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L’ascesa del salafismo in Tunisia ed Egitto: le sfide per la transizione democratica

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L’Islam politico è una delle novità più rilevanti del periodo post-rivoluzionario in Nord Africa, sia nella sua compagine moderata che in quella radicale. Accanto al partito tunisino al Nahda e all’egiziano al Hurriyya wa al ‘Adala (Libertà e Giustizia), legati alla Fratellanza musulmana, che hanno ricevuto ampi consensi elettorali, stanno entrando nell’arena politica nuovi movimenti e formazioni politiche.

Per la prima volta, gli islamisti si trovano a gestire il potere, e a farlo da una posizione egemonica. In Tunisia, i nahdawi guidati da Rashid al Ghannushi hanno ottenuto 89 dei 217 seggi dell’Assemblea Costituente. In Egitto, Libertà e Giustizia si è accaparrato 217 rappresentanti su 498 nella camera bassa, 105 su 180 nella camera alta e 16 su 39 nell’Assemblea Costituente.  

Sebbene sia ancora da valutare il supporto concreto di cui queste formazioni godono nel tessuto sociale nazionale, è assodato che le ragioni del successo sono imputabili al loro radicamento nel territorio e all’antico ruolo para-statale svolto in favore delle classi più disagiate. Tuttavia in nessuno dei “paesi della primavera” gli islamisti hanno ottenuto una maggioranza assoluta di consensi, fatto che li ha indotti a cercare alleanze cross-ideological e, talvolta, intra-islamiche.

Quest’ultimo caso è favorito dall’emergere del salafismo, sia nella veste partitica ed istituzionalizzata, sia in quella movimentista e spontanea. Il termine indica l’insieme delle pratiche dell’islamismo conservatore, tendenti al letteralismo nell’interpretazione delle fonti del diritto islamico. Il termine si riferisce alle pratiche di vita quotidiana dei musulmani di prima generazione (i salaf salihina o “pii buoni”), modello di un’esistenza utopica. Esistono però molti movimenti che si rifanno al salafismo e che lo interpretano in maniere molto diverse tra loro.

La primavera araba ha resuscitato la distinzione tra un salafismo scientifico ed uno jihadista, il primo tendente alla diffusione del messaggio islamico attraverso la da‘wa (predicazione), il secondo con il ricorso a metodi coercitivi. Questa distinzione non chiarisce però le differenze tra diversi movimenti e interpretazioni salafite che non si esauriscono affatto con l’impiego o il rifiuto della violenza. Non è infatti neppure chiaro chi possa definirsi salafita, ma in ogni caso il successo di questo populismo di stampo puritano è ascrivibile all’uso dei messaggi semplici di giustizia sociale e lotta alla corruzione ma anche al risveglio dell’identità collettiva, attraverso l’appello alla legge rivelata.

In Egitto, il partito al Nur fondato ad Alessandria nel maggio 2011, detiene otto seggi presso l’Assemblea Costituente, 111 nella camera bassa e 45 in quella alta. Dopo la squalifica di Hazem Salah Abu Isma‘il dalle presidenziali, ha offerto appoggio al candidato della Fratellanza musulmana, Muhammad Morsi, mostrando forte pragmatismo. Secondo il suo manifesto, il partito aderisce ai principi della separazione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura, ma solo nei limiti della shari’a, che diventa l’elemento imprescindibile per definire la natura dello Stato.  Al Nur rifiuta così il progetto, proposto da Libertà e Giustizia, di uno Stato civile fondato sull’Islam e propende per conferire un ruolo primario alla religione e alla morale, specie nei campi del diritto penale, del consumo di alcolici e dell’idolatria.

Sul versante jihadista si colloca il gruppo egiziano della Salafiyya Jihadiyya, prototipo del movimento violento. Attivo nel Sinai, ove all’inizio di novembre avrebbe provocato la morte di alcuni militari, è noto per le azioni di rappresaglia ed il sabotaggio delle pipelines dirette verso Israele. Un recente comunicato minaccia ulteriori azioni il “nemico esterno sionista”, reo dell’assedio della Striscia di Gaza.

In Tunisia, il campo salafita si sta progressivamente ampliando. Il primo partito salafita legalizzato dopo la rivoluzione è stato Jabha al Islah (Fronte della Riforma).  Ispirato dall’egiziano al Nur, il fondatore Muhammad Khouja dichiara di perseguire la via della legittimazione democratica per applicare la shari‘a. Dopo la fuga di Ben ‘Ali, il gruppo aveva richiesto due volte un riconoscimento legale, trovando l’opposizione del governo interinale e super-partes di Beji Qaid Essebsi. Nonostante la mancanza di seggi ottenuti alla Costituente, il partito godrebbe del supporto di predicatori di rilievo. Come l’omologo egiziano, Jabha al Islah cerca consensi soprattutto tra gli “emarginati” delle classi sociali deboli più basse, individui privi di educazione e di un lavoro stabile. I salafiti scientifici di Jabhat al Islah affermano di operare per dare voce ai settori ultraconservatori della società e per limitare la radicalizzazione dei giovani disincantati dalla politica. Le loro posizioni si scontrano però con quelle di al Nahda: sostenendo che il lavoro dei giuristi consiste nel distinguere ciò che è lecito da ciò che è illecito in base alla rivelazione, Muhammad Khouja nega il tradizionale ruolo del parlamento, secondo la dottrina liberal-democratica.

In generale, la Fratellanza musulmana e i salafiti scientifici condividono il fine dell’applicazione della shari‘a ma divergono sulla tempistica. Per i primi il processo deve essere graduale e condiviso, mentre per i secondi immediato e guidato dall’alto, donde la necessità di entrare nelle logiche partitiche.  

La Costituente tunisina è un chiaro esempio di queste divergenze. In merito all’Articolo 1 della nuova Costituzione, al Nahda ha respinto le posizioni di Jabha al Islah sull’inserimento della repugnancy clause che eleva il diritto islamico tra le fonti dell’ordinamento, talvolta conferendogli supremazia. In cambio della rinuncia, Jabha al Islah ha ottenuto il riconoscimento dello status di partito, sebbene continui a propendere per la modifica della legge sullo statuto personale. In luglio, dopo che il portavoce Ridha Belhajj ha espresso l’intenzione di rinunciare alla violenza, un altro partito salafita, Hizb al Tahrir (Partito della Liberazione) è stato legalizzato. Il partito è membro di una rete trans-nazionale che opera per ristabilire il Califfato e che rifiuta molti simboli e pratiche della comunità occidentale, compresa la democrazia. Nella retorica del partito, il discorso islamico è impiegato per attaccare l’ingerenza statunitense ed europea e i loro nuovi alleati, gli islamisti moderati.

Un ultimo gruppo salafita tunisino è Ansar al Shari‘a , fondato nel maggio 2012 per opera di Abu Ayadh che, insieme allo Shaykh Khatib Idrissi, è considerato un importante referente dottrinario. Costoro avrebbero dato inizio ai disordini avvenuti dinanzi all’Ambasciata statunitense lo scorso settembre.

I vertici di al Nahda sottolineano che tutti i gruppi salafiti sono incoraggiati a partecipare al processo politico, purché rinuncino alla violenza. In giugno al Ghannushi ha anche preso parte al primo raduno annuale degli Ansar al Shari‘a, suscitando forti critiche dei partiti secolari.

Lo scenario delineato dimostra il carattere composito della galassia salafita. Le categorie di salafismo scientifico/jihadista, sistemico/movimentista, violento/non violento, sono utili ma non esaustive per una piena comprensione del fenomeno, tanto più che tendono a combinarsi tra di loro.

Fenomeni come l’Hizb al Tahrir complicano il quadro: sebbene in Tunisia sia accreditato come partito, conserva la natura movimentista per via dell’agenda globale e l’adesione al programma panislamico. Inoltre Ansar al Shari‘a e Salafiyya Jihadiyya sono entrambi classificabili come movimenti, ma mentre il secondo fa un uso manifesto della violenza, il primo mostra maggiore ambiguità.

Non v’è dubbio che l’ascesa del salafismo ponga serie sfide alla transizione democratica, sia in Tunisia che in Egitto. Ammettere a partecipare alcuni dei nuovi players, se da un lato è un necessario esercizio di democrazia, dall’altro sottopone le élite islamiste moderate ad un continuo processo di negoziazione intra islamico, che si aggiunge a quello extra islamico dovuto ai partiti liberali e secolari. La persistente natura movimentista di alcuni raggruppamenti ne facilita l’atomizzazione, rendendo arduo il controllo statale. Se nei confronti di quanti praticano la violenza, la Fratellanza musulmana ha adottato la linea dura, la cooptazione dei salafiti scientifici sembra al momento la strategia preferita. Non è da escludere tuttavia che il moltiplicarsi dei soggetti che si autodefiniscono salafiti possa indurre i vertici di al Nahda e di Libertà e Giustizia a sperimentare, nel medio e lungo termine, forme di divide et impera.