Se Atene piange, Sparta non ride: è l’espressione più adatta per descrivere lo stato in cui versano i due principali partiti popolari tedeschi. Mentre la CDU è impantanata in una coalizione litigiosa, nella quale FDP e CSU bavarese hanno ripreso a fare i capricci, l’SPD è ancora impegnata, due anni dopo la clamorosa sconfitta del settembre 2009, a fare i conti con la propria identità. Attualmente, infatti, i socialdemocratici approfittano dei bassi livelli di consenso degli attuali partiti al governo, senza ancora aver ben digerito la svolta riformista di Gerhard Schröder, poi proseguita – o almeno non contraddetta – dal quadriennio di grande coalizione (Große Koalition).
Non stupisce allora per nulla il fatto che non sia ancora dato sapere quale sia la linea esatta dell’SPD sull’Europa e la riforma del Patto di Stabilità. Pur essendo stato il presidente del partito, Sigmar Gabriel, ad aver avviato il dibattito estivo sugli eurobond, la sensazione è che la confusione in casa socialdemocratica sia pari a quella dei cugini cristianodemocratici. Nel suo discorso al Bundestag la scorsa settimana, l’ex ministro delle Finanze, Peer Steinbrück, che appartiene alla corrente destra del partito (Seeheimer Kreis) ed è anche il probabile candidato socialdemocratico alla Cancelleria per il 2013, ha infatti chiarito che la via di un haircut per Atene è ormai segnata. Ancor più nette erano state le sue parole nel luglio scorso: “La Grecia ormai è persa – spiegò all’emittente televisiva N-TV – L’haircut sul debito è ormai inevitabile. Pericoli per le banche? Ne vedo pochi. Ormai la gran parte s’è liberata dei titoli di stato”. In questi giorni, in una trasmissione televisiva sul primo canale tedesco, ARD, Steinbrück ha riaffermato il proprio convincimento circa l’inesorabilità del default, dicendosi contrario a qualsiasi altro aumento della dotazione del fondo di stabilizzazione. “Sarebbe un grave errore – ha proseguito l´ex ministro – continuare a guadagnare tempo per evitare l´inevitabile, e ciò avendo a cuore solo la sorte di alcune banche”. Una battuta che non è certo piaciuta a Josef Ackermann, a capo di Deutsche Bank, il quale, da Zurigo, ha ribadito la necessità che si faccia di tutto per salvare la Grecia.
Se a tutto ciò si aggiunge anche la critica di Steinbrück all’ingerenza della BCE nella politica di bilancio degli Stati membri, si può a ragion veduta ritenere che le posizioni dell’ex ministro siano non poi molto diverse da quelle che, a targhe alterne, vengono pronunciate dal suo successore Wolfgang Schäuble – il quale però, a differenza del collega ministro dell’Economia, non si è ancora mai avventurato a parlare di insolvenza per Atene. Senza contare che, come scriveva ai primi d’ottobre il quotidiano Die Welt, dopo la sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe che ha sostanzialmente ipotecato l’ipotesi degli eurobond, anche l’SPD è diventata molto più fredda al riguardo. Secondo Thomas Oppermann, ai vertici del gruppo parlamentare socialdemocratico al Bundestag, non ci sarebbero al momento le condizioni per una loro introduzione. “La BCE ha comprato già 160 miliardi di titoli di Stato. Questi sono i Merkel-bonds; una tale comunione dei debiti noi la respingiamo al mittente”, ha chiarito. Che rimane allora della vena cd. “europeista” del partito socialdemocratico? Qual è la linea di demarcazione che separa socialdemocratici da cristianodemocratici? A quanto pare, sembra essere soltanto una questione di sfumature. L’SPD a differenza della CDU sottolinea con più enfasi la necessità di procedere ad un’ulteriore cessione di competenze (fiscali) in capo all’UE – leggasi sotto la supervisione tedesca – in modo da controllare con più efficacia le politiche di bilancio degli altri paesi. In realtà Norbert Röttgen e Ursula von der Leyen, entrambi democristiani e considerati molto vicini alla signora Merkel, sono stati i primi a parlare di “Stati Uniti d’Europa” nei mesi scorsi.
Qual è dunque il freno che fa oscillare quotidianamente maggioranza e opposizione come un pendolo? Al di là dei cosiddetti “ribelli” interni alla maggioranza, il freno viene dall’elettorato, dal quale ovviamente anche l’SPD non può prescindere per battere la signora Merkel tra due anni. E l’elettorato tedesco è, per buona parte, contrario a nuove misure di salvataggio che trasformino l’eurozona in una “Transferunion”. Non è escluso che, visti i punti di contatto e le relative debolezze, CDU e SPD non si riavvicinino proprio per via dell’euro-crisi. Una riedizione della grande coalizione, che proprio in queste ore sta muovendo i suoi primi passi nel Land di Berlino, non è insomma affatto da escludere.