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I paradossi brasiliani tra economia e politica

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Con l’impeachment contro Dilma Roussef il Brasile cambia volto. Dopo il voto alla Camera del 18 aprile, la Borsa reagì in modo instabile. Da una parte la notizia era abbastanza scontata, dall’altro la volatilità del mercato rimane alta e le previsioni per il mercato finanziario difficili da produrre. Ma mentre la situazione politica rimane aperta, dipendente com’è da variabili di partito, personali, giudiziarie e sociali – che descrive per noi qui Paolo Manzo – dal punto di vista economico e del businessi alcune cose sono già chiare.

Come ben delineato in un recente articolo di Giuseppe Timpone, le stime di crescita del Fondo Monetario Internazionale, riportate dal World Economic Outlook, sono davvero una stangata per il Brasile che è atteso ora in recessione del 3,5% quest’anno, dopo che la sua economia si sarebbe contratta del 3,8% lo scorso anno; il pil non tornerebbe poi a salire nemmeno l’anno prossimo, restando stagnante.

Se queste stime del FMI fossero confermate, per il Brasile sarebbe la recessione peggiore dal 1901 perché è da allora che non si registra un calo del pil del 3% dopo un anno di recessione. Anche le prospettive dell’inflazione non sembrano confortanti, come ricorda il Report della Banca Centrale brasiliana, che l’ha vista attestarsi per l’anno in corso al di sopra del 6,5%, cioè il limite massimo fissato dalle autorità monetarie come accettabile.

Per il Governatore della Banca Centrale, Alexandre Tombini, si tratta di fare il triplo salto mortale, dovendosi barcamenare tra una valuta al collasso, un’inflazione fuori controllo e un’economia in piena recessione.

Desta dunque interesse la reazione del tessuto produttivo brasiliano a una situazione politico-economica tanto grave. E in effetti, anche se la maggior parte degli imprenditori non vede molti vantaggi nel posizionarsi pubblicamente nella battaglia politica attuale, sicuramente la votazione sull’impeachment è stata importante, perché al di là dei rispettivi schieramenti, costituisce comunque un momento in cui poter tornare a prendere delle decisioni: dunque, un’assunzione di responsabilità delle istituzioni rappresentative di fronte a una situazione grave. Ciò in un contesto politico finora totalmente fermo e con una situazione economica, come si è visto, che è  invece caratterizzata da un’estrema volatilità, in cui è molto difficile fare le scelte giuste.

Poco prima del voto, come ricordato su Exame, vari imprenditori (fra cui il direttore finanziario della compagnia aerea Gol, Edmar Prado Lopes, e il direttore della più grande impresa di shopping centers Iguatemi, Cristina Betts) avevano affermato che, indipendentemente dall’esito della procedura di impeachment, l’economia avrà bisogno di un trattamento lungo e di rimedi amari, ma che in ogni caso la soluzione della crisi politica più immediata potrà aumentare la stabilità della moneta brasiliana, il real, con importanti benefici per il quadro economico. Ad esempio, in questo momento ci sono varie imprese che hanno difficoltà a fare la loro pianificazione finanziaria non essendo in grado di prevedere questi flussi di cambio così repentini.

Rimane comunque il paradosso brasiliano di un Paese che, grazie alle politiche sociali partite con il presidente Fernando Henrique Cardoso e messe in atto dai due governi Lula tramite i vari progetti sociali (Fame Zero, Bolsa Familia, Luz para todos ecc.) aveva ottenuto risultati di grande portata. 24 milioni di persone sono uscite dalla miseria, la scolarizzazione ha raggiunto il 90% dei bambini, le scuole tecniche si sono moltiplicate e oltre 10 milioni di cittadini hanno beneficiato dei programmi di qualificazione professionale.

L’eredità principale dei due mandati di Lula è proprio l’inclusione di grandi fasce della popolazione che in precedenza erano rimaste ai margini dei consumi e della società, come anche del mondo del lavoro legale, dei sistemi scolastici, del credito, e della stessa politica; un’eredità che Dilma non è evidentemente riuscita a coltivare e consolidare. Tutto questo, tristemente, è stato spazzato via dalla crisi economica mondiale e dall’incredibile dimensione del fenomeno della corruzione nel Paese. Il fatto che a riempire le piazze per chiedere le dimissioni di Dilma Roussef siano proprio le persone beneficiate dall’ascensore sociale offerto dalla politica di Lula – oggi deluse e frustrate – conferma il paradosso.

È da sperare comunque che, a fronte di questa crisi molto profonda, alcuni problemi tipici del Paese, come la scarsa qualità dell’istruzione e della formazione professionale, la criminalità e le carenze infrastrutturali (specialmente nei trasporti, che non a caso scatenarono grandi proteste prima e durante i mondiali di calcio del 2014) siano finalmente presi nella giusta considerazione. Affrontare seriamente questi nodi aiuterà il Paese a migliorare la sua struttura economica, trasformandola in un sistema di trasformazione e non solo di vendita di risorse naturali.

Il contesto globale ha naturalmente avuto un ruolo importante sia nell’ascesa del Brasile come economia “emergente”, sia ora nella sua fase di seria difficoltà. In particolare, è da ricordare che la crisi cinese è una delle grandi cause della situazione attuale: la diminuzione della vendita dei suoi prodotti al colosso asiatico sta incidendo non poco. Un Paese più aperto al resto del mondo, e che aspiri a diventare fortemente competitivo, deve anche accettare la realtà di una stretta interdipendenza con i grandi trend internazionali.