A Washington è in corso una sorprendente campagna a favore dei Mujaheddin al-Khalq (MKO, noti anche con la sigla MeK): si tratta di un movimento iraniano – nato come islamo-marxista – che svolse un ruolo importante come componente della coalizione khomeinista e che poi passò ad un’opposizione violenta al regime nato dalla rivoluzione del 1979.
Obiettivo immediato della campagna è quello del de-listing dell’MKO dall’elenco di foreign terrorist organizations (FTO) istituito dall’Antiterrorism Act del 1996; ma nessuno dubita del fatto che il de-listing sarebbe un semplice passaggio al riconoscimento dell’MKO come legittimo oppositore del regime iraniano, e quindi destinatario (palese) di appoggio politico e sostegno finanziario americano.
L’attivismo dell’organizzazione non è certo un fenomeno nuovo. Fra l’altro nell’UE si è già registrato il de-listing dall’equivalente elenco europeo – frutto di un’efficace campagna propagandistica presso l’opinione pubblica e soprattutto i parlamenti nazionali e quello europeo. I fautori della cancellazione del movimento dal novero delle organizzazioni terroriste fanno notare che gli atti di terrorismo attribuibili all’MKO risalgono al periodo pre-rivoluzione (quando vennero uccisi alcuni cittadini americani residenti in Iran) o ai primi anni dopo il trionfo della rivoluzione islamica. E’ spesso citata anche la circostanza che da allora i membri dell’MKO sono stati vittime di spietate repressioni da parte del regime iraniano, e affermano oggi di volere lottare contro il regime degli ayatollah e per un futuro democratico.
Quello che è sorprendente non è certo, quindi, il fatto che l’MKO trovi ascolto negli ambienti politici sia europei che americani. Dopo tutto, il principio “il nemico del mio nemico è mio amico” tende a funzionare in tutte le latitudini e in tutte le epoche. La novità è che negli Stati Uniti hanno aderito alla campagna, con interventi pubblici, personalità di spicco, e non solo di orientamento neo-conservatore: dall’ex National Security Advisor di Barack Obama, Generale Jim Jones, al Generale Wesley Clark, da Rudolph Giuliani al figlio di Ted Kennedy, Patrick. Non è chiaro, tuttavia, se questo impegno pro-MKO derivi da profondi convincimenti o da motivazioni più concrete.
Sorge poi la domanda sull’origine delle abbondanti disponibilità finanziarie da parte di esuli perseguitati e dispersi in vari paesi. Le ipotesi che vengono formulate sono tra le più svariate, e vanno – oltre al riferimento a fonti di finanziamento “ufficiose” americane – dall’Arabia Saudita a Israele. L’interrogativo comunque è più che legittimo.
Ma anche volendo lasciare da parte la non secondaria questione delle fonti di finanziamento, la campagna in corso negli Stati Uniti solleva una serie di pesanti interrogativi: legali, etici e politici.
Dal punto di vista legale, si fa fatica a capire come il governo federale possa permettere ad un’organizzazione che risulta pur sempre(almeno fino a una revisione della lista delle FTO) inclusa nell’elenco dei movimenti terroristi di esercitare un’attività di lobby a Washington, organizzare eventi, pagare conferenzieri.
Dal punto di vista dell’etica politica, poi, è quanto meno singolare che un paese che continua a mettere la lotta al terrorismo fra le proprie priorità (nonostante l’accantonamento del paradigma bushiano della “guerra globale al terrore”) sia così “possibilista” e aperto nei confronti dell’MKO. Qui, d’altra parte, si impone una riflessione più ampia sul terrorismo in generale. Gli americani non sono mai andati troppo per il sottile in questo campo: basti pensare che una grossa fetta di finanziamenti ai terroristi dell’IRA proveniva notoriamente, senza seri ostacoli da parte delle autorità americane, da donatori irlandesi-americani, e che Gerry Adams (IRA) è entrato vari anni fa alla Casa Bianca fra gli invitati alle celebrazioni della Festa di San Patrizio. Si è anche appreso recentemente che Martin McGuinness, un altro dirigente dell’organizzazione terroristica irlandese (che, a differenza di Adams, ha ammesso pubblicamente questa appartenenza) si presenterà come candidato alle prossime elezioni presidenziali in Irlanda.
Si può certo sostenere che i terroristi possono evolvere, cambiare strategie e modus operandi: Menachem Begin, capo dell’organizzazione terrorista Irgun, diventa rispettabile primo ministro israeliano, e Nelson Mandela passa dal ramo militare (e terrorista) dell’ANC alla straordinaria causa della riconciliazione non-violenta che ha permesso la creazione di un Sudafrica democratico. Il problema, in questo caso, è tuttavia quello della coerenza. Prendiamo ad esempio Hezbollah, ad un tempo organizzazione terrorista (sicuramente in passato, e a quanto pare, anche in tempi più recenti, quanto meno secondo i risultati dell’inchiesta sull’attentato a Rafic Hariri), militare e politica. Perché non immaginare allora una rimozione di Hezbollah dal novero dei movimenti terroristi qualora si registrasse una chiara evoluzione verso la sola dimensione politica?
Ma poi, perché parlare solo di terrorismo? Il giudizio etico-politico sull’MKO dovrebbe basarsi non solo sul suo essere o meno “organizzazione terrorista”, ma anche su due altri aspetti, tutt’altro che secondary. In primo luogo vi è il fatto che il movimento non solo ha trovato asilo ed appoggio nell’Iraq di Saddam Hussein, ma ha collaborato militarmente con il dittatore iracheno durante la guerra con l’Iran, e anche in operazioni di repressione contro i curdi.
Vi è poi, terzo elemento, la natura di vero e proprio “culto” dell’MKO, con forme di controllo totale sulla vita privata e sulla psiche dei propri adepti, tanto che chi si stacca dall’organizzazione ha bisogno di essere “de-programmato” psicologicamente per poter tornare a vivere una vita normale.
In poche parole, sembra davvero impossibile definire l’MKO come un movimento che lotta per la libertà umana.
Infine, quali che siano i nostri giudizi etico-politici, l’obiezione più forte a questa deriva pro-MKO (de-listing seguito inevitabilmente da appoggio politico e finanziario) già avvenuta in Europa, è basata su considerazioni di semplice realismo politico.
Che senso ha, infatti, appoggiare un gruppo che, secondo le analisi più attendibili, è disprezzato anche dagli oppositori del regime di Teheran, e più in generale dall’opinione pubblica iraniana?
In agosto il website Kalame, che riflette le posizioni del Movimento Verde, è intervenuto sulla questione con un durissimo attacco all’MKO e ai suoi fautori americani. Leggiamo in particolare:
“Nella storia moderna dell’Iran, nessun partito e nessun culto è più infame, agli occhi della nazione iraniana, dell’MKO (….) Qualsiasi paese appoggi questa organizzazione si squalifica agli occhi del popolo iraniano come difensore della violenza e del tradimento (….) I seguaci dei Mujaheddin al-Khalq sono banditi dal popolo iraniano prima di essere banditi dal governo iraniano”.
La speranza di un futuro democratico per l’Iran, in conclusione, non passa certo per l’MKO. Un minimo di realismo politico dovrebbe indurre anche i più acerrimi nemici del regime iraniano ad evitare connivenze del genere.