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Oltre la tempesta perfetta: capitalismo intellettuale 2.0

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La tempesta perfetta – esplosa nel 2008 sebbene con radici ben più profonde – sta passando ma, in questa nostra era degli orizzonti instabili, un solo trend è certo: la cono­scenza e l’intelligenza si moltiplicano nell’era del capitalismo intellettuale 2.0 e dell’interdipendenza.

È stato uno scontro titanico, lo scontro tra due grandi “uragani”: la grande espansione verso il macro, l’interdipendenza, l’hardware: le economie di scala, la globalizzazione, le multinazionali, la tecnologia, la finanza, le grandi banche, i debiti sovrani, la BCE, la FED.

E, nel contempo, la spinta sempre più forte verso l’intangibile, la smaterializzazione della produzione, la leggerezza, il piccolo con pochi costi e tante idee, il software: l’intelligenza al servizio del mercato, i singoli capitalisti intellettuali, le micro-aziende magari con le stampanti 3D.

Ma quanto è stata grave la crisi, la tempesta che abbiamo appena attraversato? Sicuramente molto. È stata molto grave perché è una bolla che la dimensione finanziaria dell’economia ha creato su se stessa. Il fenomeno dei derivati diffusi senza la necessaria conoscenza, le cartolarizzazioni, la scarsa concorrenza esistente fra le principali banche d’investimento americane, la relativa opacità di tanti prodotti finanziari complessi, l’attacco all’euro dei grandi fondi speculativi internazionali hanno messo in crisi un sistema che pensava di aver trovato un metodo assoluto di minimizzazione dei rischi attraverso la loro distribuzione su più soggetti.

Tutto ciò ha amplificato a rete la psicosi della crisi anche se bisogna essere consapevoli del fatto che in realtà, il mondo è cambiato. Con quali strumenti pensiamo che si siano sviluppati ed abbiano capitalizzato le proprie imprese i Paesi emergenti del BRICS? Con quali strumenti pensiamo che si possano prendere i soldi del piccolo agricoltore del Midwest americano o della campagna romana ed investirli a Shangai o a Mumbai, magari minimizzando i rischi? Quali mercati finanziano i debiti sovrani come il nostro o quello americano, le nostre PMI e quelle giapponesi, le imprese in crescita brasiliane o indiane? Ecco perché si tratta di una crisi sicuramente gravissima che, però, ha generato anche tanta innovazione, tante risposte. Una su tutte: l’uscita dalla soglia di povertà di 500 milioni di persone nei Paesi emergenti attraverso lo sviluppo del capitalismo diffuso.

Come andrà a finire? Come dice Sherlock Holmes “Dare le risposte è facile. Il problema è fare le domande giuste”. È per questo che, all’inizio di tutte le storie che vogliono guardare oltre, c’è sempre una domanda iniziale che guida il racconto, la narrazione, la corsa verso l’orizzonte. Come possiamo accorgerci che sta per arrivare una tempesta perfetta? Come ci si accorge che sta finendo o è passata? Come cambieranno gli scenari e, con loro, il sistema socio-economico, la finanza, la cultura, le persone con l’avvento dell’economia della reputazione?

Siamo in un’epoca nuova, veloce, interdipendente, fatta di risorse abbondanti anziché scarse. Il problema fondamentale diventa allora dare un valore a molti eventi che a volte appaiono sconnessi. Se ci spostiamo in Rete poi lo sforzo diventa difficilissimo perché la conoscenza qui è praticamente illimitata, quasi come l’aria. Il capitalismo intellettuale 2.0 pone al centro dell’universo economico la conoscenza e il capitale umano. 

Ma ancorché abbondante, la conoscenza vera è paradossalmente quella “scarsa”, cioè solo quella che vanta una reputazione costruita in termini di fiducia, attenzione e continuità. Forse non si può ancora essere sicuri di come evolverà il capitalismo, ma il futuro sembra es­sere nella ricerca di una conversazione con qualcuno di cui ci si fida. Un salto di paradigma, un processo evolutivo senza precedenti che ci porterà oltre, forse altrove.

Una conversione dei modelli sociali, culturali e politici, che, grazie alle nuove tecnologie, imprime alla nostra epoca un’accelerazione evolutiva tale da creare nuovi linguaggi, nuovi significati, nuovi mercati. Tutti fattori in grado di modificare (come in passato hanno fatto la scrittura e la stampa) i processi individuali e collettivi, le procedure mentali e la nostra capacità di accumulazione/innovazione scientifico-culturale. Ad una velocità mai vista prima d’ora. Anzi a più velocità.

Stiamo diventando tutti simultanei, stiamo diventando tutti a due velocità: pensiero, tempo, spazio, potere, cultura, mente… viviamo ogni cosa a due velocità. È proprio questa iper-connettività della mente in Rete, questo essere reali e digitali simultaneamente, la grande novità del mondo contemporaneo. La morale è che, nell’era della reputazione e del tempo a due velocità persone e organizzazioni hanno bisogno che l’integrità faccia parte del proprio DNA non solo per garantire un ambiente sociale e di business sano, ma anche in vista della sostenibilità e del vantaggio competitivo personale.

Anche perché almeno nei Paesi industrializzati, addio ceto medio. La tecnologia elimina lavori per il ceto medio, in ufficio, in fabbrica. Chi ha i saperi del nuovo mondo – imprenditori, tecnici, start up, professionisti – si vedrà ben retribuito; chi non li possiede, soprattutto nell’Europa del Sud che soffre sul versante dell’innovazione, perderà retribuzione e status. Senza dimenticare un ulteriore fattore di complessità: l’Africa cresce. Secondo la Banca Mondiale alla fine del XX secolo il 58% degli africani viveva con un euro al giorno. Oggi sono il 48% grazie alla crescita di tanti paesi. Ma affidarsi solo alle risorse naturali non basta, paesi ricchi di minerali come Nigeria e Angola crescono meno di altri che ne sono privi. Cablare il continente, fermare il land grabbing che riapre i latifondi, educare le nuove generazioni sono premesse di sviluppo.

Anche se alla fine l’orizzonte vincente è uno solo: puntare sugli innovatori. La piramide dell’occupazione diventa una clessidra: sopra i prestigiatori delle nuove tecnologie; sotto, la fine e la mutazione del lavoratore intermedio. Il futuro non lascia scampo ai tuttofare, a quelli che sanno fare un po’ di tutto. Il mercato del lavoro si sviluppa sempre più su processi di polarizzazione: al vertice della piramide le professioni eccellenti, i progettisti, i decisori, gli innovatori. Alla base, i cosiddetti servizi locali: gli esecutivi, gli accuditivi, le ancelle dei lavori di cura, di assistenza, di ordinaria manutenzione, di pulizia.

Alla fine tutti si salveranno solo puntando sulla competenza, sul web, sulle lingue ma anche sulla manualità. Sì, perché in un mondo sempre più virtuale, serviranno i problem solver della complessità e degli imprevisti. Siamo già nell’era del capitalismo intellettuale 2.0: dobbiamo velocemente capirlo, adattarci, e imparare pragmaticamente a governarlo.