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Italia e Francia: il Forum Aspen sul Trattato del Quirinale

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 Rilanciare la cooperazione Italia-Francia – il Trattato del Quirinale è entrato in vigore il 2 febbraio scorso – è importante per noi e per gli assetti interni all’UE. Ma affinché la cosa funzioni, vanno evitate due trappole. La prima è di sopravvalutare l’affinità naturale fra i due Paesi. “I francesi – scriveva Jean Cocteau più di mezzo secolo fa – sono degli italiani di cattivo umore”.  La realtà è che i nostri Paesi sono molto diversi, al di là degli sbalzi d’umore: diversi come impianto costituzionale, capacità amministrativa, struttura industriale, visione del mondo. Ed è riconoscendo la distanza, invece che la finta vicinanza, che si può costruire qualcosa di buono. Se fossimo i cugini naturali che immaginiamo, un Trattato come quello del Quirinale sarebbe perfino superfluo.

C’è una seconda trappola da evitare: l’antica aspirazione a trasformare la vecchia coppia carolingia, per quanto ammaccata, in un vero e proprio triangolo. Per Parigi, il rapporto con Berlino resterà prioritario. L’obiettivo di Roma non può essere quello di mandare a monte un matrimonio consumato ma piuttosto di rafforzare a sua volta la relazione con la Germania, attraverso un piano d’azione congiunto che è da tempo in discussione. Cosa non facile, come ha dimostrato la prima visita di Giorgia Meloni a Berlino; ma possibile, una volta che il nuovo governo italiano ha deciso di giocare la sua partita europea al centro dell’Ue. Cercando poi di collegarvi un paese come la Polonia, il cui peso specifico è stato aumentato di colpo dalla guerra in Ucraina.

 

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Che le cose stiano così lo ha dimostrato la visita congiunta a Washington dei ministri dell’Economia francese e tedesco. Alla vigilia del vertice europeo e su un tema – la risposta all’Inflation Reduction Act (IRA) di Joe Biden – che combina politica industriale, regole della concorrenza e tensioni commerciali. Parigi ha per ora abbandonato l’idea (proposta nella Commissione europea da Thierry Breton) di un nuovo fondo sovrano dell’UE, cui l’Italia era favorevole e la Germania contraria, così come i nordici. E ha sposato la tesi tedesca di un allentamento necessario degli aiuti di Stato. Come ovvio, saranno di nuovo i Paesi con maggiore spazio fiscale a derivarne vantaggi, è già accaduto nell’epoca COVID. Un trade-off possibile, visto il mosaico delle coalizioni in Europa, potrebbe essere quello discusso al Consiglio Europeo: flessibilità sugli aiuti di stato ma anche sull’utilizzo dei fondi comuni erogati (Next Generation EU e fondi di coesione).

Insomma: va preso atto di come funziona realmente l’Unione. L’Europa delle nazioni a cui guarda l’attuale governo italiano è abbastanza vicina alla visione tradizionale della Francia, che oggi parla di “sovranità europea” ma senza rinunciare a coltivare la propria sovranità nazionale. Emmanuel Macron non considera certo Giorgia Meloni una partner naturale (e viceversa); ma il timore di un contagio esterno da Roma (a favore della destra francese) è in qualche modo secondario rispetto alle sfide interne cui si trova di fronte il Presidente francese (esempio: la riforma delle pensioni e i suoi effetti). E quindi: lo spazio per ragionare sugli sviluppi del rapporto bilaterale esiste e va potenziato. Al netto del nodo immigrazione, sarà forse più facile farlo sulla proiezione internazionale dell’Unione, a cominciare dalla regione mediterranea (allargata verso Est fino al Mar Nero, e allungata verso Sud fino al Sahel). La lezione degli anni passati è che quando competono, Francia e Italia perdono entrambe. Devono esserne più consapevoli, soprattutto mentre Parigi sta riducendo le sue ambizioni nazionali, come indicano il ritiro dal Mali e dal Burkina Faso.

In questa chiave, è fondamentale che siano superate le divergenze sulla Libia, dannose per la sicurezza europea: il risultato del contrasto fra Roma e Parigi, sommato al disimpegno relativo di Washington (relativo: si veda la visita recente di Bill Burns a Tripoli), è di avere lasciato ampio spazio, sui due fronti libici opposti, alla Turchia e alla Russia. E’ anche necessario che il nuovo rapporto stabilito dall’Italia con l’Algeria (con nuovi accordi sulle forniture di gas) sia visto in un’ottica di diversificazione energetica europea e contribuisca alla stabilità regionale. E’ infine utile che Italia e Francia ricordino agli altri partner europei che il “fronte Sud” non è un tema residuale ma è parte integrante della sicurezza continentale: esiste un unico fronte dall’Ucraina al Mediterraneo, attraverso i Balcani e il Mar Nero.

 

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Esiste, fra i molti capitoli industriali, il settore della difesa (spazio e cyber inclusi), su cui Roma e Parigi possono fare di più, spingendo anche la Germania a muoversi più in fretta nella svolta intrapresa – con esitazioni e riserve – a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.

Più in generale – come è stato sottolineato al recente Forum bilaterale di Aspen Italia e Aspen France, tenutosi a Palazzo Farnese – il ritorno della guerra in Europa, la crisi energetica e le sfide globali obbligano l’Europa a pensarsi come “puissance”, per usare un termine caro alla Francia, e non solo come spazio economico. Ossia come un attore internazionale, in grado di competere nel mondo con le proprie scelte industriali e con una visione strategica. Capace di combinare, in sostanza, economia e geopolitica, superando il vecchio approccio mercantilista. Parigi insiste, ragionando su questo, sul tema della “autonomia” o della “sovranità” europea. Roma insiste piuttosto, tanto più dopo la guerra in Ucraina, sull’importanza del legame con gli Stati Uniti. Rafforzare il pilastro europeo della NATO, istituzionalizzare il G7, e costruire un’area economica transatlantica, superando le divergenze sull’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti, potrebbe essere lo scenario comune in cui interagire.

Esiste un delicato rapporto fra la spinta verso la “sovranità europea” e la classica sovranità nazionale: una possibile soluzione è lasciare spazio alla seconda (il terreno della legittimazione democratica) fintanto che non ostacoli gli interessi comuni e generali (integrità del mercato interno, sicurezza europea, gestione dell’euro e dell’allargamento). Le intese bilaterali, inclusa una più stretta collaborazione fra Italia e Francia, sono utili se rafforzano questa impostazione.