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I fabbricanti di auto in cerca di futuro – anche nel settore della difesa

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Il mese di marzo 2022 conferma la tendenza dei consumatori europei a spendere il loro reddito disponibile in porzioni sempre minori per l’acquisto di quel bene di consumo che tanto ha caratterizzato l’immagine individuale e collettiva dello sviluppo socioeconomico degli ultimi cento anni: l’automobile.

Le ultime rilevazioni dell’Associazione dei costruttori europei di automobili (Acea) mostrano il calo inarrestabile delle immatricolazioni di nuove vetture in tutto il continente europeo, intendendo per Europa i paesi appartenenti alla UE, al Regno Unito e all’Associazione europea di libero scambio (Aels).

A prescindere dalla specifica casa automobilistica e indipendentemente dal tipo di propulsione – a combustione interna, elettrica o una loro combinazione –, il mercato dell’automobile europeo evidenzia per il primo trimestre dell’anno un calo delle vendite pari al 10,6%, mentre per il solo mese di marzo un calo del 18,8%, rispettivamente agli stessi periodi dell’anno precedente.[1]

Veicoli di fronte allo stabilimento Stellantis di Melfi

 

Tra fattori congiunturali e il segno dei tempi

Il quadro diventa ancora più preoccupante, per questo comparto industriale, se il confronto è effettuato con il 2018, vero anno precedente la crisi pandemica per Covid-19: rispetto a esso il primo trimestre di quest’anno riporta una riduzione di auto nuove vendute di 1.769.854 unità, cioè il 35% complessivo, equivalente a una perdita costante del 10% annuo, le cui ragioni sono molteplici e complesse, alcune congiunturali altre strutturali.

La tendenza comune è a focalizzarsi sulle ragioni congiunturali: nella fattispecie l’emergenza pandemica, l’interruzione delle catene di fornitura globali, per esempio per la penuria di semiconduttori, l’invasione russa dell’Ucraina, l’aumento dei prezzi dei carburanti e altre ancora – tutte ragioni che, per definizione, si risolverebbero per via naturale una volta passata la congiuntura sfavorevole o anticiclica, al pari, per alcuni, del passaggio di un temporale estivo.

 

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Pochi, invece, si concentrano sulle ragioni strutturali del declino dell’automobile, ovvero quei motivi legati a un cambiamento radicale delle abitudini di uso di oggetti quotidiani, in particolare delle giovani generazioni, le quali vedono l’automobile come un bene costoso, che ingorga le città, inquina l’ambiente e dulcis in fundo spreca ingenti quantità di risorse naturali: in effetti, un motore a combustione interna è una macchina termica con un rendimento energetico che arriva al massimo al 18-20%, contro il ben oltre 80% di un generico motore elettrico.

Secondo un sondaggio della Università Ca’ Foscari di Venezia condotto su più di un migliaio di persone con età inferiore ai trenta anni, due persone su dieci non sono interessate all’acquisto di un’automobile, altrettante sei ne farebbero volentieri a meno se i trasporti pubblici fossero più efficienti e, comunque, favorirebbero un’auto elettrica o ibrida. Si tratta di orientamenti riscontrati in maniera pressoché simile in altri paesi europei e nordamericani.[2]

 

La trasformazione dell’industria verso l’elettrico

Se il mercato dell’automobile europeo, cioè l’insieme delle persone che compra le autovetture in Europa, è in difficoltà, altrettanto vale per l’industria europea dell’automobile. L’insieme delle imprese che produce autovetture in Europa – con annesso il gigantesco indotto che fornisce materiali come metalli, vetro e plastica, come pure le macchine per trasformare tali materiali in componenti, fino a chi svolge tutti i servizi a esse collegate, come la distribuzione e l’assistenza post-vendita – attraversa un momento cruciale della sua storia.

Nella sola Unione Europea, l’industria automobilistica fornisce posti di lavoro diretti e indiretti a 13,8 milioni di persone, le quali rappresentano il 6,1% dell’occupazione totale, di cui 2,6 milioni lavorano nella produzione diretta di autoveicoli, pari all’8,5% dell’occupazione nel settore manifatturiero, per un valore economico corrispondente al 7% dell’intero prodotto interno lordo comunitario e un contributo alle attività di ricerca e sviluppo (R&S) stimato a circa 60 miliardi di euro pari a un terzo della spesa complessiva, rappresentandone così il maggiore investitore privato.[3]

In uno studio eseguito dalla Friedrich Ebert Stiftung, una fondazione politica tedesca con sede a Bonn, da un confronto tra un motore a combustione interna e i relativi organi della trasmissione della potenza alle ruote –come pistoni, bielle e cilindri – e un motore elettrico alimentato con batterie è emerso che il primo è composto di circa 1.400 componenti mentre il secondo di appena 200 elementi, un rapporto di 7 a 1.[4]

Ford Motor Company, casa automobilistica statunitense con sede in Michigan, stima che l’assemblaggio di un’auto elettrica richiederà il 30% di tempo in meno rispetto a un’automobile con motore a scoppio e la conseguente diminuzione dei componenti implicherà una riduzione del 50% degli spazi.[5]

Mark Wakefield, co-direttore della sezione automotive di AlixPartners, società di consulenza con sede a New York, afferma che per l’assemblaggio di un motore a combustione interna sono richieste 9,2 ore di manodopera, mentre per un motore elettrico appena 3,7 ore, in sostanza una riduzione del 60% del tempo complessivo di montaggio.[6]

La costruzione di motori a combustione interna è stata una parte fondamentale del processo produttivo delle case automobilistiche europee per oltre cento anni e, in un arco di tempo relativamente breve, più di un secolo di esperienza si scioglierebbe come neve al sole, e centinaia di migliaia di posti di lavoro scomparirebbero.

Tuttavia, una minaccia è anche un’opportunità per progredire, e ciò che conta è un bilancio netto positivo tra la nuova occupazione generata dall’elettrificazione dell’economia e quella persa per la sovracapacità produttiva che si creerebbe nell’intera filiera logistico-produttiva dell’automobile.

Molti ritengono che questo bilancio sia alla fine positivo, inclusa l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ma affinché ciò avvenga è necessario innanzitutto creare le opportunità favorevoli per riconvertire quella parte in eccesso dell’industria dell’auto risolvendo le ragioni strutturali del cambiamento. Queste, a differenza delle ragioni congiunturali, si affrontano solo con un preciso e congiunto intervento di politica industriale concepito per rafforzare l’economia europea e migliorare la sua capacità di realizzare il proprio potenziale di crescita in modo equilibrato.[7]

 

La riconversione possibile

L’invasione russa dell’Ucraina porta nuovamente al centro del dibattito politico la spinosa questione della difesa comune europea, questa volta in termini fattuali di distruzione e morte, con un alto rischio di aumento dell’impiego di armi oltre i modelli convenzionali e dell’estensione della zona di guerra oltre i confini ucraini.

Facendo di necessità virtù, l’industria automobilistica, avendo molte affinità e intersezioni con l’industria della difesa, riassorbirebbe con relativa facilità l’eccesso di capitale umano, tecnologico e finanziario generato dal passaggio all’auto elettrica convertendo le proprie strutture in luoghi per la progettazione e la produzione di armamenti destinati alla difesa, evitando così la sparizione di una parte importante di un’industria, che genera beni e servizi per un valore stimato di un trilione di euro, senza includere i costi sociali da essa derivanti.

La riconversione potrebbe così consistere nel riorganizzare il proprio ecosistema industriale progettando e producendo equipaggiamenti di difesa molto prossimi agli attuali manufatti dell’industria automobilistica come carri armati, veicoli blindati, mezzi anfibi, camion, piccoli autocarri e cannoni, in base a specifici contratti emessi dalle autorità comunitarie in funzione di una difesa estesa del proprio territorio.

Tentando un primo calcolo approssimativo della dimensione economica di un investimento necessario per rafforzare congiuntamente il sistema di difesa europeo allo scopo di respingere un’invasione russa dal fronte orientale, uno studio condotto dall’Istituto Internazionale per gli studi strategici, un centro di ricerca di affari internazionali a Londra, mostra che la spesa complessiva oscillerebbe tra i 285 e i 360 miliardi di euro ai valori attuali, una cifra nient’affatto inaccessibile, anzi dello stesso ordine di grandezza di un fondo come il Next Generation EU, da spendere in un periodo di venti anni.[8]

Ponendo le capacità industriali e tecnologiche europee per realizzare una simile struttura difensiva in relazione con l’industria automobilistica e considerando solo i mezzi di combattimento terrestri, cioè i mezzi più vicini alla produzione automobilistica, sempre secondo lo studio londinese, la spesa risulterebbe di 150-195 miliardi di euro, costituita essenzialmente di missili terra-aria, carri armati, veicoli corazzati e contraeree.

Supponendo che nel corso dei prossimi venti anni il passaggio all’auto elettrica generi nell’industria automobilistica una sovracapacità logistico-produttiva del 50%, usando per semplicità di calcolo solo delle pure proporzioni aritmetiche, considerando che l’industria dell’automobile europea composta di soli produttori europei vale circa 330 miliardi, di cui la quasi totalità rappresentata dall’industria tedesca (Volkswagen, Mercedes-Benz, BMW) e dall’industria italo-francese (Stellantis, Renault),[9] risulta che la spesa in equipaggiamenti di difesa terrestre corrisponde proprio a circa il 50% del valore di mercato dei produttori di automobili europei. Come a dire che la sovrapposizione, con i dovuti accorgimenti, è possibile o potrebbe essere possibile, senza la necessità che questi rami di impresa passino di proprietà a organizzazioni come Krauss-Maffei Wegmann, Nexter oppure Leonardo, quanto piuttosto integrandosi con esse per la realizzazione di specifici progetti.

 

Alla ricerca del primo passo

Un primo progetto che coinvolgerebbe le strutture logistico-produttive dell’industria automobilistica in eccesso rispetto all’attuale capacità a seguito del passaggio all’auto elettrica è la realizzazione di un carro armato europeo – di cui, in verità, si parla da almeno un decennio.

Finora vi sono state valutazioni divergenti tra chi ritiene, come la Francia, che debba essere un veicolo capace di muoversi velocemente su più terreni in Europa e all’estero, e chi ritiene, come la Germania, che debba essere invece uno strumento principalmente adatto a combattere sui terreni del fianco orientale europeo ipotizzando come scenario più probabile uno scontro convenzionale con la Russia. I diversi punti di vista hanno portato il progetto in una fase di stallo, ma l’invasione russa dell’Ucraina non lascia ora dubbi su quale debba essere la linea da seguire.

Nel giugno 2018, sotto gli auspici dei propri governi nazionali, la tedesca Krauss-Maffei Wegmann e la francese Nexter, due imprese leader nella produzione di armamenti e meccanica pesante, annunciarono lo sviluppo congiunto di un nuovo carro armato da combattimento per sostituire gli attuali carri Leopard 2 e Leclerc entro il 2040.[10]

Data la grave situazione in cui versa il confine orientale europeo e vista la migliorata cooperazione tra gli Stati dell’UE almeno nei primi mesi dopo l’invasione dell’Ucraina, il progetto trarrebbe grande vantaggio dal coinvolgimento di altri Paesi: più precisamente, di un altro grande attore europeo, l’italiana Leonardo, attraverso la sua controllata Oto Melara. Da Leonardo arriverebbe un importante contributo per riportare il progetto in carreggiata, anche considerando che le forze armate italiane intendono sostituire l’attuale carro armato Ariete con una versione più adatta ai nuovi scenari.

L’integrazione tra l’industria della difesa europea con le filiere, le catene di assemblaggio e le piattaforme modulari dei produttori europei di automobili rappresenta una delle più strategiche e innovative scelte di politica industriale che l’Europa abbia mai conosciuto, mantenendo il grande capitale umano e tecnologico posseduto dall’industria dell’automobile a rischio di esubero per la transizione ecologica all’interno dell’industria della difesa, destinata giocoforza a svilupparsi e a estendersi, generando valore sociale ed economico per le future generazioni di europei, come pure fungere da ulteriore catalizzatore per il processo di integrazione europeo.

Prima per il crollo del muro di Berlino e poi per lo scioglimento del Patto di Varsavia, almeno un paio di generazioni hanno inconsapevolmente avuto il privilegio di nascere e crescere in Paesi che credevano di essere riusciti a eliminare definitivamente dal loro continente la guerra, e con la fine poi di quella guerra chiamata “fredda”, perfino il terrore della guerra. L’invasione della Russia contro l’Ucraina, un tempo entrambe parte di una stesso Stato apparentemente monolitico, ci ha una mattina bruscamente svegliati ricordandoci che alla fratellanza dei popoli non siamo ancora arrivati.

 

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Gli antichi romani, ai quali il pragmatismo non è mai mancato, avevano ben chiaro in mente che uno dei mezzi più efficaci per assicurare la pace è l’essere armati e in grado di difendersi. – Si vis pacem, para bellum. La regola vale per tutti, anche per quei paesi che si definiscono neutrali, poiché un paese che si definisce neutrale può essere invaso tanto quanto un paese che si definisce di parte.

Parafrasando Robert Schumann, la pace in Europa può essere salvaguardata solo con sforzi creativi, proporzionali alle opportunità industriali e tecnologiche che si presentano.[11]

 

 

 


Note:

[1] Passenger car registrations: -12.3% first quarter of 2022; -20.5% in March, ACEA, 20 aprile 2022, tinyurl.com/54w85fps

[2] Young people increasingly uninterested in car ownership, CAMI, Ca’ Foscari’s Department of Management, 22 dicembre 2021, tinyurl.com/y58cypx4

[3] Automotive industry, Commissione europea, marzo 2022, tinyurl.com/42hnx4aw

[4] Zukunft der deutschen Automobilindustrie, Friedrich Ebert Stiftung, Dicembre 2010, tinyurl.com/bmed7hez

[5] They don’t need us anymore’: Auto workers fear electric unrest, Bloomberg, 27 settembre 2019, tinyurl.com/2p9c2kje

[6] Electric vehicles pose ‘real risk’ for autoworkers, with fewer parts — and jobs — required, NBC News, 3 ottobre 2019, tinyurl.com/4m8sz7zd

[7] The future of work in the automotive industry, International Labour Organization, 2020, tinyurl.com/2p9ekpdt

[8] Defending Europe: scenario-based capability requirements for NATO’s European members, The International Institute for Strategic Studies, aprile 2019, tinyurl.com/5fcmykf8

[9] Largest automakers by market capitalization, CompaniesMarketCap.com, tinyurl.com/4ymn7rju

[10] KMW and Nexter join forces on main ground combat system, Nexter Group, 20 giugno 2018, tinyurl.com/2p93cfke

[11] Dichiarazione di Schumann maggio 1950, Unione Europea, tinyurl.com/2p8ewmsz