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Una “primavera algerina”?

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A distanza di un anno dalla caduta del regime di Tunisi, seguito da quello del Cairo e di Tripoli, una domanda resta senza risposta: e l’Algeria? Nonostante il vento della cosiddetta “primavera araba” abbia soffiato con violenza sui paesi vicini, in Algeria non ha ancora avuto luogo una vera e propria rivolta contro il governo presieduto da Ahmed Ouyahia, e contro il regime militare di Butafliqa.

Tuttavia, segnali precisi indicano un forte malessere sociale e la possibilità di un imminente cambiamento. Da una parte, ci sono gli scioperi, le proteste sociali, gli scontri con le forze dell’ordine e i suicidi di alcuni giovani: dall’altra, c’è la mobilitazione dei partiti islamisti. Le elezioni legislative sono state fissate, come annunciato a metà febbraio dal Presidente Butafliqa, per il prossimo 10 maggio. In termini meteorologici, sarà allora primavera, e non si esclude che lo possa essere anche dal punto di vista politico qualora le elezioni venissero vinte dai partiti di ispirazione islamista che hanno già conquistato il potere in Turchia, Tunisia, Egitto, Marocco e Kuwait. Sarà una rivoluzione violenta oppure un cambiamento pacifico e democratico? I dati raccolti fino ad oggi sembrano escludere l’opzione violenta in Algeria.

Al popolo algerino era già stato sul punto di avviare una “rivoluzione” lo scorso 17 settembre, a seguito di decine di appelli lanciati su Facebook. Tuttavia, in quell’occasione, gli algerini sembrarono preoccuparsi delle possibili conseguenze indirette di un eventuale  crollo dell’attuale regime. La corrente politica islamista algerina – ancora disomogenea – aspira infatti a ripercorrere i passi dei partiti islamisti nei paesi vicini: in tal senso si possono leggere anche alcune recenti visite di esponenti islamisti algerini in Turchia. Sul fronte esterno, paesi come la Turchia appunto, ma anche il Qatar, auspicano una “rivoluzione algerina” nel senso islamista del termine. Su questo scenario politico aleggia però la minaccia di stampo jihadista, e in particolare quella di AQIM, l’organizzazione di Al-Qa’ida nel Maghreb Islamico, che ha cercato di cavalcare l’onda delle proteste nei paesi vicini per incitare, finora senza successo, la popolazione algerina a ribellarsi.

Le linee di tensione nel paese sono diverse, e non si deve escludere che possano convergere dando vita a una crisi proprio con l’avvicinarsi delle elezioni. Dopo un’iniziale campagna mediatica di diffamazione contro il CNT libico da parte della stampa algerina, e in particolare di alcuni quotidiani nazionali vicini all’intelligence militare, i rapporti sono migliorati: nelle ultime settimane si sono tenute riunioni di alto livello tra funzionari algerini e libici per consolidare la cooperazione bilaterale e fare fronte a una delle principali minacce temute dal regime di Algeri, ovvero quella jihadista di AQIM e quindi del traffico di armi libiche lungo il confine.  Si succedono, con cadenza quasi quotidiana, sequestri di armi e stupefacenti che vengono transitati dal confine con la Libia.

Intanto, sul fronte sociale interno, in diverse aree dell’Algeria si registrano intense proteste studentesche, dei lavoratori e delle famiglie che occupano abusivamente alcuni alloggi popolari. Diffuso è anche il malcontento per le mancate riforme, che si somma a quello per la corruzione, fenomeno ormai endemico, che la crisi economica ha reso oltremodo insopportabile per la popolazione.

Sul fronte politico, la crisi è stata accentuata dal recente ritiro dall’Alleanza presidenziale algerina – composta dai partiti FLN (Fronte di Liberazione Nazionale), RND (Raggruppamento Nazionale Democratico) e MSP – del partito islamista di Soltani, l’MPS per l’appunto (Movimento della Società per la Pace). Il Presidente Butafliqa ha inoltre respinto la richiesta avanzata dall’opposizione di sciogliere il governo di Ahmed Ouyahia – leader dell’RND – e sostituirlo con un esecutivo tecnico. “Sarà una fase nuova e cruciale per l’Algeria”, ha dichiarato il Presidente algerino nel suo ultimo discorso alla popolazione, con riferimento alle prossime elezioni. Non a caso, Butafliqa ha messo l’accento su concetti chiave della democrazia: elezioni legislative, lo Stato di diritto, la sovranità, la giustizia sociale. Queste aperture, quantomeno retoriche, sembrano dimostrare il timore di Algeri per un’«esplosione sociale» che possa poi trasformarsi in una violenta rivolta su larga scala.

Dunque, la data del 10 maggio 2012 potrebbe segnare una svolta decisiva: “Se il popolo verrà deluso dalle prossime elezioni, la situazione in Algeria esploderà”, ha tuonato Muhammad al-Sa’id, leader del partito algerino “Al-Hurriyya wal-‘Adala” (Libertà e Giustizia), che ricorda da vicino i nomi dei partiti islamisti già al governo in Turchia, Marocco ed Egitto.