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Russia-Turchia: l’asse dell’opportunismo su basi incerte

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Hanno stretto un’alleanza strategica, fatta di opportunità comuni, più che di vedute condivise. Ma storicamente, fin dai tempi dell’Impero zarista e di quello ottomano, i loro interessi si sono scontrati più volte. Un passato tumultuoso, che mette a rischio l’asse formato dalle convenienze di Russia e Turchia e che potrebbe riemergere, proprio negli stessi territori delle crisi di ieri: il Mar Nero e il Caucaso. Qui, Ankara potrebbe sfruttare una serie di punti di pressione ai danni di Mosca, per bilanciare un’alleanza dove per ora è il Cremlino a dettare le condizioni, soprattutto per quanto riguarda la Siria e le politiche energetiche; o forse per creare motivi di scontro.

Dall’altra parte, la Russia deve fare i conti con il fatto che, dopo la caduta dell’URSS, alcune zone dell’ex dominio sovietico hanno abbandonato i legami con Mosca, tornando a prediligere relazioni su basi culturali, religiose, linguistiche e storiche – e dunque guardando anche verso il mondo turco. Una situazione che spinge la Russia a studiare nuove strategie per ripensare alla sua politica in tutta la regione, specie ora che anche la Turchia sta creando le sue zone di influenza.

 

Acque agitate

Ankara segue con attenzione gli sviluppi sulla sponda settentrionale del Mar Nero, soprattutto dal 2014, quando, con il contestato referendum, la Crimea ha scelto l’annessione alla Russia. In quell’occasione, il Presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, aveva preso apertamente le difese della minoranza tatara presente nella penisola, che rappresenta il 12% della popolazione e che si era ritagliata qualche spazio di autonomia nell’Ucraina post-sovietica. I Tatari sono avversi a Mosca e tutelati dalla Turchia fin dai tempi dell’impero ottomano. Il Cremlino sta cercando di ampliare la sua sfera di influenza nel Mar Nero: in questo momento controlla il 25% delle coste contro il 35% della Turchia, e ha aumentato in modo rilevante la presenza militare nella regione. Un particolare, quest’ultimo, che fa preoccupare l’altra sponda del bacino. Dopo la crisi dello scorso novembre sullo stretto di Kerch, la Mezzaluna teme che riesplodano anche le tensioni nella regione orientale ucraina del Donbass. Ankara sta faticando e, non poco a mantenere una posizione di equidistanza fra un nuovo alleato, la Russia, a cui è legata a doppio filo e gli Stati Uniti, con i quali condivide la membership nella Nato.

La dimensione strategica del Mar Nero (elaborazione da NASA)

 

Ma Recep Tayyip Erdoğan, dal 2009, ci ha abituato a una politica estera sempre più espansiva ed esuberante e anche nel caso del Mar Nero sta giocando la sua partita. Nonostante l’alleanza con Mosca, ha in piedi con l’Ucraina importanti progetti per aumentare l’interscambio commerciale e contratti di collaborazione militare tramite i quali spera di recuperare, almeno in parte, il gap tecnologico di cui la Turchia soffre da quando la cooperazione con gli Stati Uniti si è attenuata a causa dell’irrigidimento dei rapporti. Il presidente, a partire dal 2005, ha dato vita al Milgem, un programma nazionale per la costruzione di navi da guerra, focalizzato sulla costruzione di imbarcazioni da combattimento per il pattugliamento costiero e strumenti di rilevamento anti sottomarini. Nelle scorse settimane, la Turchia ha avviato le prime indagini per la costruzione di una sede navale proprio sul Mar Nero, non lontano da Trebisonda, a 150 chilometri dal confine con la Georgia e di fronte al porto russo di Soci. La struttura occuperà una superficie di 55mila metri quadrati e ospiterà circa 400 militari, che dovranno fornire supporto logistico a fregate, navi d’assalto e sottomarini delle forze navali turche. Una scelta che testimonia come la Mezzaluna stia reagendo alla strategia espansionistica di Mosca, marcando il territorio e preparandosi a una destabilizzazione del bacino che potrebbe portare a nuove crisi.

 

Terre di mezzo

Nel Caucaso, la situazione è ancora più delicata, tanto che è corretto distinguere tra Caucaso del nord e Caucaso del sud. Nella parte settentrionale della regione, la Turchia ha legami storici con le comunità islamiche, soprattutto in Daghestan, Cabardino-Balcaria e Circassia, che oggi si ritrovano all’interno dello stato russo. Territori a cui in alcuni casi sono garantite autonomie formali, in realtà noti per le loro tendenze indipendentiste rafforzate dall’identità religiosa: gli elementi più pericolosi, vicini a gruppi salafiti espulsi da Mosca, hanno spesso trovato rifugio da qui proprio in Turchia. Ankara li ha accolti volentieri, in nome delle relazioni del passato, ma anche perché gli appartenenti a questi gruppi sono sostenitori di Erdoğan. La Russia chiede da tempo la loro estradizione, ma la Mezzaluna si è sempre dimostrata molto reticente. Ankara è anche accusata di aver fornito appoggi logistici allo Stato Islamico fra il 2014 e il 2015 e di appoggiare la frange più estremiste della cosiddetta opposizione siriana. Aspetti che rendono Ankara un alleato strategico su molti capitoli agli occhi di Mosca, ma poco affidabile sulla sicurezza interna e la lotta al terrorismo.

Sono tensioni che hanno un diretto impatto su un fronte aperto particolarmente delicato per il Cremlino: la Cecenia – altro fonte “caldo” del Caucaso del Nord. Su questo tema, la Turchia ha sempre mantenuto una posizione di sostanziale estraneità, ricambiata dalla Russia sulla questione curda, che ha permesso ad Ankara di portare avanti nel nord della Siria offensive armate contro lo Ypg, il braccio armato dei curdi siriani (considerato da Ankara un’organizzazione terroristica alla stregua del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan). Se gli equilibri dovessero cambiare e la Turchia non trovasse più soddisfacenti le condizioni dell’alleanza con Mosca, quello del Caucaso del Nord potrebbe tornare ad essere uno dei punti di pressione più fastidioso per il Cremlino.

Il mosaico etnico-politico del Caucaso del Nord (Wikipedia).

 

La parte meridionale della regione è quella dove i due Paesi si contendono in modo più evidente le zone di influenza e dove si rischia più concretamente un conflitto armato nel quale verrebbero irrimediabilmente risucchiate Mosca ed Ankara. La Georgia è la nazione nel Caucaso del Sud dove l’influenza russa si è affievolita. La situazione è ancora più critica dall’agosto 2008, a causa della guerra in Abkhazia e Ossezia del Sud, terminata con l’indipendenza dei due territori prima compresi nei confini della Georgia, che sono diventate di fatto un protettorato russo. La Turchia ha approfittato dell’occasione per avvicinarsi a Tblisi, con cui condivide progetti importanti come il Baku-Tbilisi-Ceyhan, il gasdotto di quasi 1800 chilometri, che porta il gas dal Mar Nero al Mar Mediterraneo e la Tap, Trans Adriatic Pipeline, destinata a portare l’oro blu dall’Azerbaigian fino all’Italia e che consolida il ruolo della Mezzaluna come hub energetico, oltre a tutti i vantaggi economici e di approvvigionamento.

Una situazione ancor più delicata riguarda Armenia e Azerbaigian a causa dell’irrisolta questione del Nagorno Karabakh, una regione in territorio azero, ma a maggioranza armena autoproclamatosi indipendente nel 1990 e teatro di una sanguinosa guerra fra Baku e Yerevan fra il 1992 e il 1994. Oggi, la repubblica non ha riconoscimento internazionale. Nella questione, l’Armenia viene fiancheggiata dalla Russia, l’Azerbaigian dalla Turchia. Nonostante il riavvicinamento fra Mosca e Ankara la situazione nella regione rimane critica e per il Cremlino può rappresentare un grosso problema, data la sua alleanza con Yerevan, ma anche la vendita di armi a Baku.

Intanto la Turchia, che ha non ha relazioni con l’Armenia non solo per il conflitto in Nagorno Karabakh, ma anche a causa del genocidio del 1915 (mai riconosciuto da Ankara), si è mossa per indebolire l’influenza di Mosca nella regione e isolare la stessa Armenia. A novembre 2018, Ankara, Tbilisi e Baku si sono riunite per preparare un protocollo per garantire la sicurezza e la pace nella regione. La Russia, dal canto suo, ha una sua presenza militare in Armenia da dove, insieme con quella in Crimea, può tenere sotto tiro di missile le regioni settentrionali e orientali della Turchia.

Russia e Turchia sono dunque strani alleati. Condividono certamente alcuni interessi e hanno mostrato di poter collaborare, ma potrebbero presto o tardi trovarsi su sponde opposte in diversi conflitti regionali.