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Fatti non foste a viver con il virus

Crescita, lavoro, sostenibilità: le lezioni della pandemia

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La pandemia del coronavirus ci ricorda l’importanza della sostenibilità: sanitaria, ambientale e sociale. Quasi ovunque il virus ha messo in profonda crisi prima il sistema sanitario e poi quello economico. La rapida diffusione del contagio ha fatto emergere la fragilità dell’uomo, che forte del progresso medico-scientifico si riteneva invincibile, ma anche quella di un sistema economico caratterizzato da forti interdipendenze ed eccessiva globalizzazione.

Senza sostenibilità sanitaria non ci può essere crescita economica. La difficoltà nel curare e contenere il contagio – che ha raggiunto 188 paesi – ha avuto immediate conseguenze economiche: crisi delle supply chain, chiusura delle fabbriche, drastica riduzione nell’offerta di lavoro. Allo shock dell’offerta segue ora quello dal lato della domanda, con il crollo di consumi delle famiglie e investimenti delle imprese. Il risultato è una recessione di tipo simmetrico. E una forte consapevolezza che, in un contesto di catene globali del valore, basta che uno shock colpisca uno degli anelli della catena affinché l’impatto diventi sistemico.

 

Quanto accaduto non segna la fine della globalizzazione ma ne rende evidenti eccessi e limiti. E accelererà la tendenza alla deglobalizzazione economica, caratterizzata da reshoring di produzioni in settori considerati strategici – come farmaceutica, tecnologia, telecomunicazioni – maggiore attenzione nelle scelte di delocalizzazione internazionale, catene del valore più corte, affidabili e prossime ai mercati di sbocco.

L’emergenza sanitaria ha anche riaffermato l’importanza della sostenibilità ambientale. E’ evidente il collegamento tra diminuzione di biodiversità – a sua volta conseguenza d’inquinamento e cambiamento climatico – e diffusione di virus animali tra gli uomini. E’ fondamentale che la crescita economica rispetti i vincoli di sostenibilità ecologico-ambientale. Peraltro Covid-19 è la seconda grande epidemia globale – dopo la Sars nel 2002 – che ha origine in Cina nel giro di pochi anni. Ciò fa sorgere seri dubbi sulla sostenibilità della strategia di Pechino di perseguire un espansionismo esasperato, che vuole portare nell’economia di consumo 1,4 miliardi di persone a tappe forzate, fa un uso smisurato di risorse e stravolge l’ambiente naturale.

Maggiore consapevolezza in tema di sostenibilità aumenta attenzione e sensibilità per i temi ambientali, diffusione di pratiche virtuose di economia circolare e sharing economy, spinta a riscoprire valori e risorse del territorio. Vi è però anche il rischio che, a fronte dell’emergenza economica e del timore delle possibili conseguenze sociali, la green economy non sia più considerata prioritaria. Non è scontato che nell’agenda politica post-pandemia, complice anche crollo del prezzo del petrolio, l’investimento di risorse verso un sistema produttivo e di consumo economicamente più sostenibile sia al primo posto.

Il coronavirus solleva anche temi di sostenibilità sociale. Perché la recessione economica indebolirà ulteriormente la classe media e aumenterà la diseguaglianza. Ma anche perché la diffusione di innovazioni tecnologiche subirà un’accelerazione. Le tecnologie già esistono e il trend è in corso. Già da tempo i robot fanno il lavoro degli operai in fabbriche e magazzini. Droni e altri veicoli senza pilota consegnano merci e sostituiscono l’uomo in mansioni pericolose. L’intelligenza artificiale, alimentata da enormi quantità di dati e grazie a capacità di calcolo e storage senza precedenti, insidia professioni di elevato livello intellettuale come giornalisti, trader, bancari, assicuratori, legali, medici.

Dopo la pandemia, la sostituzione dell’uomo con le macchine procederà più rapidamente. Per due motivi. Innanzitutto per ridurre il rischio di contagio: i robot non prendono il virus, smart working ed educazione a distanza proteggono lavoratori e studenti, fiere e show room virtuali evitano pericolosi assembramenti. In secondo luogo perché la crisi economica spingerà le aziende a tagliare i costi.

L’accelerazione nella diffusione d’innovazioni porterà ad aumenti di produttività. Ma richiederà il sacrificio di molti posti di lavoro. Mettendo a dura prova la sostenibilità sociale. Peraltro, in uno scenario con meno lavoro e mestieri più precari e meno retribuiti si affievolisce la domanda aggregata, con implicazioni negative sulla crescita.

E’ allora più urgente che mai affrontare il tema del rapporto uomo-macchina, pensare in modo concreto al futuro del lavoro, investire in istruzione e formazione in modo da preparare le persone ad affrontare i nuovi mestieri o a utilizzare la tecnologia per svolgere diversamente quelli attuali, pensare a nuovi meccanismi di redistribuzione.

La pandemia accelera una rivoluzione già in corso, che riguarda sostenibilità e innovazioni tecnologiche e che avrà conseguenze dirompenti su economia, società, etica.

La scelta politica fondamentale è mettere l’uomo al centro. Il che non significa rifiutare il progresso o rinunciare alla crescita. Al contrario, questa scelta richiede che l’uomo interagisca con la tecnologia senza però arrendersi alle macchine, che persegua la crescita ma in modo sostenibile, che aumenti la ricchezza prodotta ma ripartendola equamente, che migliori la produttività ma anche la qualità di vita e lavoro delle persone.

Mettere la persona al centro è il punto di partenza che fa del sistema valoriale la bussola da seguire per trovare la giusta rotta e fare alcune scelte imprescindibili. Occorre un nuovo quadro normativo che regoli alcune criticità – legali, fiscali, etiche – relative alle nuove tecnologie e che aiuti a inserire i vincoli di sostenibilità nel modello di crescita economica. E’ necessaria una politica economica che renda economicamente vantaggioso un comportamento sostenibile e una politica del lavoro che concili la tutela di quello esistente con la creazione di quello nuovo. Fondamentale è anche investire in scuola e formazione e migliorare la collaborazione tra sistema educativo e imprese, per ridurre il crescente divario tra competenze richieste e disponibili. E’ inoltre necessario affrontare il tema della redistribuzione, per consentire a tutti di partecipare ai benefici del progresso tecnologico e per ridurre diseguaglianza e povertà.

Questi interventi sono necessari ma non sufficienti. E’ essenziale rafforzare il sistema economico. L’obiettivo è un’economia che, nel rispetto dei vincoli di sostenibilità, sviluppi nuove attività ad alta intensità di lavoro, sostenga un elevato tasso d’innovazione, investendo in ricerca e sviluppando attività economiche in cui la qualità del capitale umano è centrale, sia in grado di competere con altri territori per attrarre investimenti innovativi e mestieri con elevate competenze.

Investire in attività ad alta intensità di lavoro non significa ostacolare l’adozione di tecnologia, soprattutto negli ambiti dove questa aumenta la produttività, ma piuttosto allargare l’economia, investendo in campi in cui l’automazione non è possibile, è complessa o economicamente non conveniente. In Italia le opportunità sono molte: riqualificazione del territorio, valorizzazione del patrimonio artistico, ammodernamento urbanistico, istruzione e formazione, assistenza sociale, opere e servizi socialmente utili, servizi di ausilio a forze dell’ordine, turismo culturale e congressuale, artigianato legato a territorio e tradizione. E naturalmente green economy. Un importante contributo occupazionale può venire anche dal terzo settore.

Le sfide sono complesse, richiedono scelte coraggiose e visione di lungo periodo. Grande è la tentazione, soprattutto da parte di una politica sempre più concentrata sul presente, di rimandarle alla prossima generazione o di accantonarle per far fronte all’emergenza – sanitaria ed economica – causata dal coronavirus. Tuttavia, il progresso tecnologico offre un potenziale enorme per affrontare queste sfide. Ed è proprio l’attuale situazione di emergenza a creare un’opportunità di cambiamento dirompente. Che può consentire di raggiungere nuovi e migliori equilibri. A patto che l’uomo non rinunci al ruolo di protagonista e abbia il coraggio di assumersi le proprie responsabilità.