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Il pragmatico Obama e gli alleati europei

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Barak Obama non ha niente di ideologico ed è, al contrario, un pragmatico di prim’ordine. Con il pragmatismo e una punta di spregiudicatezza è diventato presidente degli Stati Uniti, sfruttando a dovere le proprie qualità carismatiche. Non c’è ragione di credere che non continui a esercitare il pragmatismo quando, fra poco più di due mesi, sarà alla Casa Bianca. Questo aspetto non fa di lui, in modo automatico, un eccellente presidente. Come ha scritto un politologo americano, esistono grandi candidati che non diventano mai grandi presidenti. E Obama è stato senza dubbio uno straordinario candidato. Ora gli serve dimostrare di saper essere anche un ottimo presidente. Ottimo e non semplicemente “buono”, tanto grandi sono le attese che lo circondano.

Come è ovvio, il fatto di essere considerato una sorta di messia laico può nuocergli. Ad esempio, è facile affermare che uno dei primi doveri di Obama – crisi finanziaria a parte – consiste nell’offrire al mondo una prospettiva multipolare. O meglio, un equilibrio planetario fondato su quel policentrismo che risulta ormai un dato acquisito, ma a tutt’oggi privo di regole. Il difficile è riuscire nell’impresa (rifondare l’ordine mondiale, niente meno) senza far esplodere nuovi conflitti latenti. Il passaggio dalla presidenza “unilaterale” di Bush a una nuova idea del ruolo americano nel mondo può essere molto rischioso. Anche per questo molti ritengono che Obama, almeno in una prima fase, si muoverà lungo una linea di sostanziale continuità con la tradizione della politica estera americana.

Lungo tale via, il neopresidente avrà bisogno di interlocutori. Ovunque nel mondo, ma soprattutto in Europa. E qui si vedrà di che stoffa è fatto l’empirismo obamiano. Senza dubbio, su questa sponda dell’Atlantico esistono alcuni potenziali amici della nuova America, magari non tutti in sintonia con le idee che Obama dovrà presto manifestare. Non a caso il francese Sarkozy è stato il primo a fare le congratulazioni all’eletto, all’alba del 5 novembre. Il leader dell’Eliseo è anche presidente di turno dell’Unione e questo spiega la sua sollecitudine. Ma anche se non ricoprisse tale incarico transitorio, c’è da credere che Sarkozy cercherebbe ugualmente un rapporto amichevole, anche sul piano personale, con il nuovo presidente. E’ indotto a questo da un elementare calcolo di convenienza politica, ma anche da un tratto caratteriale: il dinamismo, lo spirito pratico di Obama, caratterizza anche lui. E il fattore umano conterà non poco, nel momento in cui si tratterà di avviare una buona relazione con un personaggio di cui si sa ancora così poco.

Allo stesso modo, quel che vale per Sarkozy vale anche per Silvio Berlusconi. Il nostro presidente del Consiglio è pronto per essere un partner affidabile della nuova amministrazione, proprio come lo è stato della precedente. Anche in questo caso, è una questione di puro pragmatismo. Berlusconi è quasi naturalmente un amico degli Stati Uniti, da sempre. Continuerà a esserlo. Tanto più che l’Italia onora da anni, in forma efficace e corretta, una serie di impegni militari in varie zone del globo, a cominciare dall’Afghanistan e dalla Bosnia. E’ plausibile che Obama sarà contento di incontrare sulla sua strada un amico tanto disponibile. La capacità comunicativa di Berlusconi farà il resto, come è accaduto anni fa con Tony Blair. Anche il premier inglese sembrava avere, sulla carta, qualche difficoltà a intendersi con il premier italiano; viceversa nacque un’amicizia che in breve si trasformò persino in un asse politico fra Londra e Roma. Per quanto sta in Berlusconi, lo stesso accadrà con Obama. Ed è probabile che il neopresidente americano ricambierà lo slancio.

Certo, la sinistra europea, e quella italiana in particolare, si attendono molto dal nuovo inquilino della Casa Bianca. Walter Veltroni è stato il primo politico a intuire le possibilità di Obama e a illustrarne la figura, diciamo così, al pubblico italiano. E’ comprensibile che non sia soddisfatto di assistere all’abbraccio berlusconiano. Ma sono le leggi della politica. A medio termine è probabile che la nuova era obamiana possa contribuire a modificare gli equilibri politici in Europa. “Il vento è cambiato laggiù, cambierà anche qui” sostiene il segretario del Pd. In effetti gli anni Novanta di Clinton coincisero con i sogni di “terza via” e con l’ascesa al governo, in diversi paesi europei, di leader espressione della sinistra riformista.

Ma non esiste certezza sui tempi di una simile operazione. E nemmeno sull’interesse di Obama nel favorirla. Di sicuro, il nuovo presidente ha bisogno oggi di interlocutori stabili e quindi tratterà con chi guida i governi in carica. Poi si vedrà. Ma Veltroni non ha torto sul punto di fondo: se Obama sarà davvero una sorta di nuovo Roosevelt, i riflessi della sua azione si rifletteranno presto o tardi sulla vecchia Europa. Ma prima dovrà sbrogliare parecchi nodi intricati e dimostrare di essere un grande presidente, oltre che un eccellente candidato.