Non è stato un fine anno facile al Palacio de la Moncloa. A preoccupare José Luis Rodriguez Zapatero non è tanto il drammatico calo di popolarità del suo governo o la recente sconfitta nelle elezioni catalane, quanto l’agitazione dei mercati intorno ai titoli del debito pubblico. L’ultimo avvertimento è arrivato nei giorni scorsi dall’agenzia di rating Moody’s che ha minacciato di abbassare il rating del paese se l’esecutivo non farà ulteriori sforzi per stabilizzare i conti.
In questa situazione il primo ministro spagnolo è chiamato a uno sforzo per rassicurare gli investitori e dimostrare che la Spagna non è solo too big too fail (troppo grossa cioè per affondare senza causare problemi irreversibili a tutta l’area euro), ma è anche un’economia affidabile con un debito non troppo alto e un rapporto deficit-Pil sotto controllo.
Il governo negli ultimi giorni si è dato da fare e ha annunciato l’attesa riforma del sistema pensionistico che prevede un innalzamento dei requisiti d’età da 65 a 67 anni. Una misura che il presidente si è impegnato a portare avanti “in modo progressivo” e indipendentemente da “ogni conseguenza”, incluso il prevedibile calo della già bassa popolarità dell’esecutivo.
Tuttavia, come Papandreou e Cowen prima di lui, anche Zapatero è chiamato a mantenere un equilibrio fra le rassicurazioni verso l’esterno, tese a mantenere tranquilli i mercati, e quelle nei confronti degli interlocutori interni. Un compito che in Spagna sembra presentare una variabile in più: la complessità del sistema delle autonomie locali e le spinte di spesa di un regionalismo concepito in modo peculiare.
Va tenuto conto che in Spagna si è realizzato negli ultimi anni un modello di autonomia locale asimmetrica, che ha prodotto un aumento del potere contrattuale di alcuni governi locali (Catalogna e Paesi Baschi). Di conseguenza, la variabile del territorio è ormai determinante sia per garantire stabilità al governo socialista sia per consolidare la credibilità nei confronti dei mercati.
Sono tre i punti critici nell’agenda del presidente. Il primo, e forse il più delicato, riguarda l’autosufficienza del Partito Socialista nelle Cortes: Zapatero, infatti, non ha la maggioranza assoluta dei parlamentari. La necessità di tessere alleanze per approvare le riforme strutturali in tempi rapidi (in primo luogo quella delle pensioni) diventa sempre più urgente e i candidati più affidabili a disposizione sono i partiti autonomisti moderati, la catalana Convergencia y Unió e il Partito Nazionalista Basco. In questa situazione è però alto il rischio che le formazioni politiche regionali chiedano importanti concessioni in cambio dell’appoggio all’esecutivo in parlamento.
La seconda criticità riguarda le scadenze elettorali dei prossimi mesi. Con le elezioni municipali alle porte, un indebolimento del Partito Socialista (che ha appena perso il governo della Catalogna) e un rafforzamento dei partiti autonomisti locali rischia di complicare ancora di più il percorso delle riforme. In particolare, l’appoggio di Convergencia y Unió, uscita vincitrice dalle consultazioni catalane, potrebbe essere condizionato a una maggiore autonomia fiscale.
Proprio la finanza locale è la terza questione nell’agenda di Zapatero. L’originale percorso intrapreso da Madrid verso un federalismo asimmetrico, attraverso la concessione di maggiore autonomia a regioni come la Catalogna o i Paesi Baschi, ha portato al diffondersi di una pratica rischiosa in tempi di crisi: la contrattazione diretta fra singoli enti locali e governo centrale. Si tratta di una procedura particolarmente problematica in un momento in cui i governi locali hanno dimostrato di avere bilanci tutt’altro che in salute.
Gli ultimi dati diffusi dal Banco de España dimostrano la gravità della situazione: nel terzo trimestre dell’anno il debito delle Comunidades Autónomas (le 17 regioni in cui è diviso il paese) è aumentato del 27% rispetto allo stesso periodo del 2009, arrivando a superare il 10% del Pil nazionale. Il dato, che segna un record storico dal 1995 ad oggi, è allarmante, ma ancora più preoccupante è la progressione dell’indebitamento, cresciuto ininterrottamente negli ultimi anni.
Di fronte alla crescente pressione dei mercati (nel suo allerta, Moody’s ha fatto esplicito riferimento al debito regionale), Zapatero ha deciso di imprimere un cambio di rotta alla relazione con gli enti locali: l’esecutivo centrale ha obbligato i governi regionali a presentare, con scadenza trimestrale, un bilancio dettagliato sulla situazione della finanza locale e ad accettare un programma di riduzione del debito; i primi dati a disposizione sono già stati diffusi, in anticipo su quanto previsto, per dimostrare trasparenza e tranquillizzare gli investitori.
“Il 99% degli enti locali rispetterà gli accordi. E a chi non li rispetterà, li farà rispettare il governo,” ha annunciato il primo ministro riflettendo la svolta sostanziale nei rapporti fra Comunidades Autónomas e l’esecutivo. Una svolta, nel segno della trasparenza e del rigore, osteggiata da molti politici locali, ma ormai improrogabile. Di fronte alla minaccia comune del contagio della crisi irlandese e alla pressione degli investitori, le regioni non possono infatti eludere le loro responsabilità: è ormai compito anche loro rassicurare il mondo e i mercati che la Spagna tiene.