L’Europa a tre di Joe Biden
I primi contatti fra Amministrazione Biden ed Europa incrinano due previsioni che erano largamente circolate negli ultimi mesi. La prima è che Biden, the Irishman, avrebbe in qualche modo osteggiato Londra; la seconda è che Biden, internazionalista pragmatico, avrebbe di nuovo scelto Berlino come interlocutore primario, tornando agli anni di Barack Obama.
Le cose sono più complicate di così. Come emerge dal primo giro di telefonate transatlantiche, Washington vede e vedrà comunque nella Gran Bretagna un partner preferenziale. E’ vero che Boris Johnson aveva un rapporto molto stretto con Donald Trump, acceso supporter di Brexit. Ma è vero anche che il premier britannico si è rapidamente collocato sul dossier decisivo per gli Stati Uniti, il contenimento della Cina. Londra ha deciso un aumento molto rilevante della propria spesa militare, ha bandito Huawei dal 5G britannico (rovesciando una decisione precedente in senso opposto) e ha poi annunciato l’invio della portaerei HMS Queen Elizabeth nelle acque dell’Asia orientale.
Si tratta, in questo ultimo caso, di una posizione di bandiera: il contributo militare britannico agli equilibri del Pacifico resterà per definizione limitato. Ed è sempre bene ricordare che la relazione con gli Stati Uniti è asimmetrica, è assai più “speciale” per Londra di quanto non sia per Washington. Ma resta il segnale diplomatico: la Gran Bretagna post-europea si colloca al fianco degli Stati Uniti nella competizione del secolo con la Cina. Quale presidente del G-7, Londra propone di allargarlo a un D-10: un forum fra democrazie occidentali ed asiatiche sul controllo delle tecnologie, che è poi il vero asse della cosiddetta “guerra fredda hi-tech” fra Usa e Cina. Come confermerà la prossima missione di Boris Johnson in India, nostalgia dell’anglosfera e centralità del teatro indo-pacifico si combinano nelle scelte internazionali della Londra post-Brexit.
Per Joe Biden, vice-presidente degli Stati Uniti negli anni in cui Obama criticava Brexit, la Gran Bretagna ha commesso un errore uscendo dall’UE: il suo ruolo come potenza europea si è ridotto. Ma Johnson offre oggi agli Stati Uniti una compensazione, spostando Londra sul versante dei rapporti fra l’Atlantico e il Pacifico. Per i critici, la Gran Bretagna con ambizioni globali finirà in realtà per diventare prigioniera di un rapporto subordinato con gli Stati Uniti. Dal punto di vista di Washington, la scelta di campo di Londra è comunque un vantaggio.
Più delicato il rapporto con la Germania. Il clima, dopo anni in cui Trump ha messo all’indice Berlino, migliorerà nettamente: l’amministrazione democratica, che intende rilanciare il dialogo con l’UE su temi globali (climate change, salute, etc) è perfettamente consapevole di avere a che fare con una “Europa tedesca”, anche ai vertici di Bruxelles. E’ molto probabile che Biden rivedrà la decisione di Trump (già messa in discussione dal vecchio Congresso degli Stati Uniti) sul ritiro parziale delle truppe americane dalla Germania: Berlino sarà riluttante sulla spesa militare (è ancora lontana, come l’Italia, dal famoso obiettivo di spesa del 2% del PIL) ma resta un pilastro della NATO e ha dubbi espliciti sulla versione francese della cosiddetta “autonomia strategica” dell’UE.
Ma esistono nodi che non sarà semplice sciogliere. L’America di Biden ha già aumentato il tasso di confronto con Mosca rispetto agli anni di Trump: resterà molto critica verso lo sviluppo del gasdotto Nord Stream 2, tanto più dopo il caso Navalny. Può darsi che sia l’ultimo strascico di un vecchio dossier; la politica energetica sta cambiando. Ma è ancora un dossier decisivo nelle relazioni con Mosca, che divide non solo Berlino e Washington ma anche gli europei fra di loro.
L’America nutre anche forti dubbi, lo indica la reazione alla firma dell’Accordo sugli investimenti fra UE e Cina, sulla posizione della Germania in materia di Cina. A differenza della Gran Bretagna, la Germania, molto più esposta sul mercato cinese, mantiene una impostazione “economy-first”. Crede ancora, o finge di credere, che l’integrazione economica aiuti la trasformazione politica.
Come dimostrano sondaggi recenti commissionati dallo European Council on Foreign Relations, il paese non ha più, dopo gli anni di Trump, una fiducia incondizionata nell’alleato americano; e teme di essere trascinata nello scontro con Pechino. Vale per l’opinione pubblica europea in generale; ma nel caso della Germania è un’opinione che sembra riflettere, più che influenzare, le scelte governative. Esistono insomma – questo il dubbio di Washington – tentazioni neutraliste e mercantiliste, cui potrebbe non essere immune il nuovo presidente della CDU, Armine Laschet.
Fra Washington e Berlino sarà quindi un rapporto decisivo ma non scontato, con un difficile negoziato sull’agenda futura e non con un puro ritorno al passato. Angela Merkel ne è consapevole, ha già parlato delle possibili differenze di approccio. Sarà, da entrambe le parti, un atlantismo pragmatico.
Se si aggiunge che la Germania sarà assorbita dalla transizione al dopo-Merkel, aumenta di importanza, per Washington, il rapporto con Parigi. Il Segretario di Stato Antony Blinken è, per ragioni di biografia personale, particolarmente vicino alla Francia. E Parigi, nel dopo-Brexit, aspira a proporsi quale guida naturale dell’Europa nella politica estera e di sicurezza. La prima telefonata fra Biden ed Emmanuel Macron è stata all’insegna della cooperazione possibile su vari dossier, incluso il futuro del negoziato nucleare con l’Iran (negoziato su cui Parigi è stata tradizionalmente dura) e il controllo del terrorismo nel Sahel, dove la Francia è peraltro in difficoltà.
La crisi provocata dal caso Navalny ha tolto dal tavolo il tentativo francese di reset della relazione con Mosca; in modo un po’ obliquo, Parigi ha anzi cominciato a mettere in discussione, discutendo di nuove sanzioni, l’opportunità di Nord Stream 2. Sulla questione Cina, Parigi è in genere un po’ più prudente di Berlino, anche se ha sostenuto la firma dell’Accordo sugli investimenti a fine dicembre del 2020. Sul tema della “autonomia strategica”, che per ora è una formula più che una vera politica, le distanze con un’America che resterà comunque riluttante a nuovi interventi esterni, potrebbero ridursi.
In teoria, la Francia che aspira alla “sovranità” di un’Europa potenza e non solo mercato, dovrebbe essere un interlocutore difficile per Washington. Fra le controversie possibili, le posizioni distanti in materia di tassazione digitale. Ma la storia ha smentito spesso questo copione: Stati Uniti e Francia, entrambe con aspirazioni “universalistiche”, alla fine si assomigliano anche un po’.
Il rischio, per l’Italia, è di restare in posizione abbastanza marginale nella fase che si apre per le relazioni transatlantiche. E’ possibile che Washington guardi essenzialmente, accanto a Bruxelles, a uno schema a tre, dominato appunto da Berlino, Parigi e anche Londra. E’ uno schema già sperimentato nel negoziato con l’Iran. Ma che potrebbe riprendere nel dopo-Brexit, visti anche i rapporti bilaterali che Germania e Francia stanno coltivando con la Gran Bretagna in tema di sicurezza e difesa.
L’Italia sarà comunque rilevante come primo interlocutore in una seconda categoria di alleati europei: soprattutto nel quadrante mediterraneo, che per l’America di Biden sarà meno irrilevante di quanto non sia stato per Trump. Il tono della prima telefonata di Antony Blinken a Luigi Di Maio, insieme alle dichiarazioni americane sulla Libia, danno questo segnale. Ma è già chiaro che l’Italia dovrà definire la propria posizione sui due temi considerati cruciali dalla presidenza democratica americana: l’atteggiamento verso la Russia di Putin e il contenimento della Cina.
Le scelte degli ultimi anni sono state di vario genere: tenuta sulle sanzioni a Mosca, firma di un Memorandum of Understanding con la Cina privo di senso strategico e anche di ritorni economici. In generale l’Italia è vicina all’approccio tedesco, senza avere il peso specifico per difenderlo. E avendo al tempo stesso bisogno del sostegno americano nel Mediterraneo. Quali sono i trade-off che convengono, fra spazio economico tedesco e spazio strategico americano? L’indifferenza di Donald Trump per l’Europa permetteva di restare sul vago; con il passaggio a Joe Biden, l’Italia dovrà chiarire, anzitutto a se stessa, le proprie scelte strategiche.
Per inserirsi nel dialogo con Washington, l’Italia potrà sfruttare la presidenza del G-20, assieme al ruolo che eserciterà con Londra nella COP26, sull’attuazione degli accordi di Parigi sul clima. Ma avrà bisogno di un governo solido per farlo. Che sia in grado di definire e gestire, insieme a un Recovery Plan convincente, anche una linea coerente di politica estera. Su cui, discutendo di programmi, nessuno discute.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata su La Repubblica del 1° febbraio 2021