La frontiera infinita
Questo articolo è pubblicato sul numero 2-2025 di Aspenia
Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, il governo degli Stati Uniti – soprattutto attraverso il dipartimento della Difesa e il suo braccio di ricerca, la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) – ha agito come fonte fondamentale di finanziamento per la ricerca e lo sviluppo tecnologico. Com’è noto, numerose tecnologie che oggi sono parte integrante della vita commerciale e civile devono le loro origini alla ricerca finanziata dal sistema della difesa e della sicurezza statunitense, da internet alle costellazioni satellitari ai motori di ricerca, in una continua ricerca di quella che Vannevar Bush, consigliere scientifico di Roosevelt, definì la “frontiera infinita”.
LA PRIMA FASE: LO STATO MOTORE DELL’INNOVAZIONE. Da un lato, queste capacità hanno portato a una certa mentalità riduzionista, corrispondente alla ripresa di interesse, dopo la Grande Recessione, per le varie modalità attraverso cui lo Stato esercita un ruolo nell’economia. Nel dibattito sul suo ruolo come attore dell’impresa e dell’innovazione, in molti casi si fornisce una semplificazione storica sul funzionamento concreto delle aziende e delle filiere, sostenendo che lo Stato (nello specifico il Pentagono, la DARPA o la comunità di intelligence) abbia “inventato” varie tecnologie. Questa lettura sottovaluta il crescente rilievo delle applicazioni commerciali nell’innovazione, sia per la dimensione dei vari mercati, sia per l’importanza di scalare alcune produzioni in modo efficiente, sia per il ruolo decisivo svolto da chi trasforma il sostegno alla ricerca di base in prodotti che possono interessare e servire il consumatore.
Sebbene la spesa per la difesa sia rimasta significativa, le varie diramazioni delle attività commerciali, alimentate dalla rapida crescita di Internet e dall’ascesa di nuove aziende, sono diventate sempre più un motore primario di innovazione, soprattutto dagli anni Novanta e in modo ancora più consistente in questo secolo. Questa evoluzione può essere mostrata nel dettaglio all’interno di specifiche industrie, a partire dall’industria principe dell’epoca digitale, quella dei semiconduttori. Per la quale, durante la prima fase della guerra fredda, le forze armate rappresentarono senz’altro il motore primario dell’innovazione nonché il consumatore di riferimento. Viste le loro applicazioni militari, i finanziamenti e gli appalti per la ricerca e lo sviluppo legati alla difesa furono elementi cruciali per la prima fase di crescita di semiconduttori e computer. La produzione di transistor aumentò rapidamente negli anni Cinquanta grazie proprio alla consistente domanda militare. Il dipartimento della Difesa finanziò linee pilota di produzione di transistor presso importanti aziende come AT&T, General Electric, Raytheon, Sylvania e RCA. Il primo contratto militare per la ricerca e lo sviluppo nella tecnologia dei transistor fu assegnato ai Bell Telephone Laboratories nel 1949, e fu costantemente rinnovato nel decennio successivo.
LA SPINTA DEL MERCATO. Tuttavia, l’orizzonte cambiò già dagli anni Sessanta, con un’accelerazione evidente sulle applicazioni commerciali dovuta all’elettronica di consumo. Già durante la guerra fredda, gli Stati Uniti svilupparono un vasto mercato civile, cruciale per l’economia dei semiconduttori, vista la necessità di una produzione su vasta scala per finanziare la ricerca e lo sviluppo. Si tratta di un fattore distintivo rispetto all’Unione Sovietica. Inizialmente, solo l’esercito poteva permettersi i costosi chip, ma la legge di Moore rese possibile l’uso commerciale, portando il mercato civile a diventare cruciale per finanziare ulteriori progressi nella miniaturizzazione e nelle prestazioni. Entro il 1968, anno della fondazione di Intel, l’industria informatica acquistava tanti chip quanto l’esercito.
Verso gli anni Novanta, la domanda militare rappresentava meno del 10% delle vendite di circuiti integrati e le ricadute tecnologiche che un tempo fluivano dalla difesa alle applicazioni civili spesso si muovevano già nella direzione opposta, mentre i progetti di politica industriale degli Stati Uniti, come l’iniziativa Sematech, non hanno portato a risultati decisivi per il rilancio delle capacità di innovazione, se paragonati a ondate commerciali come la diffusione del personal computer. Allo stesso modo, se è vero che alcune innovazioni, come il calcolo parallelo, sono state portate avanti da aziende legate agli apparati della difesa, alcune di queste aziende – come Thinking Machines – sono fallite proprio per via di tale dipendenza dai ricavi, mentre un’azienda come NVIDIA, nata per portare queste tecniche in modo innovativo al mercato dei videogiochi, è diventata un attore primario dell’industria.
Nel complesso, l’industria dei semiconduttori ha conosciuto una crescita esponenziale, trainata in modo predominante dalla domanda proveniente dai settori commerciali e consumer. L’avvento di personal computer, elettronica di consumo, telecomunicazioni e, più recentemente, smartphone e data center per l’intelligenza artificiale, ha creato un mercato di dimensioni enormi per i chip. Di conseguenza, mentre le esigenze degli apparati di difesa e sicurezza continuano a essere importanti e specifiche, il loro volume è diventato una frazione molto piccola del mercato globale totale dei semiconduttori, che è spinto da una crescita quantitativa e non solo qualitativa. Attualmente, luminari dell’ingegneria elettronica come Philip Wong dell’Università di Stanford stimano che il fabbisogno di chip del Pentagono e dei suoi appaltatori rappresenti meno del 2% del mercato complessivo.
Anche l’arena tecnologica su cui c’è la maggiore attenzione pubblica mostra questa dinamica. Ben Buchanan, che ha ricoperto il ruolo di consigliere speciale per l’intelligenza artificiale alla Casa Bianca durante l’amministrazione Biden, ha sottolineato in una recente conversazione con Ezra Klein che l’IA si distingue come la prima tecnologia rivoluzionaria dell’ultimo secolo a non essere stata finanziata principalmente dal dipartimento della Difesa. Secondo Buchanan, se quel modello storico di finanziamento ha fornito al governo degli Stati Uniti e al Pentagono una profonda comprensione di queste tecnologie fin dalla loro nascita, insieme alla capacità di influenzarne significativamente lo sviluppo, i recenti progressi nell’intelligenza artificiale generativa sono stati in gran parte guidati dal settore privato, con esempi di spicco come OpenAI e Google.
Buchanan ha riconosciuto che il governo si è trovato nella posizione di dover recuperare un ritardo di comprensione dei processi e dei temi. In questo campo, non esistono più l’accesso precoce, la competenza e il controllo sulla direzione tecnologica da parte dei tradizionali attori pubblici. Ciò che si può sviluppare – e senz’altro si sviluppa – è invece un vincolo di sicurezza nazionale nell’interscambio tra le aziende e il governo, per quanto riguarda sia la governance – per esempio con l’ingresso di veterani degli apparati della difesa nei vari advisory board o consigli di amministrazione – sia le applicazioni per la sicurezza e le valutazioni delle capacità degli avversari, in primis la Cina. In ogni caso, il rapporto tra innovazione e sicurezza avviene ex post rispetto allo sviluppo tecnologico e sempre con un divario di conoscenza tra gli attori commerciali e gli attori pubblici.
I CASI DI PALANTIR E ANDURIL. Questa breve ricostruzione dell’industria dei semiconduttori e del panorama dell’intelligenza artificiale può aiutare a cogliere una prospettiva più matura sul rapporto tra Stato, innovazione e attività commerciali. Nell’ambito specifico della difesa, è utile considerare anche l’avvento di una nuova tesi di investimento e organizzazione, con l’ascesa di aziende come Palantir, avviata nel 2003, e Anduril, fondata nel 2017. Queste aziende mirano a rivoluzionare le capacità militari statunitensi e alleate sfruttando tecnologie avanzate e adottando approcci non convenzionali al sistema degli appalti. La loro comparsa riflette il riconoscimento (interessato) di un crescente divario nella capacità dell’industria della difesa tradizionale di adottare e integrare rapidamente tecnologie commerciali all’avanguardia, in particolare in aree critiche come l’intelligenza artificiale e i sistemi autonomi.
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Palantir è specializzata nella fornitura di soluzioni software per l’integrazione, la gestione e l’analisi dei dati a clienti sia governativi che commerciali. Le sue piattaforme principali – Gotham, pensata per applicazioni governative, e Foundry – analizzano vasti set di dati integrandosi nelle organizzazioni dei clienti. Anduril opera su un modello di business incentrato sullo sviluppo e la vendita di sistemi di difesa autonomi basati sull’IA. Il suo portafoglio di prodotti, alimentato dal sistema operativo Lattice, comprende una gamma di tecnologie avanzate, come droni autonomi, sistemi di sorveglianza e soluzioni anti-drone. A differenza dei tradizionali appaltatori della difesa che spesso si affidano a finanziamenti governativi e contratti, Anduril afferma di impiegare il proprio capitale per sviluppare e produrre prodotti finiti, che vengono poi venduti off the shelf.
Un’iniziativa chiave che riassume le ambizioni del sistema di Palantir e Anduril è il progetto “First Breakfast”, avviato dal Chief Technology Officer di Palantir, Shyam Sankar. Il progetto mira a supportare e far crescere l’ecosistema della tecnologia della difesa, collegando in modo differente le startup innovative con il dipartimento della Difesa, garantendo una rapida integrazione di tecnologie all’avanguardia. L’iniziativa “Prima Colazione” si pone come risposta strategica alla necessità di superiorità tecnologica in un’epoca di crescenti tensioni con gli avversari, a partire dalla Cina. E si pone in contrasto esplicito con “l’Ultima Cena” degli anni Novanta in cui, per iniziativa dell’allora segretario alla Difesa William Perry, le aziende della difesa si sono consolidate per ridurre i costi di fronte ai tagli del bilancio.
La First Breakfast cerca di scalare l’ecosistema, promuovendo una diversa distribuzione, sia come modalità che come quantità di allocazione, del bilancio della difesa, favorendo la crescita di “nuovi campioni” capaci di operare sulle tecnologie emergenti che il Pentagono non conosce a sufficienza. La collaborazione tra Palantir e Anduril è esemplificata dal loro investimento politico sulla vittoria di Donald Trump, per poter avere un ruolo maggiore nelle scelte della nuova amministrazione, e dall’annuncio della creazione di un consorzio per accelerare le capacità di intelligenza artificiale per la sicurezza nazionale. Questa partnership sfrutta l’esperienza di Palantir nell’analisi dei dati e nelle piattaforme di intelligenza artificiale, assieme alle soluzioni hardware e software di Anduril, come i droni autonomi e i sistemi anti-drone. Le due aziende affermano di lavorare attraverso i dati della difesa, per assicurare che il governo degli Stati Uniti sia leader nelle applicazioni militari basate sull’intelligenza artificiale.
IL KEYNESISMO MILITARE DEGLI STATI UNITI. Si tratta, comunque, di scelte sulla distribuzione di investimenti pubblici che, ancora una volta, ci riportano a processi storici più lunghi. Come mostrato negli studi di Tim Barker, il concetto di keynesismo militare negli Stati Uniti si è evoluto nel tempo come una risposta alla necessità di stabilizzazione economica, specialmente nel contesto della guerra fredda. Inizialmente, l’idea che la spesa militare potesse agire come uno strumento di politica economica keynesiana emerse nel periodo di incertezza post-bellica. Durante la guerra di Corea, la spesa per la difesa fu considerata una forza stabilizzatrice fondamentale per l’economia. Consiglieri economici come Leon Keyserling promossero l’idea che un’economia in espansione dovesse essere messa in condizione di sostenere elevate spese militari per la sicurezza nazionale e la promozione della pace.
Nei decenni successivi, il keynesismo militare continuò a essere una caratteristica dell’economia statunitense. Durante l’era Reagan, questa tendenza si fece particolarmente evidente. Il presidente della cosiddetta “svolta neoliberale” promosse un significativo aumento della spesa per la difesa. Nel 1980 gli americani si trovarono a scegliere tra Carter, che prometteva una crescita reale del 5% all’anno della spesa per la difesa per i successivi cinque anni, e Reagan, che prometteva il 7%. Questa spesa militare nell’era Reagan può essere interpretata come una forma di keynesismo militare, dove l’aumento della spesa pubblica in armamenti mirava a stimolare l’economia. Il segretario alla Difesa Caspar Weinberger affermò nel 1981 che “vengono creati posti di lavoro e vengono stimolati investimenti, generando gettiti fiscali – sia da parte degli individui che da parte delle aziende. Quindi, quando si aumenta la spesa per la difesa non si sta realmente aumentando in modo significativo il deficit”.
Ci sono forzature in questa ricostruzione ma, sebbene l’obiettivo primario fosse la proiezione di potenza militare e la competizione con l’Unione Sovietica, l’impatto economico di tale spesa era effettivamente significativo. Alcuni osservatori notarono che nella versione reaganiana di keynesismo militare, gli effetti sul mercato del lavoro erano meno importanti della stabilizzazione dei profitti e degli investimenti. La spesa per la difesa continuò quindi a svolgere un ruolo di stimolo economico, anche se con una maggiore enfasi sui profitti del settore privato.
IMITARE IL MODELLO CINESE? In quale contesto strategico si collocano oggi il keynesismo militare e l’ascesa della sicurezza nazionale? Un recente contributo di Michael Froman su Foreign Affairs riprende una prospettiva ormai consolidata negli Stati Uniti, adottata senza differenze significative da figure con affiliazioni politiche differenti come Mike Pompeo, durante la prima amministrazione Trump, o Jake Sullivan, durante l’amministrazione Biden. Si tratta del riconoscimento dell’insuccesso della strategia statunitense di integrare la Cina nel sistema internazionale basato su regole liberali, e del fallimento dell’aspettativa che il paese si sarebbe occidentalizzato. Froman va oltre e afferma che, invece di assistere a una convergenza della Cina verso il modello americano, si è verificata una convergenza inversa, con gli Stati Uniti che stanno adottando politiche economiche sempre più simili a quelle cinesi. Froman evidenzia come, dopo decenni in cui Washington ha esortato Pechino a evitare il protezionismo, eliminare le barriere agli investimenti esteri e ridurre i sussidi e la politica industriale, gli Stati Uniti si ritrovino ora a imporre dazi, limitare gli investimenti cinesi e attuare ingenti programmi industriali. Un’inversione di tendenza che rappresenta un riconoscimento implicito del successo del modello cinese.

Sotto la guida di Hu Jintao e soprattutto di Xi Jinping, Pechino ha rafforzato (ma allo stesso tempo modificato) l’intervento statale nel coordinamento dell’economia e per la collaborazione tra apparati militari e attori industriali. La Cina ha perseguito una crescita guidata dalle esportazioni e non ha riequilibrato la sua domanda interna. Mentre non si è adeguata alle regole commerciali internazionali, le sue iniziative multilaterali sono state pressoché fallimentari. Con un progressivo deterioramento di relazioni bilaterali, secondo Froman, la Cina ha in sostanza messo Washington all’angolo. Così gli Stati Uniti, anche per ragioni di politica interna, non hanno alternative perseguibili se non una imitazione delle politiche cinesi.
Questa interpretazione appare coerente con l’idea che Cina e Stati Uniti siano entrambe potenze del capitalismo politico, attori globali in cui ha un peso fondamentale, in questa fase storica, l’intreccio tra interessi economici e politici, soprattutto con l’allargamento dei vincoli di sicurezza nazionale alle filiere tecnologiche.
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Alla fine, i due avversari si somigliano. Fino a che punto? Durante la guerra fredda, Seymour Melman parlava del “capitalismo del Pentagono” per caratterizzare l’economia di guerra permanente degli Stati Uniti, un sistema in cui il dipartimento della Difesa diviene un attore economico centrale che indirizza vaste risorse verso l’apparato militare-industriale. La spesa e gli appalti per la difesa funzionano come vettori di politica industriale, incanalando fondi pubblici per la ricerca e sviluppo in industrie ad alta tecnologia e garantendo mercati per prodotti avanzati.
Analogamente, la Cina attuale fornisce l’esempio di un “capitalismo dell’Esercito popolare di Liberazione”, una specifica forma di fusione militare-industriale che si presenta in termini diversi a seconda dei settori, da quelli come l’aerospazio in cui il rapporto è evidente e diretto, a quelli come l’automotive in cui la relazione è molto più sfumata. L’obiettivo è la creazione di sinergie continue tra lo sviluppo economico e l’avanzamento militare. Nei prossimi anni, il sistema cinese potrebbe avere un’ulteriore evoluzione: per esempio, anche in settori fortemente controllati come lo spazio, il Partito avrà bisogno di lasciare emergere maggiormente l’innovazione privata e il sistema di competizione feroce che ha caratterizzato altre industrie cinesi. Dall’altra parte del pianeta, in Europa, vediamo e vedremo in modo consistente la riduzione di barriere al finanziamento della difesa, per esempio da parte di varie tipologie di investitori istituzionali.
Vedremo anche cambiamenti nella formazione. Per gli europei, si tratterebbe di strutture di produzione e di formazione per rispondere a una doppia esigenza: da un lato, gli Stati Uniti non sono più il fornitore di sicurezza di ultima istanza, e pertanto occorre garantire uomini e sistemi in termini qualitativi e quantitativi ben diversi rispetto al passato; dall’altro, la stessa filiera statunitense ha mostrato alcune dipendenze significative dalla Cina che, in un mondo dove il fattore materiale diviene centrale, vanno ora limitate.
Rimane, in ogni caso, la questione evidenziata da Buchanan: quando gli attori pubblici non hanno strumenti per comprendere una tecnologia, si trovano necessariamente a inseguire, mentre le aziende continuano a fare i loro interessi e, allo stesso tempo, avanzano nuove tesi di investimento e di intreccio tra politica, economia e innovazione.
Questo articolo è pubblicato sul numero 2-2025 di Aspenia.