Il fattore energetico verso l’inverno ucraino
Mentre sul campo la guerra in Ucraina vede i russi alle porte di Pokrovsk e i soldati di Kiev decisi a tenere l’area occupata con l’incursione nel Kursk, nelle retrovie si è aperto un fronte meno appariscente di quello militare, dove la resistenza non si conta in termini di vittorie e sconfitte. Si tratta della corsa contro il tempo delle aziende energetiche ucraine prima dell’arrivo dell’inverno.
L’Ucraina al gelo
In un Paese dove nei mesi freddi le temperature scendono anche sotto i -20°, avere la possibilità di riscaldarsi è fondamentale. Se gli abitanti delle zone rurali possono ancora contare sulle vecchie stufe di ghisa alimentate a legna o a carbone, nei palazzi delle aree urbane è molto più complesso trovare una soluzione al sicuro taglio della fornitura di energia. Per ora i vertici di Dtek e Ukrenergo, le due principali aziende ucraine del settore elettrico, hanno ipotizzato ufficiosamente l’istituzione di un piano di fornitura intermittente in modo da garantire a tutti almeno «quattro ore di corrente al giorno». Il che vuol dire che lo sforzo delle amministrazioni dovrebbe essere volto a non abbandonare gli abitanti delle regioni di Donetsk, Kharkiv e Sumy (ovvero le tre a ridosso della frontiera con la Russia) mentre nell’ovest del Paese i negozi sono aperti, i ristoranti e i locali hanno ripreso a funzionare e la vita quotidiana, pur con tutte le difficoltà derivanti dal conflitto, continua.
Nei territori ucraini a ovest del fiume Dnipro, infatti, gli attacchi alle infrastrutture energetiche sono stati meno frequenti e massicci, dando spesso il tempo al gestore della rete di correre ai ripari, seppure con soluzioni temporanee. A queste stesse aree sono stati destinati la maggior parte dei generatori di corrente (inclusi quelli industriali) forniti dagli alleati e dalle ong e, inoltre, la vicinanza agli stati europei ha permesso, grazie all’intercessione di Bruxelles, di ottenere rapidamente pezzi di ricambio. Per i vertici di Kiev risulta evidente che mantenere l’ovest attivo e produttivo è un modo per tenere il tessuto economico ucraino in vita. Nell’est riscontriamo la situazione opposta: la vicinanza al fronte espone le città ucraine a bombardamenti costanti che oltre a minare le infrastrutture energetiche, distruggono le infrastrutture civili aumentando le difficoltà di intervento. In alcuni casi è diventato inutile (ammesso che Kiev ne abbia la possibilità) intervenire sugli snodi della rete danneggiati perché il nemico li bombarda nuovamente e in molti casi si rischia di buttare al vento milioni di euro di materiali, oltre alla vita dei tecnici che ci lavorano. Per questo oramai la popolazione delle regioni orientali si è rassegnata a un inverno da incubo.
Soltanto 4 ore su 24 sarebbero comunque un misero palliativo in una stagione in cui inizia a fare buio il pomeriggio presto e in aree dove si è costretti a restare a casa o nei rifugi per ripararsi dai bombardamenti russi. Niente corrente significa anche l’impossibilità di ricaricare gli smartphone, che spesso sono l’unico strumento per rimanere informati su quanto succede nel resto dell’Ucraina o per parlare con i propri cari lontani nelle lunghe ore scandite dalle sirene anti-aeree. Senza contare la stanchezza derivante da 31 mesi di guerra per chi sa che anche quest’inverno il grosso delle operazioni militari saranno concentrate a poca distanza da casa.
Lo scontro per Pokrovsk
La cittadina di Pokrovsk, nel Donetsk, è l’epicentro di questa fase del conflitto. È qui che si svolgerà la battaglia che deciderà il futuro prossimo della guerra in Est Europa e, probabilmente, anche gli scenari successivi. L’importanza di questo centro risiede in due elementi: si tratta di un importante centro strategico dal quale passano i rifornimenti per le truppe ucraine in prima linea ed è situata al crocevia di tre autostrade che potenzialmente potrebbero permettere ai russi di avanzare sia verso il nord del Donetsk (ancora in mano ucraina) e puntare verso la roccaforte Kramatorsk, sia verso ovest. Si consideri che la strada che da Pokrovsk porta alla città di Dnipro e al fiume omonimo attraversa una lunga pianura di 180 km senza quasi nessun riparo naturale. Difenderla sarebbe difficilissimo.
Al momento le forze russe stanno cercando di stringere in una morsa Pokrovsk da nord e da sud-est per tagliarla fuori dalla linea dei rifornimenti. L’artiglieria nemica ha distrutto tutti i ponti che la collegavano con le principali vie di comunicazione e ora restano solo alcune stradine sterrate esposte al rischio di bombardamenti improvvisi. Secondo i servizi segreti ucraini, il presidente Putin ha ordinato ai suoi generali di conquistarla entro l’autunno e, anche se l’indiscrezione fosse falsa, è quasi scontato aspettarsi un primo assalto sulla città entro fine mese. Capita spesso che non solo Pokrovsk, ma anche i centri limitrofi, restino senza corrente per ore. Persino a Kramatorsk e Slovjansk, i principali centri del Donetsk nelle retrovie ucraine, che al momento sono distanti dalla linea dei combattimenti, non è raro restare improvvisamente al buio, anche per un giorno intero.
Poco più a nord c’è la regione di Kharkiv, condannata a soffrire fin dal 24 febbraio 2022 per la sua posizione geografica, alla frontiera con la Russia. Nonostante se ne senta parlare molto meno rispetto ai mesi scorsi, il capoluogo omonimo, che è la seconda città d’Ucraina per numero d’abitanti, un milione e mezzo prima dell’invasione, continua a essere bersagliato dall’artiglieria russa senza sosta e in molti quartieri la mancanza di corrente è una drammatica realtà che si trascina da oltre un anno ormai. L’operazione del Cremlino che la scorsa primavera aveva provato a cogliere impreparati gli ucraini si è arenata in fretta e non ha prodotto sostanziali mutamenti sulla linea del fronte, ma l’avanzata verso il villaggio di Lyptsi ha permesso all’artiglieria russa di continuare a colpire Kharkiv giorno e notte anche con munizioni di medio calibro.
Infine c’è Sumy, da cui gli ucraini sono partiti per invadere la regione di Kursk. Prima che la manovra delle truppe di Kiev scattasse, questa regione è stata bombardata pesantemente per mesi, tanto da far supporre che i russi stessero preparando il terreno per una nuova invasione di terra. Ora che i reparti ucraini si trovano all’interno del territorio russo, dall’altra parte della frontiera, Sumy assume un’importanza strategica fondamentale per i piani bellici dello Stato maggiore ucraino, ma nelle retrovie la mancanza di corrente, gas e, spesso, acqua è ormai un dato di fatto.
La Russia e il generale Inverno
Kiev, le regioni centro-meridionali e quelle costiere dell’Ucraina vivono fasi alterne, scandite dai bombardamenti russi. Capita di avere anche due o tre settimane di relativa quiete per poi ripiombare nelle difficoltà e al buio. Ora che gli ucraini hanno colpito il grande deposito di munizioni russo di Toropets, nella regione di Tver, sono in molti ad aspettarsi una dura reazione sulla capitale. Ma in questi casi non si può far altro che attendere e sperare che il timore fosse esagerato.
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In ogni caso non si tratta di problemi recenti: i raid russi sulle infrastrutture energetiche ucraine proseguono da due anni ormai. Da quando nel 2022 Sergei Surovikin, l’ex generale comandante delle truppe russe in Ucraina fatto allontanare da Putin forse per la troppa vicinanza alla Wagner, diede ordine di colpire in modo massiccio e continuativo centrali elettriche e idroelettriche, sottostazioni, trasformatori, strutture di pompaggio dell’acqua e snodi di scambio della rete ucraina. Alle soglie del terzo inverno la capacità di produzione energetica di Kiev si è ridotta drammaticamente e oltre la metà dell’infrastruttura di trasmissione dell’energia oggi è inutilizzabile. Gli attacchi missilistici hanno decimato l’intera rete ad alta tensione da 750 kv, utilizzata per distribuire l’elettricità dalle centrali nucleari al resto del Paese. Quasi tutte le centrali termiche e idroelettriche sono state attaccate.
Alla fine di aprile 2023, la capacità termica effettiva ucraina era inferiore del 65% rispetto ai 17,1 GW disponibili all’inizio del 2022 e la capacità idroelettrica era diminuita del 29,8% rispetto ai 6,7 GW dell’anno precedente. Poi, nel 2023 la diga di Nova Kakhovka è stata fatta brillare e anche la capacità idroelettrica è diminuita di molto. L’esplosione ha inoltre messo fuori uso il collegamento alla rete elettrica della centrale nucleare di Zaporizhzhia, aumentando le preoccupazioni per la sicurezza dell’impianto che ha bisogno di essere alimentato costantemente. Infine, la serie di raid russi di fine marzo 2024 alle infrastrutture energetiche ucraine ha colpito circa 20 stazioni e sottostazioni elettriche, oltre a strutture sotterranee di stoccaggio del gas e diverse centrali elettriche.
Secondo l’amministratore delegato di Ukrhydroenergo, Igor Syrota, oltre il 20% della capacità di produzione di energia elettrica dell’Ucraina è stata messa fuori uso. Si stima che oltre un miliardo di dollari di danni siano stati causati solo tra il 22 e il 24 marzo. Nel frattempo, la società Dtek, che gestisce parte della rete, ha investito tutti i fondi disponibili e parte di quelli ricevuti dall’UE per ripristinare le centrali termiche danneggiate dai bombardamenti russi, come ha spiegato il direttore esecutivo del gruppo, Dmytro Sakharuk: «abbiamo perso il 90% della capacità elettrica della compagnia. Ora stiamo investendo 4 miliardi di dollari per recuperare».
Lo scorso aprile un bombardamento russo ha distrutto la centrale termica di Trypillia, il principale fornitore di energia elettrica degli oblast di Kiev, Zhytomyr e Cherkasy. ll ministro dell’Energia ucraina Herman Halushchenko ha dichiarato che «ad oggi abbiamo già perso circa 8 gigawatt di capacità nel sistema. Se questo fosse accaduto in qualsiasi altro Paese, ci sarebbe stato un blackout totale». Ma il ministro ha dimenticato di citare i miliardi iniettati nel sistema ucraino dagli alleati e gli sforzi dell’Unione Europea per far arrivare elettricità dalla Moldavia nel più breve tempo possibile. Oltre a fornire migliaia di generatori che però al momento sono concentrati nelle regioni centro-occidentali e servono per mandare avanti la vita nelle retrovie. In Donbass è raro trovare generatori e, per questo chi può si prepara già per il freddo perché nell’incertezza più totale.
Come detto, si è trattato di uno stillicidio pianificato a tavolino dai generali russi, ma già dai primi giorni della guerra la situazione per l’Ucraina si era subito complicata. La perdita della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, aveva privato Kiev del 44% della capacità nucleare pre-bellica. Senza contare che attualmente oltre il 30% delle capacità di produzione di energia solare dell’Ucraina e il 90% delle capacità eoliche del Paese rimangono nei territori occupati e le miniere di carbone antracite, l’unica risorsa naturale di cui abbonda il territorio ucraino, sono passate sotto il controllo separatista da diversi anni.
Il contesto politico e l’Europa
In questo contesto, che i vertici ucraini stessi non hanno esitato a definire «estremamente preoccupante», il settore energetico di Kiev è stato scosso anche da questioni politiche che hanno incrinato i rapporti tra il presidente Zelensky e alcuni dei donatori e dei creditori internazionali. Poco prima dell’ultimo rimpasto di governo, nel corso del quale è stato allontanato anche il famoso ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, il presidente ha deciso di rimuovere una delle figure chiave a cui era affidata la gestione dell’emergenza: Volodymyr Kudrytskyi, capo di Ukrenergo, l’operatore energetico nazionale. Non è chiaro il perché della decisione, come non lo era per le altre nomine, tuttavia sappiamo che l’UE, la International Finance Corporation (parte della Banca Mondiale) per l’Europa e il direttore generale Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo avevano chiesto alla Verkhovna Rada di ripensarci inviando una lettera ufficiale. Queste istituzioni consideravano Kudrytskyi una figura capace e affidabile, anche se in passato una delle tante indagini per corruzione che scuotono costantemente il governo di Kiev ha lambito anche lui. Ma Zelesnky non ha ascoltato reclami e ha confermato l’allontanamento del funzionario senza addurre particolari motivazioni.
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Ora che le temperature iniziano ad abbassarsi e le notti iniziano a essere fresche l’apprensione aumenta. Mosca ha intenzione di usare il freddo come arma contro la popolazione ucraina. Mettere la capacità di resistenza del Paese in ginocchio e fare in modo che siano i civili stessi a chiedere a Zelensky di porre fine al conflitto. Inoltre, senza corrente anche il sistema produttivo entra in crisi e i problemi si riflettono a cascata fino al fronte. Per questo gli alleati europei hanno deciso di stanziare dei fondi straordinari (almeno 160 milioni di euro) per far fronte ai problemi più urgenti e altri fondi strutturali pluriennali per permettere al Paese di iniziare l’opera di ricostruzione delle infrastrutture. Questo piano prevede che dalla Moldavia e dalla Polonia si creino due raccordi che trasmettano l’energia europea direttamente all’Ucraina. Ma si tratta di lavori lunghi che rischiano di essere vanificati a ogni istante da un bombardamento nemico. In ogni caso due settimane fa la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si è recata a Kiev proprio per ribadire che l’UE si impegnerà concretamente per aiutare l’Ucraina a superare l’inverno.
Dal canto suo il governo ucraino si prepara a resistere costi quel che costi per tenere i territori nel Kursk, per tenere sopite eventuali manifestazioni di dissenso, per non collassare nel Donetsk. Ma i civili nell’est sono stanchi e sono sempre di più quelli che si chiedono: per quanto ancora?