Sánchez, dal manuale di resistenza a quello di sopravvivenza
Lo scorso 30 novembre, circa 40mila persone si sono riunite a Madrid per protestare contro il “sanchismo”, definito dai manifestanti come una “mafia” e perfino una “dittatura”. Non è la prima volta, anzi: si tratta della settima manifestazione organizzata negli ultimi due anni dal principale partito di opposizione spagnolo, il Partido Popular (PP, centrodestra), e anche della più partecipata finora. A fomentare la protesta è la serie di casi giudiziari che hanno coinvolto dalla primavera dello scorso anno Pedro Sánchez, l’attuale capo del governo spagnolo e segretario del partito socialista (PSOE, centrosinistra).
L’ombra della corruzione sui socialisti
Tra aprile e maggio del 2024, Manos Limpias (“mani pulite”), un’organizzazione fondata negli anni Novanta da Miguel Bernard, avvocato e militante di estrema destra, ha presentato due denunce. La prima, contro la moglie di Sánchez, Begoña Gómez, accusata di aver sfruttato la sua posizione favorendo l’uso indebito di risorse pubbliche in attività private. La seconda, contro David Sánchez, fratello del primo ministro e funzionario provinciale a Badajoz, un ruolo che, secondo Manos Limpias, era stato creato ad hoc per lui (le altre accuse riguardano l’inadempimento degli obblighi lavorativi e lo spostamento della residenza fiscale in Portogallo per evadere le tasse). Entrambe le denunce hanno portato all’apertura di casi giudiziari ancora in corso, con ripercussioni politiche importanti. Poche ore dopo l’annuncio delle indagini contro la moglie, infatti, Sánchez aveva annunciato con una lettera aperta la volontà di prendersi una pausa di riflessione dalla politica. Una pausa durata cinque giorni che si è rivelata una mossa utile per recuperare almeno in parte il sostegno del partito e dell’elettorato.
Una parte dell’opinione pubblica, insomma, ha visto le denunce di Manos Limpias e i relativi casi giudiziari come un tentativo di strumentalizzare la giustizia per danneggiare il primo ministro. Ma questa narrazione si è incrinata proprio quest’estate, quando un gruppo formato dal segretario dell’organizzazione del Partito socialista e deputato Santos Cerdán, da José Luis Ábalos, ex ministro dei Trasporti e predecessore di Cerdán come numero tre del partito, e da Koldo García, collaboratore di Ábalos, è stato coinvolto in un grande scandalo per corruzione. Secondo la Guardia Civil, infatti, tra il 2019 e il 2023, i tre avrebbero ricevuto circa 600mila euro in tangenti da numerose società edili, a cui si sommano altri 450mila che non sono riusciti a ottenere a causa dell’inizio delle indagini.
Lo scandalo ha gettato un’ombra di sospetto sugli ultimi dieci anni di gestione del PSOE e su un’altra narrazione: quella che ha sospinto Sánchez prima alla guida dei socialisti e poi al governo. Tra fine 2016 e inizio 2017, dopo essersi dimesso da segretario generale del partito in seguito a un duro scontro interno, Sánchez decise di iniziare un lungo tour del paese in macchina per recuperare popolarità. La macchina era una Peugeot 407 e al suo interno, oltre a Sánchez, trasportava proprio Ábalos, García e Cerdán. Il tour divenne il simbolo della sua rinascita come leader e lo portò a vincere le primarie del partito nel 2017. Un anno dopo, una sentenza dell’Audiencia Nacional condannò il Partido Popular per corruzione, stabilendo la presenza di finanziamenti illegali tra il 1999 e il 2005. Sánchez sfruttò l’occasione per proporre una mozione di sfiducia contro l’allora primo ministro e leader del PP, Mariano Rajoy: il parlamento la approvò e Sánchez andò al governo promettendo di portare con sé una grande “rigenerazione democratica”.

Il conflitto politico interno e i riflessi internazionali
Il caso Cerdán è stato un duro colpo per il primo ministro, dal quale il socialista ha cercato di riprendersi sfruttando, come in molte altre occasioni, la politica internazionale, sia come collante per la propria coalizione politica, sia come motivo di consenso nell’opinione pubblica. Da più di due anni, infatti, la Spagna è il Paese europeo con posizioni più dure su Gaza: nel corso del 2024, il governo ha riconosciuto lo Stato di Palestina, un gesto che ha portato Israele a ritirare la sua ambasciatrice (mentre Madrid ha richiamato la sua ambasciatrice a inizio settembre). Nel 2025, la Spagna ha co-presentato con la Palestina una risoluzione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e ha aderito al gruppo dell’AIA, l’alleanza di Paesi, principalmente non occidentali, che coordina azioni diplomatiche ed economiche contro Israele.
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A settembre, Sánchez ha annunciato un pacchetto di nove misure “per fermare il genocidio a Gaza, punire i suoi esecutori e sostenere la popolazione palestinese”: tra queste, anche il divieto di vendita o acquisto di armi da Israele, entrato in vigore a inizio ottobre. Sulle decisioni del governo hanno influito una serie di fattori storici, politici e sociali: fin dai tempi della dittatura di Francisco Franco il Paese ha mantenuto buoni rapporti con il mondo arabo . Inoltre, la società civile spagnola si è molto attivata in solidarietà alla popolazione palestinese, come dimostrano le numerose manifestazioni, il boicottaggio della Vuelta a causa della partecipazione della squadra Israel-Tech, e il sostegno alla Global Sumud Flotilla, sia in termini di membri a bordo che di mobilitazione civile. Inoltre, l’esecutivo ha potuto sottolineare a suo favore gli ottimi dati legati all’economia e all’occupazione: l’Ocse ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita per la Spagna (fino al 2,6% nel 2025 e fino al 2% nel 2026) mentre il numero di persone occupate ha raggiunto il record di 22,3 milioni (e il tasso di disoccupazione, seppur in crescita, resta il più basso dal 2008). Ma il sollievo è durato poco.
Lo scorso 20 novembre, infatti, il “procuratore generale”, figura (assente nell’ordinamento italiano) che si occupa di coordinare l’azione penale a livello nazionale, Álvaro García Ortiz è stato condannato a due anni d’interdizione dai pubblici uffici per rivelazione di segreto d’ufficio: è la prima volta che nel Paese una carica simile viene processata e condannata. La sentenza arriva a otto mesi dalla denuncia dell’imprenditore Alberto González Amador, che l’ha accusato di aver passato illecitamente ai giornali alcune email che si erano scambiati la procura di Madrid e il suo avvocato. A sua volta, infatti, González Amador è imputato in un processo per frode fiscale. Durante il processo, il procuratore si è sempre dichiarato innocente e numerosi giornalisti hanno testimoniato in suo favore, affermando di non aver ricevuto le email filtrate da García Ortiz. Fin dall’inizio il caso ha avuto una forte connotazione politica: García Ortiz era stato nominato dal governo di Sánchez, mentre González Amador è il compagno di Ayuso, esponente della corrente più radicale e trumpiana del Partido Popular. In seguito alla sentenza, García Ortiz si è dimesso, ma non è ancora chiaro se deciderà di far ricorso alla Corte costituzionale.
Le manovre dell’opposizione e il quadro politico
La condanna del procuratore generale, insieme alla custodia cautelare di Ábalos e García, hanno spinto il centrodestra a convocare l’ultima manifestazione, durante la quale il leader del Partido Popular, Alberto Núñez Feijóo, ha avvisato che “presto sarà Sánchez” ad andare in prigione per corruzione. Altri esponenti del partito, come Ayuso e José Luis Martínez Almeida, sindaco di Madrid, lo hanno seguito, dichiarando che il primo ministro è “la più grande minaccia alla democrazia”. Al momento, però, il PP può solo limitarsi a chiedere nuove elezioni: non ha da solo i numeri in parlamento per far passare una mozione di sfiducia al governo, né ha la possibilità, al momento, di trovare sostegno dalla destra radicale di Vox o dagli indipendentisti catalani di centrodestra di Junts.
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Il PP si trova quindi in un momento di stallo, anche perché non riesce a trasformare il malcontento popolare legato ai recenti casi giudiziari in intenzioni di voto. Secondo l’ultimo sondaggio realizzato dall’istituto 40dB, il PP ha perso tre punti dalle elezioni del 2023, mentre Vox è salita di cinque, e si attesta intorno al 17%. Vox è dunque in crescita, e non è disposta a rianimare i popolari lasciandoli vincere in parlamento contro Pedro Sanchez. Allo stesso tempo, il tentativo di Feijóo di chiedere agli imprenditori catalani vicini a Junts a convincere il partito a sostenere un’eventuale mozione non ha sortito gli effetti sperati: Junts e PP sono infatti ancora troppo divisi dagli strascichi del conflitto istituzionale, e poi dall’azione penale, successiva alla fallita dichiarazione d’indipendenza della Catalogna del 2017.

Nonostante abbia solo sette seggi nel parlamento spagnolo, e abbia perso anche il governo della Catalogna, Junts continua ad avere un ruolo centrale negli equilibri politici. Equilibri che il partito sta sottomettendo a un’enorme prova di forza: a metà ottobre, infatti, il leader Carles Puigdemont ha annunciato la rottura dell’accordo su cui due anni fa aveva accettato di votare la fiducia all’insediamento del governo Sánchez. L’accordo prevedeva che l’esecutivo si sarebbe impegnato per proporre un’amnistia nei confronti di politici e attivisti indipendentisti condannati o processati tra il 2012 e il 2023, che di fatto è stata approvata nel 2024, ma che non si applica ad alcuni esponenti di Junts, tra i quali Puigdemont, accusati anche di malversazione.
Inoltre, il patto prevedeva anche la cessione delle competenze statali sull’immigrazione al governo regionale catalano (che però non è stata approvata dal parlamento di Madrid) e il riconoscimento da parte della UE di catalano, galiziano e basco come lingue ufficiali dell’Unione (ancora in tramite). Di fatto, la rottura annunciata dal partito non è così netta come sembra: Junts si riserva infatti la possibilità di votare a favore delle leggi proposte dall’esecutivo, ma non ci sarà nessun negoziato privilegiato, come accadeva in precedenza. A livello locale Junts si trova intanto in una posizione delicata, a causa dell’ascesa della formazione di destra radicale Aliança Catalana, che secondo gli ultimi sondaggi riuscirebbe a strappargli ben 15 seggi.
Di fronte a questo panorama, Sánchez, che ha titolato la sua autobiografia “Manual de resistencia”, sembra essere entrato in modalità sopravvivenza per mantenersi al governo fino alla fine del mandato, che terminerà nel 2027. È vero infatti che l’esecutivo si è indebolito, ma è altrettanto vero che il consenso all’opposizione è piuttosto frammentato.
Nei prossimi mesi, le elezioni regionali in Estremadura, Castiglia e León, e Andalusia gli permetteranno di misurare l’impatto reale degli scandali degli ultimi due anni ed, eventualmente, riproporre una mossa che già nel 2023 si era dimostrata vincente: convocare elezioni anticipate e agitare lo spauracchio di una coalizione tra Vox e Partido Popular, che porterebbe di fatto la destra radicale al governo per la prima volta a poco più di cinquant’anni dalla morte del dittatore Francisco Franco.
Al momento, quest’opzione resta molto lontana, anche se secondo alcuni giornali, la campagna elettorale è già iniziata: cosa ci farebbe, altrimenti, Sánchez in giacca di pelle su Radio 3, punto di riferimento per la musica indipendente, o su TikTok, dove ha aperto di recente il suo profilo personale?