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La Francia di Macron, presidente di guerra

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Alla fine anche la Francia si è adeguata. Ha accettato la realtà della pandemia, e nonostante i ritardi, la tergiversazione e qualche prova palese di incomprensione, ha seguito l’esempio dell’Italia. Dal mezzogiorno di martedì 17 marzo, anche in Francia, dopo le scuole e le università, chiuse dal 16, dopo i bar e ristoranti, i cinema, i teatri, i musei, gli esercizi commerciali non essenziali, per frenare il contagio si è deciso di limitare al massimo i contatti interpersonali.

Senza mai parlare espressamente di quarantena, “confinement”, ma indicando sanzioni severe in caso di infrazione alle nuove regole, è stato lo stesso presidente della Repubblica Emmanuel Macron a dare l’annuncio lunedì 16 marzo, in un nuovo discorso televisivo che arriva quattro giorni dopo il primo appello sulla pandemia lanciato alla nazione. Giovedì 12 Macron aveva già mobilitato tutto l’arsenale della retorica presidenziale. Dopo essersi fatto vedere a teatro con la moglie per minimizzare l’allarme da COVID-19 la domenica precedente, aveva aperto le porte dell’Eliseo alle telecamere, per rassicurare gli animi. Alla vigilia del primo turno delle municipali, in programma domenica 15 marzo, aveva coniugato il richiamo alla grandeur e l’appello all’unità della nazione per annunciare le prime misure di controllo sulla popolazione, la chiusura delle frontiere su scala europea, insistendo sull’assoluta priorità della salute dei francesi.

Il Trocadéro svuotato dalle misure di confinamento decise dalla Francia

 

Di fronte all’emergenza sanitaria, alla curva esponenziale del contagio, ai primi morti, e al prevedibile stress dei centri di rianimazione, il presidente francese è parso abbandonare la facies del tecnocrate liberale, per assumere quella regale e più solenne del garante dell’unità della nazione che, investito da un superiore interesse collettivo, si rivolge popolo. E ha messo in atto un’inversione a U rispetto a una strategia di comunicazione per molti versi incerta, ondivaga e persino supponente.

Appena pochi giorni prima, infatti, il portavoce del governo Sibet Ndiaye  invocava il parere degli esperti per screditare le disposizioni del governo italiano: “l’Italia ha preso delle misure che non hanno permesso di frenare l’epidemia”, aveva detto con aria di sdegno riferendosi ai controlli sulla temperatura corporea negli aeroporti e alla chiusura delle frontiere ai voli dalla Cina.

Dopo il repentino cambio di registro dettato dal rapporto sul coronavirus dell’epidemiologo dell’Imperial Royal College Neil Ferguson, che grazie a vari modelli matematici, in caso di assenza di interventi, preconizzava in Francia 300.000-500.000 vittime, Macron ha voluto innanzitutto rendere omaggio all’abnegazione, al coraggio e al sangue freddo del personale medico e infermieristico, alle prese con “la più grave crisi sanitaria degli ultimi cent’anni”.

Poi, da virtuoso dell’”en même temps”, che è un po’ il marchio di fabbrica del suo ecumenismo politico, ha solennemente dichiarato  il dovere di frenare il contagio, ribadendo la necessità di proteggere le fasce più fragili e più vulnerabili della popolazione. Salvo confermare il regolare svolgimento del primo turno delle elezioni municipali previsto tre giorni dopo, però raccomandando ai sindaci di evitare le file ai seggi, e agli elettori di rispettare le misure di igiene e le distanze di sicurezza. Lo scopo, in questo caso, era di assicurare la continuità della vita democratica. Quanto al messaggio politico, Macron è stato esplicito: “Non si supera una crisi di tale vastità senza unire le forze” ha detto invocando “una disciplina individuale e collettiva”. Il che vuol dire evitare da un lato l’isolazionismo nazionalistico di fronte a un virus che viaggia senza passaporto, e adottare dall’altro lato nuove regole di vita sino addirittura a rifondare il modello di vita collettiva.

In questo modo, il presidente  è parso recuperare i valori dell’État providence, il welfare alla francese, offrendo una nuova torsione all’immagine del più giovane capo di stato della recente storia francese, propulso all’alto incarico dopo aver fondato ex novo un movimento interclassista e interpartitico, e forte quasi esclusivamente del successo professionale del tecnocrate liberale: “La pandemia dimostra che ci sono beni e servizi che devono restare al di fuori delle leggi di mercato, perché non sono costi non sono oneri, per la collettività, bensì beni preziosi, strumenti indispensabile quando il destino colpisce”, ha detto Macron toccando le corde dell’emozione.

Da qui la  spettacolare correzione della linea politica iniziale, già messa a dura prova dalla rivolta dei Gilets jaunes e ormai bersaglio della diffidenza dei partiti, rispetto alle splendide promesse di inizio mandato. Tre anni fa, appena eletto all’Eliseo, il neo presidente Macron, pur criticando le derive del capitalismo finanziario, volle accreditarsi come l’incarnazione della “speranza, dello spirito di conquista, dell’audacia della libertà, di fronte ai venti contrari del corso del mondo”. Oggi quel vento contrario all’audacia della libertà ha preso il nome di un virus sconosciuto e però letale, che si trasmette velocemente, senza distinzione tra paesi ricchi e paesi poveri, tra capitani d’industria e poveri pensionati.

Ma mentre la scienza deve affrontare il nuovo mostro con le armi della ragione e della conoscenza, in politica tutto è possibile, e una crisi sistemica può addirittura trasformarsi in una nuova opportunità, se solo si è disposti a rimettere in discussione i fondamentali. Ed ecco che diventa l’occasione per riaffermare una gestione più provvida della spesa pubblica, affrontando decisioni dirompenti per garantire la protezione dei cittadini più deboli e assicurare la coesione nazionale.

E’ la scelta che ha fatto Macron. All’indomani del voto, il presidente francese è ritornato davanti alle telecamere per un nuovo discorso ai francesi. Il presidente che si voleva jupitérien ha indossato i panni del padre della patria e ha assunto i toni drammatici del capo delle forze armate per mobilitare l’intera nazione alla battaglia contro il virus. “La Francia è in guerra”, ha detto per ben sei volte, martellando ripetutamente il suo discorso contro il nemico invisibile che s’aggira fra i paesi d’Europa.

E pazienza se appena il giorno prima, la stessa decisione del presidente, corroborata dalle più alte autorità dello Stato e dai capi dei partiti, aveva permesso a milioni di elettori di contagiarsi in tutta legalità, e di rischiare la vita andando a votare. Vero è che il buon senso dei francesi ha disertato le urne. Il primo turno delle municipali ha infatti registrato il record assoluto dell’astensionismo, schizzato a un tasso del 55,36% con un balzo di 20 punti rispetto alle consultazioni del 2014.

In più, non ha premiato la maggioranza presidenziale: a Parigi la socialista Anne Hidalgo, sindaco uscente, è in testa; a Lione gli ecologisti hanno stravinto sul sindaco uscente Gérard Collomb, pioniere nel 2017 della marcia vittoriosa di Macron; a Marsiglia, uniti con la sinistra, sempre i verdi minacciano di travolgere la candidata del centro destra, uscita in testa; mentre a Bordeaux il candidato di Macron, terzo classificato, ha indebolito il sindaco uscente del centro destra e macron-compatibile, e rischia ora di pregiudicarne la vittoria.

L’indomani, forte dell’emergenza coronavirus, Macron ha annunciato il rinvio del ballottaggio (rimandato al 21 giugno), e la sospensione delle riforme già avviate, a cominciare da quella delle  pensioni; ha annunciato anche alcune misure concrete per mettere in salvo l’economia, come aiuti alle imprese, “nessuna delle quali, quale che sia la sua dimensione, sarà esposta al rischio fallimento”, ha promesso Macron, come il rinvio del pagamento delle tasse e degli oneri sociali, come la sospensione temporanea delle bollette di acqua, luce, gas e persino degli affitti, per non lasciare nessuno senza risorse, come il sostegno da parte delle banche, con garanzia dello stato sui prestiti sino a 300 miliardi di euro, come i sussidi alla disoccupazione, e il fondo ad hoc per commercianti e artigiani creato dallo stato con la partecipazione delle regioni.

Siamo in guerra, ha insistito Macron, dosando il tono bellicoso con un sorriso pieno di compassione, e ha annunciato la chiusura per un mese delle frontiere di Schengen, e la restrizione della mobilità interna ai soli spostamenti necessari,  misure concertate con gli altri rappresentanti degli stati membri dell’Unione Europea. “Quando avremo vinto, molte certezze e molte convinzioni saranno spazzate via” ha concluso il presidente francese, riprendendo la promessa del cambiamento di rotta. “Non torneremo al giorno prima, saremo moralmente più forti e sapremo trarne le conseguenze. Eleviamoci dunque all’altezza del momento. So di poter contare su di voi”. Resta da capire se, e soprattutto entro quanto tempo, COVID-19 permettendo, riuscirà a trovare i margini per farlo veramente.