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Perché Obama teme il contagio dell’euro

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È il timore di una nuova crisi del credito, capace di bloccare la debole ripresa globale, che spinge la Casa Bianca a premere sull’Europa affinché reagisca tempestivamente alla prima crisi dell’euro. Cioè con la stessa potenza di fuoco e rapidità d’azione messe in mostra dagli Stati Uniti per evitare il collasso di Wall Street sotto l’impatto dei mutui subprime.

Per capire le ragioni della raffica di telefonate di Barack Obama e Tim Geither ai rispettivi colleghi europei, nei mesi iniziali della crisi greca, bisogna ascoltare Edwin Truman, l’ex braccio destro del ministro del Tesoro oggi in forza al “Peterson Institute for International Economics” di Washington. Truman snocciola alcuni numeri: “L’esposizione delle maggiori banche americane al debito sovrano di Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda è di circa 60 miliardi di dollari, pari al 10% del loro capitale primario, ma l’esposizione totale in Europa è di ben 1,5 trilioni di dollari”. In concreto, ciò significa che a minacciare l’economia americana non è tanto il rischio di default di uno o più Paesi a rischio di Eurolandia quanto quello che l’economista Daniel Tarullo, nominato da Obama nel consiglio dei governatori della Federal Reserve, definisce “l’effetto contagio” che investendo la zona euro rischierebbe di riproporre la crisi del credito negli Stati Uniti.

Perché l’America teme il contagio europeo
Il termine “contagio”, per gli operatori finanziari di Wall Street, riporta alla mente quanto avvenuto con la crisi dei mutui subprime. Allora, la carenza di numeri certi sulla reale esposizione delle banche innescò il panico di fallimenti a catena; oggi, a non essere conosciuti sono i numeri reali dell’esposizione delle maggiori banche europee, e anche internazionali, ai debiti sovrani di Eurolandia. Ce n’è abbastanza per fare temere una ripetizione in chiave europea del terremoto avvenuto in America nel 2008. Senza contare che le 27 nazioni dell’Unione Europea nel 2009 hanno acquistato circa 221 miliardi di prodotti “Made in USA” ovvero quanto nessun altro partner commerciale degli Stati Uniti (Cina inclusa), sostenendo in questa maniera una fetta non indifferente della debole fase di ripresa economica americana.

“L’economia globale non si potrà riprendere senza una sana ripresa in Europa” sottolinea Truman, riassumendo il pensiero che accomuna Obama e Geithner a Larry Summers, il capo dei consiglieri economici. Il campanello di allarme greco paventa dunque un rischio da brividi su due fronti: una nuova crisi del credito e l’arresto della debole ripresa globale registrata negli ultimi mesi.

Se questo è il pericolo portato dalla crisi dell’euro, il metodo per disinnescarlo viene dal richiamo a quanto è stato fatto negli Stati Uniti con il programma “Troubled Asset Relief Program” (Taarp): prima George W. Bush e poi Barack Obama hanno rovesciato tonnellate di dollari nei bilanci delle istituzioni finanziarie per evitarne il collasso. “La soluzione a questo tipo di problemi è la liquidità” osserva il guru finanziario Allen Sinai. Da qui le pressioni che Geithner ha esercitato prima sul Fondo monetario internazionale e poi sulla stessa Unione Europea per varare il massimo aiuto possibile a favore degli Stati in difficoltà. Tanto più che in Europa la questione della carenza di liquidità è aggravata dal fatto che gli accordi di Maastricht hanno azzerato il potere delle banche nazionali di fare leva sui tassi di interesse per attirare investimenti.

La decisione del summit di Bruxelles, ai primi di maggio, di varare un pacchetto di 750 miliardi di euro ha dato sollievo a Washington – che lo aveva caldeggiato con un pressing di telefonate notturne di Geithner ai suoi colleghi nelle 48 immediatamente prima. Washington l’ha subito puntellata con la decisione della Federal Reserve di Ben Bernanke di attivare lo swap dei crediti con le altre banche centrali (al pari di quanto avvenuto fino al febbraio 2009) per sostenere la liquidità in America. Ma il sollievo ha avuto vita breve. Passati pochi giorni, la Casa Bianca ha identificato un nuovo rischio nei ritardi con cui Eurolandia ha iniziato a elargire tali fondi. Anche questa è una delle lezioni apprese dal precedente del “Taarp”: non bastò, infatti, varare il programma per rassicurare i mercati; la tempesta iniziò ad allontanarsi solo quando la Federal Reserve cominciò ad eseguire consistenti versamenti.

Obama e Merkel
Ciò che la Casa Bianca teme è che divisioni politiche e appesantimenti burocratici europei portino a rallentare la distribuzione degli aiuti UE, con la conseguenza di indebolirne di molto l’effetto. La carenza di fiducia da parte di Washington nella rapidità d’azione dell’Unione Europea spiega le continue pressioni sulla cancelliera Angela Merkel: Obama ritiene che sia lei, oggi, l’unico possibile motore per far agire in fretta Eurolandia, oltre al fatto che sulle spalle della Germania cade la responsabilità di stanziare la quota maggiore di fondi per sostenere la Grecia. Ma non è tutto: dai collaboratori del ministro del Tesoro trapela il timore che i leader di Eurolandia “prestino poca attenzione ai mercati” sottovalutando gli impatti negativi di decisioni nazionali. Un esempio? La decisione unilaterale adottata proprio dalla Germania, con i suoi effetti negativi sui mercati finanziari, di mettere al bando alcune operazioni finanziarie come i cosidetti “naked short selling” sui titoli del debito sovrano.

Il fronte interno
Ma nel momento in cui è proteso a tamponare la crisi di Eurolandia, Obama deve guardarsi anche le spalle dal Congresso, dove serpeggiano palesi sentimenti isolazionisti. A dimostrarlo c’è il pronunciamento dell’aula del Senato che – con 94 voti a zero – ha approvato una disposizione che richiede alla Casa Bianca di eseguire futuri prestiti al Fmi “solo in cambio di precise garanzie sul fatto che saranno restituiti”. Per evitare che i fondi assegnati a salvare la Grecia finiscano per andare ad accrescere il debito pubblico nazionale, innescando il rischio che “entro dieci anni potremmo essere noi a finire nelle stesse condizioni”, ammonisce il combattivo deputato repubblicano dell’Indiana Mike Pence.

Further reading
Moneta in crisi, leader lenti e divisi: l’Europa che fa paura all’America, Marta Dassù, Corriere della Sera, 24 maggio 2010 
Un’Europa forte per Obama è utile – intervista a Marta Dassù, l’Unità, 27 maggio 2010
Indirizzo di saluto del Presidente Napolitano alla Joint Leadership Meeting presieduta dalla Speaker Nancy Pelosi, Washington, 26 maggio 2010