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Luci e ombre della presenza cinese in Africa

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Con 75 miliardi di dollari, la Cina è attualmente tra i principali sostenitori dello sviluppo economico dell’Africa. Secondo un recente studio del Center for Global Development di Washington, a tanto ammontano gli investimenti cinesi nel continente nero dal 2000 al 2011 – con una cifra non molto inferiore alla cifra degli Stati Uniti che, nello stesso periodo, hanno elargito circa 90 miliardi di dollari. Oltre alla quantità, il dibattito è incentrato sulla natura di tali finanziamenti. Come stabilire quali sono gli stanziamenti per aiutare un paese in via di sviluppo rispetto agli investimenti legati ad accordi commerciali che non abbiano consistenti effetti positivi? Pechino mantiene il riserbo su queste informazioni, ma la stessa fonte ha individuato 1.673 progetti ufficiali in 50 paesi africani di cui 1.422 in fase di realizzazione o già terminati. Molti progetti puntano allo sfruttamento delle risorse e delle materie prime africane, in cambio della realizzazione di infrastrutture, ma il campo di azione si è allargato. Gli interessi di Pechino puntano ormai sulla diversificazione dei settori: dalla sanità all’istruzione, dalla cultura all’agricoltura.

La Cina sa bene che una politica del genere favorisce una penetrazione sul territorio ancora più capillare e radicale, ma i dati non sono facili da reperire. “La Cina tratta i suoi aiuti come un segreto di Stato”, ha dichiarato Andreas Fuchs, professore di economia alla Heidelberg University in Germania. Questa mancanza di trasparenza suscita molte preoccupazioni da parte dei paesi occidentali, in particolar modo gli Stati Uniti. Si teme che, con il suo dinamismo e la grande disponibilità finanziaria, Pechino stia acquisendo sempre maggiore influenza e potere, a discapito di chi ha tradizionalmente aiutato i paesi africani nel processo di sviluppo. In realtà, l’Occidente ha abbandonato per diverso tempo l’Africa; la Cina, comprendendone le potenzialità di crescita, ha deciso sostanzialmente di colmare il vuoto e dunque non ha incontrato veri ostacoli in questa prima fase di penetrazione. Si è così inserita sul territorio, ricevendo un’ottima accoglienza dei governanti africani: questi, incapaci di gestire le potenzialità economiche e avendo fallito nel processo di industrializzazione, hanno cercato un facile rilancio grazie alle iniezioni di fondi ed expertise cinesi, puntando anche a limitare il malcontento della popolazione per le difficili condizioni economiche. 

In virtù del principio cinese della non-ingerenza nella politica dei paesi ospitanti, i paesi africani non sono tenuti nemmeno a dare spiegazioni su questioni quali democrazia, diritti umani e trasparenza nell’utilizzo dei fondi. Su queste basi, la Cina ha guadagnato sempre più terreno rispetto all’Occidente che l’accusa di fare affari anche con i regimi dittatoriali e di perseguire di fatto un progetto neo-coloniale. Immediata è stata la reazione di Pechino che in diverse occasioni ha dichiarato di non avere intenzione di comportarsi come le potenze coloniali del passato: “La Cina continuerà ad offrire, come sempre, l’assistenza necessaria all’Africa senza nessuna finalità politica correlata” ha ribadito Xi Jinping, in occasione del suo viaggio ufficiale nel marzo 2013. E ha aggiunto che “l’unità e la cooperazione con i paesi africani sarà sempre fondamentale per la politica estera cinese che non cambierà mai, nemmeno quando la crescita sarà più forte e il paese raggiungerà uno status internazionale più alto”.

Xi Jinping ha poi rinnovato l’impegno di accordare ai paesi africani prestiti pari a 20 miliardi di dollari in tre anni per lo sviluppo delle infrastrutture, dell’agricoltura e del commercio. Per il periodo 2013-2015, ha assicurato la formazione professionale di 30.000 africani e 18.000 borse di studio governative per gli studenti africani.

Continua così il consolidamento della presenza cinese sul territorio, nell’ottica di una strategia di lungo termine. L’espansione economica è in corso da anni a ritmi molto rapidi: lo scambio commerciale tra Cina e Africa ha raggiunto 198,5 miliardi di dollari nel 2012 – con una crescita esponenziale se si pensa che solo nel 2000 era di circa 20 miliardi di dollari. Il volume di investimenti diretti cinesi è di 20 miliardi di dollari; sono duemila le società che operano nel continente nero; e almeno un milione gli uomini di affari cinesi che si sono trasferiti in Africa – secondo dati annunciati dal ministero del Commercio cinese e pubblicati dall’agenzia di stampa cinese Xinhua. Agli investimenti economici si affianca un lungo processo di carattere culturale: nei paesi africani non è difficile trovare gli Istituti di Cultura Confucio, che sono ormai considerati i canali preferenziali per diffondere la cultura asiatica attraverso l’insegnamento della lingua cinese.

I risultati economici sono visibili e incoraggianti, visto che l’Africa è in profonda trasformazione. La crescita del PIL intorno al 6%, l’aumento della popolazione giovanile, la costruzione di infrastrutture che rendono più facili gli scambi commerciali: tutti questi fattori favoriscono un approccio più aperto all’esterno e una maggiore attenzione al ruolo delle multinazionali. La Microsoft, per esempio, presente nel continente con 14 uffici, ha realizzato insieme alla cinese Huawei uno smartphone – oggi uno dei prodotti di maggiore successo tra gli africani. Bill Gates sostiene la presenza cinese al punto che, durante il Boao Forum, ha dichiarato che l’alto livello di innovazione raggiunto dalla Cina può aiutare l’Africa a vincere la sua battaglia contro le epidemie, la povertà e la fame.

Gli africani, tuttavia, sembrano tollerare meno volentieri la presenza cinese. Se inizialmente fare affari con controparti cinesi era preferibile, rispetto ai paesi occidentali, in parte perché la Repubblica Popolare era vista come un paese in via di sviluppo, alcune esperienze negative con gli imprenditori cinesi hanno prodotto un notevole scetticismo. Anzitutto, le aziende africane non riescono a vincere gli appalti di progetti per la realizzazione di infrastrutture, superati sempre dai cinesi che riducono i costi di produzione. Gli investimenti poi creano effettivamente occupazione, ma le aziende si avvalgono della forza lavoro cinese senza dare opportunità alla popolazione locale, e provocando al tempo stesso l’aumento di flussi migratori dalla Cina all’Africa. Gli africani parlano inoltre di violazioni alle norme sul lavoro e di una mancanza di trasparenza che influisce sulla qualità dei prodotti importati. Questa situazione ha scatenato la ribellione di molti imprenditori africani, che chiedono ora la revisione dei termini di negoziali per consentire a Pechino di continuare a investire nei loro paesi. Forse è arrivato il momento per l’Africa di applicare una strategia più sofisticata nei confronti della Cina, cercando di beneficiare delle complementarietà esistenti senza però rinunciare a qualsiasi forma di protezione.