular di Mariano Rajoy, ma anche perché i sondaggi certificano ormai l’indebolimento stabile dei partiti tradizionali nei confronti dei nuovi, e per i contraccolpi della questione catalana.

Si è trattato in un certo modo di un “adeguamento” della politica spagnola a nuove condizioni. Tanto più che la borsa di Madrid è restata in segno positivo, e da Bruxelles sono piovuti messaggi di tranquillità e fiducia. Ma il risultato del voto è restato in bilico fino alla fine; in caso di fallimento, lo scenario sarebbe stato tutt’altro che stabile. Sia che Rajoy fosse restato in sella, sia che una seconda mozione promossa da Podemos l’avesse spodestato, la Spagna sarebbe andata verso un rapido e incerto voto anticipato.

La vittoria riporta ai socialisti l’iniziativa politica, ma non può garantire a Sánchez di durare in carica fino alla scadenza della legislatura, nel 2020. I seggi a favore del suo monocolore sono pochi, mentre i partiti da soddisfare sono tanti. Non solo Podemos, che potrebbe spingere verso sinistra il nuovo governo, (mentre lo stato maggiore del partito socialista preferirebbe guardare nell’altra direzione). Ma anche il sostegno degli indipendentisti catalani, insieme a quello dei nazionalisti baschi, è destinato a pesare (e a “costare”) molto sul piano interno: i sondaggi premiano in questo momento Ciudadanos, il partito liberale di Albert Rivera che si è schierato più duramente contro l’autonomia catalana, e si dice favorevole a ri-centralizzare le competenze dello stato.

Proprio in questi giorni la Catalogna ha recuperato i suoi poteri costituzionali, dopo l’applicazione dell’articolo 155, e mentre l’ex presidente Carles Puigdemont continua la sua rocambolesca permanenza all’estero, alla guida del governo regionale è stato eletto un altro indipendentista, Joaquim Torra.

Il parlamento spagnolo è ora spaccato – Ciudadanos infatti ha votato a favore di Rajoy. Ma il leader socialista spera di poter occupare – grazie al declino dei popolari – un posto al centro dell’arena politica. Vorrebbe essere lui, dopo le elezioni previste tra due anni, l’ago della bilancia tra Ciudadanos e Podemos. Tra i nodi più urgenti da sciogliere, quello fondamentale della divisione dei poteri e delle competenze tra i diversi ambiti territoriali del Paese. Tema decisivo per il futuro della Spagna; ma anche “bollente” per gli equilibri interni del partito socialista.