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La Germania di fronte al dilemma greco

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Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: «sbattete i greci fuori dall’Euro una volta per tutte!» A formularlo è stato nei giorni scorsi il quotidiano tedesco più diffuso, la Bild, che rappresenta la voce della Germania conservatrice e populista. Una sorta di “sesto partito”, che pur non avendo rappresentanti nelle istituzioni è assai influente (come messo in luce anche dall’affaire-Wulff): un autentico pungolo da destra per la CDU, il partito democristiano di Angela Merkel.

Da tempo, la Bild soffia sul fuoco del risentimento anti-greco, cercando di alimentare nell’opinione pubblica l’opposizione alle misure adottate allo scopo di affrontare la crisi economico-sociale del paese ellenico. Le più recenti manifestazioni ateniesi – dove non sono mancati perfino accostamenti fra l’attuale Repubblica federale tedesca e il Terzo Reich – hanno offerto il destro al quotidiano del gruppo editoriale Springer per controbattere: «i greci non sanno esportare nulla, tranne diffamazioni, insulti e aggressioni verbali». Meglio abbandonarli al loro destino, sostiene la Bild, che non ha mai visto di buon occhio la «generosità» di Merkel e del ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. A quest’ultimo, il giornale si è rivolto con un ironico «benvenuto nella realtà!», salutando positivamente il fatto che il dirigente democristiano, in una recente intervista alla Hannoversche Allgemeine Zeitung, abbia accostato alla Grecia l’immagine del proverbiale «pozzo senza fondo».

Se questi sono gli umori della Germania meno incline all’europeismo riflessivo, risulta più facile intendere perché Angela Merkel sia considerata nei settori conservatori della società tedesca troppo disponibile nei confronti delle esigenze del partner comunitario. Pur senza farlo con i toni della Bild, a richiamare la Cancelliera e il suo ministro delle finanze a minore «comprensione» nei confronti del paese ellenico sono spesso e volentieri anche l’Unione cristiano sociale (CSU, il partito fratello della CDU in Baviera) e la liberale FDP del vicecancelliere Philipp Rösler, i partner nella coalizione di governo.

Recenti prese di posizione indicano chiaramente che gli alleati di Merkel stanno lavorando ad uno scenario diverso da quello difeso ufficialmente dall’esecutivo federale. Il numero due della formazione bavarese, Alexander Dobrindt, e il ministro delle finanze del governo di Monaco, Markus Söder, durante il fine settimana appena trascorso hanno avanzato l’ipotesi di «un’ordinata fuoriuscita» della Grecia dall’Euro, a loro giudizio preferibile al rischio di un «minaccioso ed incontrollabile collasso». L’eventuale sganciamento dalla moneta unica è fatto dipendere da uno scenario che viene ritenuto molto probabile: il mancato raggiungimento degli obiettivi che il governo di Atene si era impegnato a centrare in materia di contenimento della spesa. A seminare dubbi circa la buona riuscita dell’operazione-recupero della Grecia è, come detto, anche il partito liberale: il responsabile delle politiche europee della FDP, Joachim Spatz, ha recentemente affermato che «il paziente, come in ogni terapia medica, non si può salvare contro la sua volontà».

Nei circoli governativi tedeschi, dunque, lo scetticismo nei confronti della classe politica greca non è occultato. E in pochi fanno mistero di considerare le elezioni anticipate in Grecia, previste per la primavera, un’ipoteca pesante sulla buona riuscita dell’attività che vede ora impegnato l’esecutivo di  Lucas Papadimos. Anche nella CDU, l’autorevole voce del ministro Schäuble insiste sul punto: nell’intervista menzionata in precedenza, viene messo in chiaro come il programma di risparmi dovrà continuare nello stesso modo anche dopo le elezioni. Indipendentemente da come si esprimeranno i greci.

I segnali di relativo irrigidimento della posizione della Germania potrebbero quindi avere come obiettivo il rinvio delle elezioni greche o, quantomeno, l’individuazione di uno strumento politico-legale che impedisca alla forza politica che sarà decretata vincitrice dalle urne di «fare di testa propria». Dunque, un governo «tecnico» saldamente in sella sino alle elezioni programmate per la primavera del 2013, risulterebbe senz’altro più rassicurante per i dirigenti della coalizione cristiano-liberale. In alternativa, lo stesso Schäuble ha formulato un’altra proposta che allude ad una sorta di “commissariamento dolce” della politica greca: rispondendo alle domande dell’edizione domenicale del quotidiano Tagesspiegel, il dirigente democristiano ha rimproverato il governo greco di non aver ancora preso nella dovuta considerazione l’offerta di aiuto nella gestione dell’amministrazione fiscale giunta da Berlino. L’esecutivo tedesco sarebbe disposto, infatti, ad inviare propri funzionari per affiancare i responsabili greci nell’impresa di rendere più efficiente la macchina burocratica, soprattutto in relazione al delicato tema delle entrate.

Non c’è dubbio che proposte come quest’ultima, anche al di là delle intenzioni di chi le avanza, chiamano in causa la questione della democrazia e dei rapporti di forza nel Vecchio Continente. Ad aver denunciato i rischi di una deriva che allontani l’Unione europea dai valori che ne stanno alla base era stato, lo scorso novembre, il filosofo Jürgen Habermas. Riflettendo sulla retromarcia cui era stato costretto l’ex premier greco Giórgos Papandreu in relazione al referendum sulle «misure di salvataggio», in un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung Habermas sottolineava la necessità di «salvare la dignità della democrazia», difendendo in certa misura la legittimità del popolo greco di potersi esprimere, anche fosse semplicemente per scegliere «tra peste e colera». In quell’intervento, l’intellettuale progressista tedesco più rappresentativo sosteneva la necessità di cogliere l’opportunità della crisi per costruire un’Europa democratica, ossia con vere istituzioni politiche sovranazionali, e criticava la «strada post-democratica» intrapresa, a suo modo di vedere, da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy.

Un quadro interpretativo, quello di Habermas, in cui si muovono i principali partiti di opposizione, la SPD e i Verdi, che si stanno attrezzando a subentrare, l’anno prossimo, alla coalizione cristiano-liberale. Il presidente del think tank verde, la Heinrich-Böll-Stiftung, ha riassunto nella formula della «solidarietà critica verso la Grecia» l’opinione della sinistra tedesca: i risparmi e la lotta ad evasione e sprechi sono giusti, ma servono anche un nuovo modello di sviluppo sostenibile (più energia solare e meno importazioni di petrolio, ad esempio) e interventi per la crescita. Risparmiare, per SPD e Verdi, «può essere solo una parte della soluzione», come ha ribadito lo scorso venerdì il leader socialdemocratico Siegmar Gabriel:  per «evitare di distruggere l’economia greca» occorre, a suo giudizio, «un piano Marshall».

Al di là delle differenti ricette che separano i partiti, appare evidente che la politica tedesca è attanagliata da un problema di fondo: il ruolo di egemone esercitato dalla Germania porta con sé il rischio di suscitare reazioni di ostilità che, come dimostrano le bandiere con la croce uncinata bruciate nella Piazza Syntagma, affondano le loro radici anche nelle ferite della storia. La classe dirigente ha dato a volte l’impressione di guidare il Vecchio Continente agendo in nome dell’interesse nazionale; il che, nel caso tedesco, inevitabilmente evoca parallelismi inquietanti con il passato.

La sfida, forse, sta nel trovare gesti, parole e (soprattutto) azioni giuste per riuscire a trasmettere fiducia circa i benefici che possano derivare per tutti da una benevolent hegemony tedesca. Ma per farlo, da Berlino urgono segnali diversi da quelli trasmessi sin d’ora. Si può coltivare la speranza che l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica Joachim Gauck, il carismatico uomo-simbolo della lotta per la libertà e la democrazia contro la dittatura stalinista della DDR, possa aiutare la politica a riflettere con più attenzione sulle conseguenze delle proprie scelte, e la società civile a non dimenticare il particolare dovere di solidarietà che la storia continua ad imporre alla Germania.