L’Islanda verso una completa integrazione europea?
New Geoeconomics #8
L’Islanda è una delle terre più giovani del pianeta, appena 20 milioni di anni sui circa quattro miliardi della crosta terrestre. E’ costituita di rocce vulcaniche e si colloca esattamente sulla dorsale medio atlantica, cioè è per metà sulla placca euroasiatica e per metà sulla placca nordamericana: in termini geologici appartiene ai due continenti quasi in parti uguali per complessivi 103mila chilometri quadrati, una superficie poco meno inferiore all’Italia meridionale, isole incluse, oppure pari a circa due volte e mezza la Svizzera.
La popolazione islandese è invece di omogenea provenienza europea, non essendo stata l’Islanda soggetta a immigrazioni consistenti nell’ultimo migliaio di anni: più precisamente, è composta di discendenti dei primi colonizzatori provenienti dalla Scandinavia e dei coloni nativi della Scozia e dell’Irlanda. Molti di loro erano monaci spinti dal processo di evangelizzazione del continente europeo nell’alto medioevo, anche se sei ritrovamenti di monete romane avvenuti nel corso del secolo scorso potrebbero retrodatare i primi insediamenti umani sull’isola. Complessivamente, gli islandesi ammontano a poco più di 390mila persone, di cui circa un terzo nella sola capitale Reykjavík.
Indipendente dal Regno di Danimarca dal 1918, e repubblica parlamentare dal 1944, l’Islanda, sebbene fiera della propria specifica identità, è efficacemente inserita nelle istituzioni internazionali. Al pari della Norvegia, è Paese fondatore della NATO (pur non avendo proprie forze armate), è naturalmente membro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), del Consiglio d’Europa, dello Spazio economico europeo (SEE), dell’Associazione europea di libero scambio (AELS), della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) e aderisce allo Spazio Schengen. Eppure, ciò che manca all’Islanda è la piena adesione all’Unione Europea con l’adozione dell’euro, poiché l’Islanda è già di fatto integrata nella UE, sia politicamente, sia economicamente, sia militarmente.
A seconda del barometro della politica interna, ma adesso anche della politica estera, in particolare per ragioni legate ai comportamenti della nuova amministrazione statunitense, l’orientamento degli islandesi verso l’adesione all’Unione Europea oscilla da decenni tra posizioni pro e posizioni contro.

L’evoluzione del quadro politico e la questione UE
Il processo di adesione dell’Islanda all’Unione Europea inizia nel luglio 2009, quando il parlamento islandese autorizza il governo nazionale ad avviare i negoziati con Bruxelles, con la domanda di adesione presentata una settimana dopo la decisione del parlamento di Reykjavík, e la prospettiva di una procedura della durata di quattro anni al massimo.
Nei primi mesi del 2010, la Commissione Europea accetta formalmente l’inizio dei negoziati di adesione considerando che l’Islanda è un Paese con una democrazia liberale in regime di mercato libero stabile e di lungo corso, che contiene nel proprio apparato costituzionale i valori fondanti dell’Unione Europea. Per esempio, in termini di stato di diritto, è tra i primi Paesi al mondo ad avere introdotto il suffragio universale. Inoltre, è già membro dello Spazio economico europeo, dell’acquis di Schengen e di altre istituzioni transnazionali democratiche, delle quali i Paesi dell’Unione Europea sono parte a loro volta.
Il processo di adesione procede spedito, ma il nuovo governo di stampo euroscettico che si forma dopo le elezioni parlamentari del 2013, successive alla crisi del debito sovrano europeo, ritira la domanda di adesione. Parte dei costituzionalisti islandesi ritiene autoritario questo atto, poiché deciso senza la consultazione del parlamento, ma soprattutto privo di effetti: il governo islandese invia solo una lettera all’Unione Europea, anziché ritirare formalmente e completamente la richiesta di adesione, la quale rimane de jure in corso.
Da quel momento, si sono succeduti in Islanda almeno due dozzine di sondaggi sulla volontà della popolazione islandese di unirsi all’Unione Europea, i cui risultati a favore oscillano da un minimo del 20,9% a un massimo del 72%, sebbene il tema del sondaggio vari dall’entrata nell’Unione Europea all’adesione all’euro, dalla continuazione dei negoziati all’indizione di un referendum, e molto dipende anche dalla società che conduce i sondaggi.
Merita particolare attenzione il più recente sondaggio condotto nella seconda metà del mese di dicembre 2024, ovvero poco prima dell’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, i cui risultati indicano che il 45% degli intervistati si unirebbe all’Unione Europea, il 53% adotterebbe l’euro e il 58% indirebbe un referendum sulla ripresa dei negoziati, con una quota di indecisi che oscilla tra il 15 e il 20%.
La tendenza favorevole è, probabilmente, dovuta anche alla nuova coalizione di governo eletta a fine 2024, composta dell’Alleanza socialdemocratica, del Partito Riformista e del Partito del popolo, uno schieramento che manda all’opposizione i partiti più conservatori che nel 2013 chiesero il ritiro dell’adesione dell’Islanda all’Unione Europea.
Il nuovo governo islandese guidato da Kristrún Frostadóttir, classe 1988 e segretaria di Alleanza socialdemocratica, si è accordato per indire un referendum sulla ripresa dei negoziati per l’adesione all’Unione Europea, nonostante la posizione contraria del terzo alleato di governo, il Partito del popolo. Questa forza è collocabile in un’area di centro-sinistra, ed è orientata alla tutela dei pensionati e dei diritti dei disabili, ma con marcate venature populiste ed euroscettiche, elementi caratteristici anche di altri partiti di centro-sinistra di Paesi membri dell’Unione Europea.
In una recente intervista, la premier Frostadóttir ha dichiarato che gli islandesi dovrebbero votare «sì» non perché impauriti dalle minacce sull’area artica che il nuovo presidente degli Stati Uniti continua a lanciare, ma perché ritengono l’entrata nell’Unione Europea un’opportunità di sviluppo sociale, economico e culturale.

I dati economico-commerciali
Secondo gli ultimi dati dell’Istituto di statistica islandese (Hagstofa Íslands) e della Commissione Europea, nel 2023 l’Islanda ha importato beni dall’Unione Europea per un valore di 4,7 miliardi di euro contro un valore di 4,1 miliardi di beni esportati, pari a uno scambio complessivo di 8,8 miliardi e un deficit commerciale di appena 600 milioni.
Per le esportazioni, l’Islanda ha complessivamente esportato verso l’Unione Europea il 63,1% del valore dei beni, principalmente nella forma di metalli come alluminio (56,7%) e prodotti animali come pesce (29,5%). Il 10% dei suoi beni sono stati venduti negli Stati Uniti, l’8,8% nel Regno Unito.
Per le importazioni, l’Islanda ha globalmente importato dall’Unione Europea il 46,7% del valore dei beni, principalmente nella forma di macchine utensili e attrezzature (25,7%) e mezzi di trasporto (18,8%). Tra i venditori seguono la Norvegia con l’11,5%, e la Repubblica Popolare Cinese con l’8,7%.
Per scambi commerciali l’Unione Europea è il primo partner dell’Islanda con il 53,5% del valore economico dei beni scambiati, seguita a lunga distanza da Norvegia con il 9,2% e Stati Uniti con l’8,6%.
È importante precisare che gli scambi commerciali con la piccola Islanda e la gigante Unione Europea sono bilanciati, ovvero la seconda non soverchia la prima. Negli ultimi dieci anni, infatti, ovvero nel periodo 2014-23, la bilancia commerciale è stata positiva, cioè con esportazioni superiori alle importazioni, sei volte per l’Unione Europea e quattro volte per l’Islanda, complessivamente a favore della prima per 1,1 miliardi di euro.
Dal 2014, gli scambi commerciali sono più che raddoppiati crescendo a un tasso composto medio annuo del 7,8%.
Ostacoli e opportunità nel rapporto con Bruxelles
L’Islanda è un Paese socialmente ed economicamente avanzato che può fornire un proprio contributo allo sviluppo di una società europea libera e aperta. Inoltre, con le sue abbondanti quantità di energia geotermica e idroelettrica che può esportare verso l’Unione Europea nella forma di metalli come l’alluminio per il quale sono necessari circa 17mila kWh per produrre una tonnellata, può contribuire al processo di decarbonizzazione.
L’Unione Europea, in quanto primo partner economico dell’Islanda, è anche capace di offrire solidarietà in tempo di crisi come accaduto durante la pandemia da covid-19, fornire servizi di primaria importanza come le sue università e presumibilmente a breve anche di assistenza militare. La moneta unica europea, seppure ancora giovane, ha un futuro promettente, tracciato sia dal presumibile ampliamento politico-geografico dell’Unione Europea e sia dalle centinaia di miliardi di euro di investimenti annui previsti nella difesa, nelle infrastrutture, nella decarbonizzazione, nella digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche e altri ancora. Il dollaro americano, se una moneta è lo specchio dei comportamenti di un Paese, è invece destinato ad arretrare come principale valuta di scambio internazionale, se non nel breve periodo, plausibilmente nel medio-lungo corso.
Se il principale motivo della riluttanza islandese all’adesione nell’Unione Europea erail timore di perdere i propri diritti di pesca, e di conseguenza dei benefici dell’industria di trasformazione a valle, in particolare modo nei confronti del Regno Unito, il quale, nel 1976, nella cosiddetta terza «guerra del merluzzo», schierò ventidue fregate, sette navi di rifornimento, nove rimorchiatori e tre navi di supporto per proteggere i propri pescherecci, ebbene, gli islandesi debbono solo tenere a mente che il Regno Unito non è più un paese membro dell’Unione Europa da anni e che il suo potere politico-militare varrà sempre meno con un’Unione Europea sempre più unita.
Il riavvicinamento dell’Islanda, e di altri paesi, all’Unione Europea è un segnale manifesto della rinnovata vitalità dell’idea di Europa. Poco importa se per necessità o per virtù.
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