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Merkomonti: il triangolo per l’Europa

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Fino ad oggi, il gioco pericoloso è stato questo. La Germania ha cercato di impartire una lezione di fondo ai paesi fiscalmente “irresponsabili” della zona euro. La Francia ha fatto da spalla, sperando che il duo con Berlino le conferisse (con altri mezzi) quella credibilità che Parigi sta invece perdendo sui mercati. Fino ad oggi, insomma, la Germania ha utilizzato la crisi dell’euro-zona non per spaccare la moneta unica (questo è il disegno di una minoranza, per quanto influente) ma per affermare una volta per tutte la cultura tedesca della stabilità di bilancio. Il prezzo pagato da Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia è il prezzo dell’Europa a condizioni tedesche. Condizioni che Angela Merkel vorrebbe incardinare in una riforma dei Trattati: nelle proposte di Berlino, il Trattato modificato dovrà includere l’impegno nazionale al pareggio di bilancio e sanzioni automatiche in caso di deficit (fino a criteri di espulsione).

Il problema è che il gioco pericoloso – fra governi deboli e mercati forti – può scappare di mano. E se ne è avuta la prova. Quando la Bundesbank è dovuta intervenire per comprare il 40% di Titoli di Stato tedeschi rimasti invenduti, un campanello di allarme è suonato anche a Berlino. O meglio: anche per Berlino.

Il governo tedesco ne trarrà le conseguenze? La concezione della Germania, fino ad oggi, è che la crisi dell’euro-zona non sia il risultato di un impianto istituzionale carente ma il risultato di comportamenti nazionali devianti. In realtà, esistono entrambi i problemi. Senza riforme nazionali, l’euro non reggerà; ma non reggerà neanche in assenza di un’Unione fiscale.

L’alternativa a un break-up della moneta unica che avrebbe costi enormi per tutti, Germania inclusa, è quindi uno “scambio” preciso: disciplina di bilancio da parte dei paesi in debito o in deficit; accettazione tedesca della solidarietà fiscale, attraverso un ruolo attivo della BCE come garante ultima dei debiti europei e attraverso strumenti come gli Eurobonds. Visti i vincoli di politica interna della Germania, l’intervento della Banca centrale europea sui mercati dei titoli di Stato avverrà nei fatti: l’unica intesa possibile è un’intesa pragmatica – già anticipata dalle prime mosse di Mario Draghi.

Come è accaduto altre volte in passato, l’Italia si trova in posizione-chiave negli equilibri europei. Non solo perché la riforma di una delle principali economie dell’euro è cruciale per la credibilità del fronte dei “debitori”. Ma anche perché Mario Monti ha l’autorevolezza personale per mettere sul tavolo un trade-off del genere. Va aggiunta una nota importante. L’inclinazione italiana non è di trasformare la coppia asimmetrica “Merkozy”  in un triangolo “Merkomonti”: è di recuperare, attraverso la leadership delle economie principali, il peso delle istituzioni comuni – che garantiscono tutti.

Vedremo se l’Italia ce la farà. E’ ovvio che deve farcela anzitutto in casa, per riuscire ad esercitare un ruolo simile in Europa. Ma è altrettanto evidente – viste le dinamiche di un contagio che dalla periferia sta attaccando il cuore dell’euro – che la crisi dell’euro-zona è sistemica; richiede quindi risposte collettive, insieme a impegni nazionali. Il governo Monti, per riuscire, dovrà convincere gli europei sul primo punto e convincere gli italiani sul secondo.