Le ambizioni turche e il fattore Russia
L’asse tra Ankara e Mosca è un matrimonio di interesse, dove il bilanciamento dei rapporti necessita di aggiustamenti continui, ma dove il divorzio è impensabile perché, al di là di tutte le differenze e i conflitti, stare uniti è ancora molto più vantaggioso che essere rivali.
Turchia e Russia vanno avanti così dal 2016, da quando il Capo del Cremlino, Vladimir Putin, fece pervenire all’omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, la sua solidarietà dopo il fallito golpe del 15 luglio. Per le due sponde del Mar Nero fu l’occasione per tornare a parlarsi, dopo la crisi nel novembre 2015, quando un jet russo che sorvolava il confine con la Siria fu abbattuto dalla contraerea turca. In quella fase, entrambi i leader capirono che, per motivi e con margini diversi, venivano guardati con sospetto crescente dall’Occidente e che, se non volevano rimanere isolati, conveniva allearsi. Nacque così un asse che secondo molti sarebbe durato pochi mesi. Invece dopo cinque anni va avanti, pur non senza difficoltà. Lo stesso presidente Putin, durante l’ultimo incontro con Erdogan, avvenuto a Sochi a fine settembre, ha dichiarato: ‘Con la Turchia spesso il dialogo è faticoso. Ma alla fine si trova sempre un compromesso’.
In qualche modo, in questi anni, i due leader e i due Paesi hanno imparato a conoscersi meglio. La Russia ha capito che ridimensionare le ambizioni della Turchia sarebbe stato molto più complicato del previsto e Ankara, dal canto suo, ha dovuto accettare compromessi su cui si è giocata parte della sua credibilità, primo fra tutti lasciare il presidente siriano Bashar Al-Assad al potere. L’avversione del presidente Erdogan per il numero uno di Damasco è nota. Russia e Iran, però, sono due protettori del capo di Stato alawita, oggi saldamente in controllo del Paese al di dà dell’importante appoggio esterno: quindi, tutto quello che la diplomazia turca ha potuto fare è stato accettare la situazione.
In questi anni, ci siamo ormai abituati a vedere Russia e Turchia andare avanti coordinandosi sui maggiori teatri internazionali. La crisi in Afghanistan, oltre ad aver aperto un fronte particolarmente delicato per entrambi i Paesi, è stata anche l’occasione, soprattutto per Ankara, di fare un bilancio di questa alleanza. Un rapporto sicuramente conveniente, ma dove la Turchia sembra destinata a stare sempre un passo indietro.
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‘La relazione fra Russia e Turchia – spiega ad Aspenia online Habibe Özdal, Docente di Relazioni Internazionali all’Istanbul Okan University – va avanti fra mille incognite. Ma io credo che nessuna delle due parti voglia farla saltare. Il presidente Erdogan e il Presidente Putin continueranno come hanno fatto fino a questo punto. Incontrandosi periodicamente per esaminare le maggiori criticità, perseguendo le rispettive agende in modo parallelo’.
Il numero uno di Ankara sembra particolarmente intenzionato a proseguire nella politica estera assertiva che ha caratterizzato la Turchia negli ultimi anni e che non si è fermata nemmeno durante la pandemia. A metà ottobre, Erdogan ha compiuto una missione diplomatica in Africa subsahariana, con il copione che ha utilizzato molte volte con successo: partire con decine di imprenditori al seguito e con i ministri più importanti del suo esecutivo. Obbiettivo: firmare il maggior numero di contratti e protocolli di intesa possibili. Come sempre, il Capo di Stato è tornato in patria con accordi per potenziare le relazioni commerciali e collaborazioni nel settore energetico e della difesa.
La Turchia ha iniziato a puntare sull’Africa già dall’inizio degli anni 2000, ma con il passare degli anni, ha visto le sue posizioni sempre più insidiate non solo dalla Cina, che rimane il maggior player globale nel continente, ma proprio dall’alleata Russia. Erdogan, in particolare, è molto indispettito da come gli uomini della Wagner, la milizia paramilitare di mercenari sotto il controllo del Cremlino, stiano lentamente erodendo posizioni non solo in Libia, uno dei teatri in cui il bilanciamento fra i due Paesi è più difficile, ma anche in tutto il Nord Africa e in Sahel. Non è quindi un’esagerazione dire che il tour presidenziale rappresenti anche un messaggio per Mosca: la Turchia è intenzionata a tenere le posizioni conquistate in questi anni e, se possibile, ad aumentarle, non importa a scapito di chi.
Se la situazione in Africa non è troppo tesa, sul fronte orientale che si rischiano contrasti maggiori. Il Caucaso è ancora molto instabile. La guerra combattuta in Nagorno-Karabakh nell’autunno del 2020 ha lasciato tensioni irrisolte. L’Azerbaigian è riuscito a riprendere possesso di una parte del territorio controllato dall’Armenia e che Baku rivendica come proprio.
La Turchia, che ha apertamente preso le parti dell’Azerbaigian durante il conflitto, aiutandolo anche militarmente, è rimasta fuori dalle attività di messa in sicurezza della zona, gestite completamente dalla Russia. La faccenda ha irritato Ankara e non poco. Per il presidente Erdogan si sarebbe trattato di una occasione d’oro per imporre una presenza militare turca, ampliando così la sua influenza nella regione con un gesto forte ed erodendo quella del Cremlino, fino a pochi anni fa unico arbitro degli equilibri nel Caucaso.
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La crisi in Afghanistan ha colto impreparate parecchie capitali, ma di certo non Mosca e Ankara. Proprio qui, in una situazione in fieri e ancora da definire, gli obiettivi dei due alleati potrebbero venire a confliggere. Ritagliarsi una sacca di potere nel Paese sotto il controllo dei Talebani, che comunque rimane snodo strategico per le rotte commerciali, solletica gli appetiti di molti Stati. Oltre a Turchia e Russia, ci sono Cina, Pakistan, Iran e, dall’altra parte, il blocco occidentale – che certo ha perso gran parte della sua influenza diretta. Ma per Russia e Turchia sarà un vero e proprio test per capire quanto la loro alleanza sia matura e quanto siano realmente in grado di rimodulare le proprie ambizioni. Entrambe hanno iniziato un dialogo con i Talebani mesi prima del ritiro americano. Mosca porta ancora le ferite del conflitto perso nel 1989, ma quella afghana è una partita dalla quale non può rimanere fuori. Di mezzo c’è la stabilità dell’Asia Centrale, macro-regione del quale il Cremlino si sente ancora garante, nonostante la crescente influenza cinese e, anche qui, i piani di Ankara per contare sempre di più.
Per la Turchia, invece, l’Afghanistan rappresenta la grande occasione per aumentare il proprio peso sullo scacchiere internazionale e agli occhi degli Stati Uniti. L’amministrazione Biden continua a guardare con sospetto quello che una volta era considerato un alleato fedele. Ottenere il controllo dell’aeroporto di Kabul, sogno che Erdogan accarezza da mesi, potrebbe aiutare a favorire un ammorbidimento da parte di Washington.
‘Mosca e Ankara hanno obiettivi molto simili nella loro politica estera – spiega ad Aspenia online Anton Mardasov, analista del Middle East Institute in Siria ed esperto della politica estera russa – e io penso che con il tempo Mosca abbia imparato a non sottovalutare un alleato che forse pensava di poter tenere più a bada. E invece non solo Ankara non ci sta, ha fatto anche capire chiaramente che è in grado di agire in maniera autonoma. Le mire turche in Afghanistan sono un esempio di come la Mezzaluna sia pronta a giocare la sua parte anche a costo di andare infastidire gli interessi di Mosca, senza però mai entrare in scontro aperto’. Mosca, dunque, rimane la parte forte dell’alleanza, ma Ankara, a differenza sua, può giocare su più tavoli. ‘La Turchia – conclude Habibe Özdal – è comunque un Paese che ha ancora stretti rapporti con l’Unione Europea e può tornare a essere un partner degli Stati Uniti. Rischia l’isolamento per il suo atteggiamento in politica estera, ma ha alternative’.
Dall’altra parte, la Russia sembra destinata a giocare da sola per scelta, perché non vuole andare troppo vicino né all’Europa, dalla quale, al contrario ha preso le distanze, né alla Cina, che la fagociterebbe. Alla fine, il matrimonio di interesse fra Ankara e Mosca è la soluzione più conveniente e meno pericolosa.