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Il fattore energetico tra Cina e ASEAN

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Il costante miglioramento della sicurezza energetica e la differenziazione delle fonti di approvvigionamento sono oggi tra le massime priorità strategiche nella definizione delle politiche interne e internazionali della Cina. Per queste ragioni, l’area del Sudest Asiatico e il gruppo di paesi che fa parte dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale) sono considerati d’importanza centrale per Pechino. Qui si trova la maggioranza delle rotte per il trasporto energetico dal Medio Oriente e dall’Africa verso la Cina. La Repubblica Popolare dipende in maniera diretta dai traffici marittimi che passano attraverso gli stretti dell’area e nel Mar Cinese meridionale. Oltre l’ottanta per cento dell’approvvigionamento energetico del paese passa attraverso la regione. Qualora venisse interrotto il traffico attraverso lo Stretto di Malacca, la Repubblica Popolare avrebbe un’autonomia energetica inferiore ad un mese. I paesi del Sudest asiatico sono importanti produttori di gas naturali, considerati l’alternativa migliore alla dipendenza da petrolio e carbone.

È dunque vitale per Pechino che l’area rimanga stabile e per quanto possibile sotto controllo, e questo richiede innanzitutto una serrata e costante collaborazione bilaterale e multilaterale con gli attori regionali.

Indonesia, Malesia e Brunei sono esportatori di petrolio, e giacimenti sono stati rinvenuti in altri paese dell’area, ad esempio in Vietnam. Il più grande problema per lo sfruttamento di queste risorse è la mancanza della tecnologia necessaria affinché questi paesi possano estrarle e commercializzarle in maniera autonoma ed efficiente. La cooperazione con paesi terzi è pertanto un elemento decisivo per lo sviluppo del settore energetico della regione.

La Cina è da diversi anni uno dei maggiori investitori nelle attività estrattive nell’area, come stanno a dimostrare numerosi contratti e partenariati di cooperazione con i governi. Le compagnie energetiche nazionali cinesi investono in decine di progetti di esplorazioni e trivellazione in mare aperto come anche di costruzione di infrastrutture per il trasporto. Un esempio in questo senso è l’accordo di cooperazione tra la Repubblica Popolare e Myanmar per la costruzione di un oleo-gasdotto che collegherà le isole Kyaukryu nell’Oceano Indiano con il sud della Cina. Questo progetto non si configura solo come un investimento lucrativo, ma rappresenta un’importante alternativa alle tradizionali linee di approvvigionamento. Infatti, una volta ultimati i lavori, (770 chilometri di oleodotto, per il quale è previsto un allungamento in un secondo momento per un totale di 2806 chilometri, che pomperanno un massimo di 20 milioni di tonnellate di greggio all’anno) sarà ridotta la dipendenza della Cina dallo Stretto di Malacca per le importazioni di greggio.

Gli investimenti cinesi nella regione non si limitano al petrolio. L’ASEAN è infatti un esportatore netto di carbone, e la produzione di gas naturale liquefatto (GNL) rappresenta oggi un tema di collaborazione sempre più importante con la Cina. Lo dimostra per esempio la firma del contratto della durata di venticinque anni tra la compagnia malese Petronas e la cinese CNOOC per la produzione di tre milioni di tonnellate di GNL l’anno.

L’ultimo “Libro bianco” pubblicato nel 2011 dal Consiglio di Stato, China’s Policies and Actions for Addressing Climate Change”, conferma l’intenzione del governo di Pechino di diminuire il consumo energetico derivante dallo sfruttamento di petrolio e carbone in favore di alternative meno inquinanti, prima su tutte il gas naturale. Tale obiettivo di lungo termine pone la cooperazione tra la Cina e i paesi del Sudest Asiatico al centro degli interessi strategici cinesi.         

Questi casi evidenziano l’interesse della Cina nel definire relazioni sempre più stabili con i paesi della regione, ma certo non cancellano i problemi e le questioni irrisolte nei rapporti con il Sudest Asiatico. Con la nuova stagione di apertura internazionale (oltre che di riforme interne) inaugurata da Deng alla fine degli anni settanta, quei rapporti hanno avuto una svolta positiva portando prima ad un dialogo più amichevole e costante, e poi ad una cooperazione vera e propria. I progressi ottenuti sono però a rischio, a causa delle questioni irrisolte riguardanti le acque del Mar Cinese meridionale, le tensioni dovute al delicato rapporto che storicamente alcuni paesi del Sudest Asiatico hanno con Taiwan, e la diffidenza ancora persistente nei confronti del colosso cinese e delle sue ambizioni. Inoltre va ricordata la diffidenza della Repubblica Popolare nel dialogare attraverso relazioni multilaterali di cooperazione con l’ASEAN. Pechino ha sempre preferito il confronto bilaterale in cui il suo potere contrattuale è maggiore. Al contrario, i paesi della regione prediligono, anche per esperienza storica, un approccio basato sul consenso multilaterale attraverso contatti diretti e negoziati informali. Il recente rafforzamento dell’ASEAN quale attore unitario e il generale apprezzamento internazionale per una politica più attenta all’intesa e alla concertazione costringono sempre più la Cina a ridefinire i suoi rapporti e ad accettare il dibattito, restringendo la sua libertà di movimento.

Alla luce di questi sviluppi, è destinato a crescere ulteriormente l’interesse sia della Cina, sia degli stati della regione, ad impegnarsi a risolvere i problemi ancora insoluti usando in primis il comune vitale interesse nella questione energetica. Se saranno in grado di mantenere le loro relazioni diplomatiche aperte e in linea con il modus operandi del dialogo multilaterale, si potrà scommettere sul successo della cooperazione.